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Dante Ulisse Piero della Francesca e l’America, Il viaggio atlantico di Ulisse descritto da Dante nel XXVI Canto dell’Inferno

da | 5 Feb, 25 | Scienze Umane |

Introduzione la cosmografia tra Dante e Piero della Francesca

L’apporto maggiore che possiamo offrire alla conoscenza è porre nuove domande, nuove sfide per aprire nuove piste di indagine e dare luce a nuove scoperte. Tutte le nuove domande sono una luce accesa nel buio. Leggendo e rileggendo la Divina Commedia ci rendiamo conto di quanto ancora ci sia da interpretare e comprendere, le domande che si aprono sono così impegnative, che non resta che mantenerle aperte, ponendo ancora nuove domande e invitando chi legge alla ricerca loro stessi della risposta, senza volere imporre la propria opinione a tutti i costi.

Dopo aver studiato vent’anni Piero della Francesca e in particolare La Flagellazione di Urbino, si rivela a me sempre più la profondità e l’entità del mondo sommerso incredibilmente ricco di informazioni scientifiche, storiche e di ogni tipo, che l’arte del Rinascimento racchiude. Non bisogna mai dimenticare che Piero della Francesca è stato oltre che pittore anche un illustre matematico e cosmografo, che ha scritto numerosi rilevanti trattati scientifici in particolare di geometria: sui solidi platonici, sulla sezione aurea e la prospettiva, nella forma ancora di manoscritti. Molti di questi studi, escluso la prospettiva, furono ripresi dal matematico Frate Luca Pacioli, suo discepolo e conterraneo e mandati in stampa tra la fine del Quattrocento e primi del Cinquecento. È ovvio che questi trattati stampati in molteplici copie, hanno avuto una diffusione ben superiore alle pochissime copie manoscritte dei trattati di Piero della Francesca, procurando a Pacioli una fama ben superiore a quella del suo maestro, anche se non del tutto meritata, come ha scritto Vasari nelle Vite, dove accusa impetuosamente Pacioli addirittura di plagio. Piero della Francesca, quale esperto cosmografo, è stato anche un pittore di mappe celesti (vedi cielo del Sogno di Costantino ad Arezzo), in base a questa sua opera di “pittore di cieli astronomici”, ritengo che abbia potuto fortemente contribuire a quelle intense ricerche cosmografiche che hanno caratterizzato il Quattrocento e che alla fine del secolo condussero alla scoperta dell’America il 12 ottobre 1492, che è anche il giorno della sua morte.

FOTO 1 BIS Piero della Francesca Sogno di Costantino, affreschi in San Francesco ad Arezzo Leggenda della Vera Croce Essendo andata perduta la gran parte della produzione artistica di Piero della Francesca e la quasi totalità della documentazione autentica relativa alla ricerca cosmografica del periodo, probabilmente è andata via via dimentica anche la memoria storica di questo suo contributo di astronomo (portato in parte alla luce solo alla fine del Novecento), anche se ancora oggi la possiamo rintracciare e tentare di ricostruire, avendola Piero della Francesca, con il suo genio di pittore matematico, affidata alla sua pittura.

Piero della Francesca costituisce la figura che matura nei suoi trattati scientifici, come nella sua pittura, la sintesi della cultura della rinascita e della riscoperta dell’antica scienza ellenistica e la sintesi della produzione culturale dei grandi artisti e intellettuali del primo quattrocento: Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio, Beato Angelico, Paolo Uccello, Toscanelli ecc. e di un’intera generazione di intellettuali.  I suoi dipinti sono uno scrigno di conoscenze filosofiche, matematiche, cosmografiche, addirittura più avanzate di quello che la storia ufficiale ci abbia potuto o voluto tramandare, in un periodo di crisi politiche e persecuzioni religiose e con l’Inquisizione che imperversava. La pittura del Rinascimento e di Piero della Francesca in particolare va al di là del campo esclusivo della storia dell’arte, rivelandosi un ipertesto di contenuti e conoscenze in tutti i campi dello scibile, in una sovrapposizione di più livelli di contenuti. Perciò le sue opere sono una fonte essenziale per la ricerca storica ed epistemologica in particolare quella relativa alla cosmografia anteriormente alla scoperta dell’America. Essendo scomparsa la quasi totalità della documentazione relativa, mi sono messa alla ricerca delle tracce e di quali potrebbero essere state le fonti a cui hanno attinto i cosmografi rinascimentali per raggiungere quelle conoscenze astronomiche che hanno permesso di scoprire l’America alla fine del Quattrocento. Una di quelle fonti è la Divina Commedia e lo è in particolare il Canto XXVI dell’Inferno, nella descrizione del viaggio di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole fino a una nova terra. Si tratta di una descrizione così puntuale e dettagliata, che in un certo senso impone l’obbligo di rivedere con occhi aristotelici quel viaggio come l’esposizione scientifica e la descrizione fisica di un’esperienza realmente vissuta di navigazione oceanica, oltre i confini del mondo allora conosciuto.

Per questo ho consultato un marinaio esperto, un comandante di navigazione civile, che normalmente compie questa tratta oceanica da Gibilterra fino al Brasile e che è anche un grande estimatore appassionato di Dante Alighieri. Per questo non ha esitato a prestarsi con me a questa rilettura del viaggio di Ulisse del canto XXVI dell’Inferno, per verificare quanto questo racconto della navigazione oceanica potesse avere di realistico rispetto a un viaggio vero. Dalla lettura del canto fatta in modo analitico, senza concessioni alla licenza poetica, le descrizioni hanno rivelato immancabili sorprese.

Il Canto XXVI dell’Inferno e la descrizione geografica del viaggio di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole

Siccome Dante non conosceva l’Odissea si rifà ad una mitologia medievale del viaggio atlantico di Ulisse oltre le colonne d’Ercole.

Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;                         
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando                     
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse, 

Ulisse che si trova nell’Inferno tra i fraudolenti condannato a essere immerso in una fiamma, comincia a parlare interrogato da Virgilio, raccontando che dopo un anno di permanenza presso la Maga Circe riuscì a ripartire dal Circeo, presso Gaeta. Questa città era stata chiamata così da Enea in onore della sua nutrice morta in questo luogo durante l’esodo che lo condusse per mare dalle rovine fumanti di Troia fino alle coste del Lazio, come racconta Virgilio nell’Eneide.

FOTO 2 Virgilio mostra a Dante le fiammelle dei consiglieri fraudolenti, illustrazione di Paul Gustave Doré.

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,                           
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;                                 
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.   

Ulisse decise di non rientrare in patria, a Itaca, perché né la nostalgia per il figlio o per il vecchio padre, né l’amore per la moglie Penelope poterono vincere in lui il desiderio ardente di esplorare e conoscere il mondo ed i vizi e le virtù degli uomini. Così si rimise in viaggio per l’alto mare aperto, sulla nave e con i compagni che non lo avevano mai abbandonato.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.   

Ulisse punta verso ovest e attraversando le acque del Mediterraneo vede passare i due lidi opposti, quello africano e quello europeo e le isole, la Sardegna e le Baleari fino a costeggiare la Spagna. Il racconto si presenta subito come una descrizione geografica.

Io e ‘ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi                        
acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.  

Ulisse e i suoi compagni erano vecchi e stanchi quando arrivarono allo Stretto di Gibilterra, dove Ercole aveva apposto le due famose colonne, affinché l’uomo non andasse oltre questi limiti. Ulisse lasciandosi alla destra Siviglia e dalla parte opposta Setta, sta già oltrepassando lo stretto e superando quel limite. Setta è il nome antico dell’odierna città di Ceuta, città che si trova in Africa ma appartiene alla Spagna ed è tutta circondata dal Marocco. La conosciamo molto bene perché è il luogo dove i migranti hanno cercato varie volte di forzare il blocco costituito da un’alta rete metallica per passare dal Marocco alla Spagna e quindi in Europa.

‘O frati’, dissi ‘che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia                               
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.     

Il folle volo, fatti non foste come bruti ma per seguir virtute e canoscenza

In prossimità dello Stretto, Ulisse incita i suoi compagni a non privarsi dell’esperienza di andare dietro il corso del sole, cioè verso occidente, verso il mondo senza gente. Il mondo senza gente non è un mondo necessariamente disabitato dall’uomo, perché Il termine gente si può riferire a una popolazione, una nazione o una stirpe. In particolare, nella Grecia e in Roma antica, si chiamava gente un gruppo di famiglie che si riconoscevano in un ceppo comune e prendeva spesso il nome da un capostipite reale o anche fittizio (la g. Giulia). È gente solo quella parte dell’umanità gentile, ovvero che si riconosce in un gruppo e in quanto tale possiede una civiltà, una cultura e una dignità che li rende tali. Se il termine gente non si può riferire a un’umanità primitiva e senza fede, il mondo australe senza gente di Dante non è necessariamente disabitato dall’uomo, almeno non lo esclude. Nel 1282 Restoro d’Arezzo, ad Arezzo, scrisse la prima opera enciclopedica cosmografica in volgare La composizione del mondo colle sue cascioni. Questa opera contiene la descrizione del cosmo nella visione tolemaica e una descrizione della geografia terrestre. Restoro descrive l’Oceano Atlantico e il Mediterraneo come un suo braccio che si insinua nella terraferma e già nel 1282 documenta che oltre le Colonne d’Ercole in questo oceano si trovano innumerevoli isole, alcune grandi altre piccole, alcune abitate e altre disabitate. Si ritiene che Dante abbia conosciuto La composizione del mondo per una serie di riferimenti che ha ripreso nella Commedia.  La conoscenza di luoghi abitati, al di là dello Stretto di Gibilterra era già nota dal XIII secolo e ancora nel 1341 Boccaccio scrisse la cronaca di un viaggio alle Canarie, documentando che erano abitate da popolazioni civili, che costruivano case in pietra squadrate, solide e belle. Il canto XXVI inizia richiamando la cattiva fama di Firenze e citando una lapide del 1255 apposta sulla facciata del Bargello in via del Proconsolo a Firenze, dove si proclama che …Firenze era piena di tutti i beni,… grazie alla prosperità che abbraccia il mare, la terra e tutto il mondo… Francesco Buti, a proposito, commentava: …erano allora i Fiorentini sparti molto fuor di Fiorenza per diverse parti del mondo, ed erano in mare e in terra, di che forse li fiorentini se ne gloriavano…

I Fiorentini erano già giunti in tutte le parti del mondo per commerciare?

FOTO 3 Lapide sul Palazzo del Bargello, in via del Proconsolo a Firenze, devi attribuire autore Di Sailko – Opera propria

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza’.                  
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;                        
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. 

L’orazione di Ulisse è un capolavoro di retorica che culmina nella famosa frase: “…fatti non foste come bruti ma per seguir virtute e canoscenza…”, così esorta i suoi a non perdere l’occasione di esplorare l’emisfero australe e li rende così desiderosi di conoscere e di avventurarsi oltre i confini del mondo, che non li avrebbe più potuti in nessun modo trattenere. Così senza esitare si lanciano verso l’ignoto, facendo dei remi ali al folle volo. È questo folle volo non solo una straordinaria metafora poetica che ci rende l’immagine di questi ardimentosi marinai così desiderosi di conoscere che, seppur vecchi e stanchi, non avvertono più né la paura, né la fatica e imprimono una così grande energia ai remi che fanno volare velocissima la nave sulle onde. Questa terzina rende il senso del sentimento e del desiderio dei compagni di Ulisse, contemporaneamente restituisce un senso letterale e veritiero, con una descrizione realistica, che corrisponde all’esperienza effettivamente vissuta di un viaggio oceanico, affrontato con una piccola imbarcazione come quella che poteva avere Ulisse. Le onde sono così alte, i venti e le correnti così forti, che: – hai voglia di remare! La nave prende il volo trascinata dal vento fuori da ogni controllo e i remi non servono più a niente, perché non pescano più nell’acqua, ma mulinano a vuoto nell’aria, come ali in un folle volo. Questa lettura così aderente alla realtà di un’esperienza vissuta in una piccola imbarcazione nelle acque tumultuose dell’oceano, in balia di venti impetuosi, non poteva che scaturire da un marinaio esperto di navigazione oceanica, che quel tratto lo percorre abitualmente. Il resoconto di Dante è davvero corrispondente alla realtà della navigazione e a quello che veramente accade intraprendendo un viaggio attraverso l’oceano con una piccola nave a vela e remi come quella che avrebbe potuto avere Ulisse al suo tempo.

L’alto passo dantesco e l’esperienza realmente vissuta della traversata oceanica

Qui la descrizione diviene ancora più esatta geograficamente, perché la nave volta la poppa a oriente, procede verso ovest sempre acquistando a sinistra, cioè andando in direzione sud ovest. Dante indica la rotta: sud ovest, proprio la rotta che si intraprende quando dallo Stretto di Gibilterra si punta verso la costa orientale del Brasile, una rotta favorita e obbligata dalle correnti e dalla direzione dei forti venti Alisei, che la forza di Coriolis spinge a soffiare verso sud ovest. I venti e le correnti in queste acque dell’Atlantico rendono fattibile l’arrivo in America del Sud con una modesta imbarcazione, anche a chi si avventuri con una conoscenza approssimativa della meta da raggiungere. Thor Heyerdahl, etnologo e navigatore norvegese, ha dimostrato la possibilità di collegamenti navali tra alcune antiche popolazioni di diversi continenti. Per questo organizzò numerosi viaggi di esplorazione con imbarcazioni rudimentali, per dimostrare la possibilità di viaggi transoceanici in epoca antica. Nel 1947 attraversò con una zattera chiamata Kon-Tiki il Pacifico tra Perù e Polinesia. Nel 1969 partì dalla città fenicia di Safi, in Marocco, con l’imbarcazione Ra, fatta costruire da maestranze del lago Ciad. Il progetto si basava su documentazioni di antiche imbarcazioni egizie in papiro, eccessive per navigare solo sul Nilo. Dopo 56 giorni, naufragò a circa una settimana di navigazione dalla meta.  Nel 1970, sempre dal Nord Africa, partì con l’imbarcazione Ra II, costruita da amerindi Aymara del lago Titicaca; percorse in 57 giorni 3 270 miglia, raggiungendo l’Isola di Barbados. Con questa impresa dimostrò la fattibilità tecnica, già nell’antichità, di viaggi dal vecchio verso il nuovo mondo, ipotizzando che la somiglianza culturale tra i popoli precolombiani e le popolazioni assiro-babilonesi, potrebbe non essere dovuta al caso, anche se non fu sempre creduto da tutta la comunità scientifica.

FOTO 4 Kon-Tiki, 1947 Attraverso il Pacifico, devi attribuire l’autore Di Nasjonalbiblioteket from Norway

Dante nella redazione del canto XXVI sembra si sia ispirato al resoconto di un cronista genovese, Iacopo Doria, del viaggio dei fratelli Vivaldi. Nel 1291 i fratelli Vivaldi salparono da Genova con due galee per trovare una nuova rotta per le regioni dell’India attraversando l’oceano, ma una volta superate le isole Canarie, di loro si perse ogni traccia. Il loro viaggio ebbe comunque grande risonanza e ispirò probabilmente il loro illustre contemporaneo, Dante Alighieri, nella redazione del XXVI canto dell’Inferno, dove il poeta descrisse l’ultimo viaggio di Ulisse.

Dalle Isole Canarie e dalle Isole di Capo Verde, dove si persero le notizie dei fratelli Vivaldi inizia la vera traversata oceanica, l’alto passo dantesco e il folle volo, poiché da lì in poi, allontanandosi dalle isole si perde completamente il contatto visivo con la terra, trovandosi in mezzo all’oceano in un orizzonte di sola acqua.

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ‘l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.   
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,       

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.   
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.                       
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,                   
infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso».

Latitudine e longitudine e la terra nova

Dante, dopo aver fornito l’indicazione della rotta sud ovest, arricchisce di ulteriori specifiche geografiche il racconto e ci ragguaglia circa la posizione raggiunta dalla nave di Ulisse, facendolo nella misura in cui si poteva fare con gli strumenti di allora. In mare aperto, non avendo a disposizione nessuno strumento di misurazione, erano il sole di giorno e il cielo stellato di notte i soli riferimenti astronomici per i marinai. Sole e cielo stellato consentono di valutare facilmente la latitudine, non altrettanto vale per la longitudine, per la quale la questione si presenta molto più complessa.  Se il calcolo della longitudine dalla terra ferma non era facile, ma fattibile (in particolari situazioni astronomiche, quali le congiunzioni di Marte Luna e le eclissi), il calcolo dal mare con la nave che ondeggia, risultava letteralmente impossibile e non ci fu modo di risolvere il problema fino al 1761, quando John Harrison inventò il cronometro marino.  Dante conosce bene la questione e per fornire la latitudine, dice che la nave è arrivata in una posizione dove si vedono già tutte le stelle dell’emisfero australe, mentre la Stella Polare non sorge più dall’orizzonte marino, ovvero la nave si trova al disotto dell’equatore tra circa 0° e 5° gradi di latitudine sud. Non potendo fornire la longitudine, rende noto il tempo impiegato dalla nave fino alla terra nova, che è un‘informazione fondamentale per la valutazione della effettiva fattibilità di un viaggio di navigazione, quanto a viveri e acqua potabile e al numero dei passeggeri che un’imbarcazione può portare in autosufficienza. La descrizione non permette di individuare esattamente il luogo di arrivo, con le sue coordinate geografiche, gli strumenti dell’epoca non lo avrebbero potuto consentire, ma riesce a circoscrivere e indicare un’area precisa della superficie terrestre.  La distanza del tratto oceanico che corrisponde all’alto passo, valutata a braccio dal comandante di nave, è di circa 2500 km (circa 3000 miglia nautiche), perché quando si naviga da Gibilterra verso il Brasile si costeggia prima l’Africa occidentale e tutte le isole di fronte, le Canarie fino alle Isole di Capo Verde, da lì in poi inizia il vero trapasso, quell’angosciante e drammatico alto passo dantesco e il folle volo verso l’ignoto, in cui si perde completamente il contatto con la terra. A proposito del tempo si apre un problema di interpretazione della terzina dantesca:

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,   

Dante e la Luna

La quasi totalità delle interpretazioni, propende per cinque fasi lunari tra Luna piena e Luna nera, cioè poco meno di 5 mesi. Il problema rilevato, dal comandante di nave, è che 5 mesi sono un tempo troppo lungo rispetto alla distanza percorsa (l’alto passo circa 2500 Km ovvero 3000 miglia), questo in base al calcolo, grosso modo, della velocità media di un’imbarcazione dell’epoca di Ulisse e di Dante. Un tempo troppo lungo e impensabile anche rispetto alla capacità di imbarcare sulla nave tutti gli approvvigionamenti necessari alla sopravvivenza dell’equipaggio per 5 mesi. Solo se interpretiamo il testo come 5 mezze fasi lunari, in tutto circa 72 giorni, il tempo risulterebbe adeguato sia rispetto alla distanza, sia alla velocità media, sia rispetto alla dotazione attuabile di viveri e acqua potabile.

A questo punto non possiamo che soffermarci sul verso lo lume era di sotto da la luna, che è stato per lo più interpretato come Luna piena. Questa interpretazione risulta del tutto convincente?

Perché di sotto è di sotto e non da una parte. Di sotto non ha lo stesso significato che dalla parte o dall’opposto o la faccia nascosta della Luna. Non sarebbe stato più appropriato e meno oscuro e tortuoso un altro modo di esporre il fenomeno lunare del plenilunio e del novilunio?  Considerato il realismo della descrizione, cosa potrebbe significare lo lume era di sotto da la luna?

Non resta che tentare di confrontare la descrizione dantesca del fenomeno lunare con la realtà di un’esperienza autenticamente vissuta nelle zone tropicali, dove è giunta la nave di Ulisse. Tra i tropici in particolare all’Equatore, la Luna, nella prima fase crescente (subito dopo l’oscurità del novilunio e prima che diventi un quarto) si manifesta comunemente come una sottile falce coricata, con i corni all’insù, nella forma cosiddetta a barchetta.

FOTO 5 Falce di Luna a barchetta

 

FOTO 6 Luna a barchetta e Luna in piedi diverse posizioni della Luna rispetto all’orizzonte

Questo accade perché i raggi del Sole, lo lume, illuminano il sotto della Luna, di sotto da la luna, tanto da farla apparire come una barchetta che veleggia sopra l’orizzonte. Il fenomeno dipende dall’inclinazione tra Luna e Terra, alle nostre latitudini e ancor di più ai Poli, la falce appare più comunemente in verticale; da cui il noto proverbio: Gobba a ponente Luna crescente, gobba a levante Luna calante. Nelle zone tropicali e in particolare all’Equatore, in certe ore del giorno, la falce di Luna si presenta invece comunemente coricata, tanto che sussiste un altro proverbio famoso nell’ambiente marinaro, riguardante queste speciali posizioni a barchetta o in piedi: Luna seduta marinaio in piedi, Luna in piedi marinaio seduto.

È questo il fenomeno al quale si riferisce Dante con lo lume era di sotto da la luna? In questo caso, Dante specificherebbe che sono occorse, non cinque fasi lunari, ma cinque mezze fasi lunari, tra quando si accende il lume di sotto la Luna a quando la stessa falce si spenge, che corrisponde a circa 72 giorni.

FOTO 7 Fasi lunari, attribuire l’autore di Horst Frank, Università di Nethac

 

FOTO 8 Fasi lunari, la mezza fase di Dante va dalla posizione 2 alla 6, attribuire l’autore Pamplelune

Il che rende conforme il tempo occorso alla piccola nave di Ulisse per coprire la distanza dell’alto passo tra le coste occidentali dell’Africa e quelle orientali del Brasile e rende anche effettuabile il viaggio, in quanto72 giorni costituiscono un tempo adeguato a mantenere cibo e acqua potabile per la sopravvivenza dell’equipaggio. Tutto questo in base alle considerazioni del capitano, che ha valutato approssimativamente la velocità della nave di Ulisse e la distanza che essa poteva percorrere giornalmente, circa 35 miglia, in 72 giorni, con acqua e viveri sufficienti. Se i versi di Dante descrivono veramente una reale esperienza concreta, senza nessuna concessione alla licenza poetica e se l’interpretazione appena esposta fosse corretta, non si darebbe conferma che nella Commedia anche il senso letterale del poema corrisponderebbe ad un’autentica verità? Un concetto che Dante ha esplicitato nella sua epistola a Cangrande della Scala.

Ulisse e suoi marinai finalmente vedono una montagna (montagna vuol dire anche grande ammasso di terra) grande come non ne avevano vista mai nessuna e bruna per la lontananza. Non fanno in tempo a gioire, quando vengono colpiti da un turbine che li fa naufragare. Quanto ci può essere di vero in questa descrizione?

Dante fornisce altri dati essenziali relativi al viaggio, come desiderasse munire il testo della Commedia delle indicazioni essenziali per percorrere questo tratto marino e raggiungere la terra nuova, avvisando anche su eventuali percoli che vi si possono incontrare. Non è questo un modo per far capire a chi può capire, o a chi già sa o saprà, che ai suoi tempi l’America era già conosciuta ed era stata già raggiunta? Che questa conoscenza proveniva dall’antichità, addirittura dai tempi di Ulisse? Tutto ciò considerando che una notizia del genere, come la rotta per raggiungere la nuova terra non poteva che essere tenuta nascosta e protetta dal segreto più assoluto, come lo è sempre stato per le rotte di navigazione dalla notte dei tempi fino alla modernità. Perché sbandierare ai quattro venti quanto questa nuova terra fosse ricca di oro, argento, pietre preziose, spezie, pregiato legname, coloranti per stoffe, frutta e prodotti agricoli meravigliosi di ogni tipo?

Il turbo dantesco e cicloni nell’emisfero australe

Andiamo ora agli ultimi versi del canto, al turbo che apparve arrivare dalla nuova terra e che fece inabissare la nave di Ulisse e tentiamo il solito confronto con la realtà di fenomeni atmosferici del genere nelle zone tropicali dell’emisfero australe, per verificare quanto il testo risulti aderente alla realtà, sempre chiedendo supporto al capitano, per la sua grande esperienza di navigazione. Perché Dante è così preciso da spiegare esattamente che il turbo, ovvero il fenomeno vorticoso, come quello di un ciclone, proviene dalla nuova terra verso la nave, ovvero verso il mare, finché colpisce precisamente il lato della prua della nave?  Si sta riferendo a un ciclone come si verifica nell’emisfero sud? Per la forza di Coriolis generata dalla rotazione terrestre intorno al proprio asse, i vortici dei cicloni nell’emisfero australe hanno un andamento antiorario, mentre quelli che si verificano nell’emisfero boreale hanno un andamento orario, così come succede per i vortici dell’acqua che cade nel foro del lavandino. Per questo il ciclone nell’emisfero australe si allarga in senso antiorario e si vede ingrossare e procedere da ovest verso est, ovvero come dice Dante, procedere dalla terra verso il mare, divenendo più violento e pericoloso in mare piuttosto che nell’entroterra. L’opposto accade nell’emisfero nord dove si formano i noti uragani, che procedono da est verso ovest, ovvero si ingrossano e acquistano sempre più forza via via che procedono dall’oceano verso la terra, andando a scatenarsi con violenza sulle coste orientali del Messico, della Florida e del Nord America, con i noti effetti devastanti.

Il turbo dantesco si verifica nell’emisfero australe e arriva correttamente dalla terra verso il mare e della nave di Ulisse, colpisce ovviamente il davanti, ovvero un lato della prua e la fa girare tre volte, finché al quarto giro la nave si inabissa. In questi casi, come spiegatomi dal capitano, per tentare di evitare il naufragio, bisogna conoscere la direzione del giro del vortice entrando nel vortice dalla parte giusta, se lo si fa da quella sbagliata, è la fine. È possibile che Dante e le conoscenze di navigazione di allora, arrivassero fino a questo punto? Intende Dante fornire dei dettagli necessari ad affrontare i pericoli dei vortici che si possono incontrare nella navigazione in quelle acque? Chissà! In fondo i vortici si verificano anche nel Mediterraneo e forse era già conosciuto il modo di affrontarli. La domanda deve semplicemente rimanere aperta, senza nessuna pretesa di verità.

La terra nova è l’America?

È anche questa descrizione corrispondente al vero di un’esperienza realmente vissuta in quella zona del mondo? Cosa intende Dante per terra nova? In effetti in base alle indicazioni geografiche fin qui descritte, Ulisse si dovrebbe trovare in prossimità della costa orientale del Brasile, il cui punto più vicino all’Europa è punta di San Rocco, sito a circa 5° sud di latitudine e 35° ovest. Questa punta costituisce una demarcazione tra la costa nord del Brasile, che è completamente pianeggiante perché è il risultato del deposito delle foci dei grandi fiumi, come il Rio della Amazzoni ecc. e la costa sud del Brasile da San Rocco in giù verso sud che è più elevata. Lungo questo tratto si trovano varie insenature, quali naturali approdi, dove sono stati costruiti vari insediamenti e città come San Salvador de Bahia, Natal, i cui nomi celebrano e evocano il ricordo della salvezza e del Natale, come nascita. Dante conosce l’esistenza del quarto continente? È uscito nel 2023 un saggio relativo a una ricerca condotta dal professor Paolo Chiesa, su un trattato di Galvano Fiamma, un frate milanese del Trecento, dove si fa menzione di una terra chiamata Marckalada, situata a ovest della Groenlandia. I marinai che viaggiavano per i mari del Nord ne parlavano come una terra ricca di alberi e animali, dove si trovavano grandi edifici e vivevano dei giganti. Si tratta di una notizia sensazionale e inaspettata che sconfessa che Colombo sia stato il primo a raggiungere l’America. Infine:

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna?

La Montagna bruna e l’Equatore

Che montagna potrebbe essere? Non ce ne sono in realtà di montagne così alte sulla costa brasiliana, a cosa potrebbe riferirsi Dante? Dare una risposta attendibile a questo quesito, diviene complicato, perché, se è vero che si trovano delle montagne sulla costa brasiliana, nessuna è così alta al punto che possa corrispondere alla descrizione di Dante. Si potrebbe riferire con: alta tanto quanto veduta non avëa alcuna alla maggiore altezza delle terre emerse in prossimità della fascia equatoriale? In corrispondenza dell’equatore la circonferenza terrestre è maggiore di quella ai meridiani, per effetto della rotazione della Terra, questo fa sì che anche il raggio all’equatore risulti maggiore. Ciò rende le terre sulla fascia equatoriale più elevate di tutte le altre terre emerse del globo. Per questo la montagna più alta della terra non è l’Everest ma il Chimborazo in Equador, misurando l’altitudine non in base al livello del mare, ma alla distanza dal centro della terra; come poteva saperlo Dante? Aveva a disposizioni misurazioni della circonferenza terrestre effettuate all’equatore oltre che al meridiano? Al momento delle conoscenze attuali non risulta una notizia del genere, si possono trovare dei riferimenti indiretti nel De Dotta Ignorantia scritto da Cusano a Firenze (la città di Dante) nel 1440, quindi più di un secolo dopo, dove il filosofo neoplatonico anticipa di un secolo, rispetto a Copernico, l’eliocentrismo, il concetto di cosmo infinito, la non centralità e la rotazione della Terra e che la sua forma non è una sfera regolare, come poteva saperlo Cusano? L’argomento è tutto da approfondire, deve rimanere comunque aperta la domanda, perché non si sa mai, potrebbero venire in futuro alla luce nuovi documenti. Eratostene nel III secolo a. C., aveva già calcolato con notevole precisione la circonferenza terrestre. Lo scienziato era a capo della biblioteca di Alessandria e aveva a diposizione ingenti mezzi e una folta squadra di persone al suo servizio, per effettuare questi calcoli essenziali per la misurazione delle terre, delle distanze geografiche e la redazione di mappe geografiche attendili. È stato tramandato un racconto un po’ fiabesco della misurazione della circonferenza terrestre, la realtà storica è diversa perché questa misurazione fu portata avanti grazie a un’operazione sistematica, immane e costosissima.

Dante e la Fata Morgana

Riprendendo i versi di Dante: quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta, l’attenzione va posta sui verbi apparve e parvemi, la montagna apparve, cioè si mostrò alla vista e parvemi, ovvero mi sembrò. Nella Vita Nuova e nella Commedia il verbo parere è in pratica il verbo proprio del lessico dantesco col significato di sembrare. Ciò che sembra non corrisponde necessariamente alla realtà, questa altezza non è una realtà, infatti montagne così alte sulla costa brasiliana non ci sono. È una allegoria della maggiore altezza delle terre della fascia equatoriale, ma anche di una visione illusoria, in quanto ciò che sembra non è? Si tratta di un miraggio? Miraggio significa un’apparenza meravigliosa, fuori dell’ordinario ed è un fenomeno ottico atmosferico, dovuto a rifrazione anomala, per cui oggetti lontani appaiono come se si riflettessero su uno specchio d’acqua, oppure ingranditi e sospesi a mezz’aria, che si può manifestare più facilmente nei deserti, nei laghi e nei mari. L’effetto è anche chiamato effetto Fata Morgana.

FOTO 9 Effetto Fata Morgana devi attribuire l’autore, di attribuire autore Di I, Brocken Inaglory

Il caso è reso famoso per l’illusione che genera nei viaggiatori nel deserto, che stremati dalla fame e dalla sete vedono apparire un’oasi verde, come in navigazione, quando i marinai vedono una costa che in realtà non è lì, illudendosi di una salvezza a portata di mano, che si rivela una disastrosa delusione. L’illusione e la stessa delusione che patiranno di lì a poco Ulisse e i suoi compagni, che quella riva della nova terra non riusciranno mai a raggiungere. Non sarebbe la prima volta che Dante parla di ottica e anche se non si conosceva la corretta spiegazione fisica del fenomeno della rifrazione, il miraggio poteva essere conosciuto anche semplicemente come esperienza vissuta.

I quattro sensi danteschi delle scritture

Quanto nelle opere di Dante è realtà, quanto è allegoria, è una questione ancora aperta e per approfondire bisogna riferirsi al primo capitolo del Convivio, dove Dante espone il metodo interpretativo da seguire per comprendere i diversi significati sovrapposti delle scritture, ovvero tutti i testi letterari, sia i poemi sia le sacre scritture. Precisa che le scritture, sacre o profane, possono essere interpretate in quattro sensi: letterale, allegorico, morale e anagogico. Vero è sempre il senso allegorico, ma non il letterale, che risulta vero solo ed esclusivamente per i testi sacri. Dopo la stesura della Commedia, Dante tornerà sul tema con l’epistola a Cangrande della Scala, dove propone per questa sua nuova opera la stessa interpretazione dei testi sacri, i quali vanno letti come veritieri sia nel senso letterale sia in quello allegorico. La Divina Commedia non può essere considerata semplicemente una bella finzione, ma va compresa alla lettera, parola per parola, come vera e autentica rappresentazione della realtà. Una novità, che ha straordinarie implicazioni sull’interpretazione complessiva dell’opera, secondo la mia opinione, anche per l’interpretazione della pittura di Piero della Francesca, dove anche la più piccola pennellata non è mai un caso, mai una licenza poetica e va riconosciuta sempre come descrizione della realtà.

La cosmografia tra Dante e Piero della Francesca

A questo punto è interessante aprire dei collegamenti tra il viaggio di Ulisse e alcune tracce sopravvissute relative alla storia della cosmografia antecedente alla scoperta dell’America.

Un confronto va fatto con La Giustizia dipinta da Piero del Pollaiolo nel 1470 per il Tribunale della Mercanzia di Firenze.

FOTO 10 Piero del Pollaiolo, Gallerie degli Uffizi, Firenze,1470

Il dipinto possiede almeno un doppio senso: quello letterale e quello allegorico, direi come una sacra rappresentazione ambedue veritieri. Da una parte si rivela come un’allegoria splendidamente riuscita dell’eliocentrismo, quasi un secolo prima di Copernico, che ha dei riferimenti nel contesto delle dissertazioni in occasione del Concilio in ambito neoplatonico e in particolare nel De Dotta Ignorantia di Cusano, scritto nel 1440. Dall’altra, è evidente che il pittore ha riperso dal vero un globo con la geografia terrestre, ripreso quindi da un modello proprio davanti ai suoi occhi. Si tratta di un uovo di struzzo, come il globo Da Vinci, si tratta del globo scomparso di Toscanelli? Il globo della Giustizia mostra la metà conosciuta della Terra, sul tratto Atlantico (l’alto passo dantesco), dove si intravede una terra, che seppur senza nome, si presenta come la punta orientale del Brasile, più vicina all’Africa e all’Europa.  Più a nord compaiono dei tratti che rimandano alla Groenlandia e al Nord America, forse è Markalada?

Nella carta Waldseemüller del 1507, dove di nuovo compare il Sud America più o meno con le stesse anticipazioni del globo Da Vinci, si trovano due toponimi: G de Inferno e Montagna altissima, proprio in prossimità del luogo raggiunto dalla nave di Ulisse. Inferno e Montagna altissima non richiamano il Canto XXVI della Divina Commedia? Gli estensori della carta con questi toponimi hanno voluto avvalorare di verità geografica il racconto del XXVI canto dell’Inferno e del viaggio oltreoceano di Ulisse?

FOTO 11 MAPPA Waldseemuller 1507

Infine il globo Da Vinci, l’uovo di struzzo con la rappresentazione terrestre risalente tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento, così chiamato perché attribuito a Leonardo, non potrebbe avere una relazione più o meno diretta con il globo perduto di Toscanelli e con il globo della Giustizia? In effetti la rappresentazione geografica corrisponde al racconto della lettera di Toscanelli a Isabella di Castiglia, 1474, del viaggio verso le Indie. Si vedono anche il Cipango e una serie di isole interposte nel tratto oceanico tra l’Europa e la Cina (Ruggero Marino, 2021, interpreta il Cipango non come Giappone ma come un pezzo di Nord America).

Foto 12 Globo da Vinci esteso su mappa

 

FOTO 13 Globo da Vinci con l’America del Sud e il Cipango

Questo accenno solo per evidenziare, quanto questo tipo di studi e di confronti possono contribuire alla conoscenza della storia della cosmografia e delle scoperte geografiche, ancora così oscura per mancanza di documentazioni efficaci.

Luci e ombre e marmo azzurro, Piero della Francesca e il Brasile

Infine torniamo da dove siamo partiti da Piero della Francesca, pittore e cosmografo morto il giorno della scoperta dell’America, che non manca di sorprendere, questa volta nella bellissima Annunciazione del Polittico di Sant’Antonio a Perugia. Al centro della composizione, là dove si trova il centro prospettico a richiamare l’attenzione dell’osservatore, campeggia un prezioso e raro marmo azzurro, che in lontananza appare come un cielo. Nella Pala di Brera a Milano, quella con l’uovo di struzzo sopra la Madonna, si trovano bellissimi gli stessi marmi azzurri dell’Annunciazione.

FOTO 14 Piero della Francesca Polittico di Sant’Antonio Annunciazione, Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia, 1460-1470

 

FOTO 14 Piero della Francesca, Sacra Conversazione Pinacoteca di Brera, Milano, 1474

Senso letterale e allegorico sono ambedue veritieri? Tutti questi marmi particolarissimi somigliano, anzi sembrano quei marmi rari e preziosi che riproducono il cielo, che provengono da un unico posto al mondo: il Brasile. Si tratta del bellissimo marmo blu Azul di Macauba? Molti studi sono stati pubblicati dal 2000 in poi sull’ipotesi sempre più attendibile che popoli antichi e anche i Romani abbiano raggiunto l’America e che avessero contatti con i popoli americani (Marino, Russo). Di certo per ora è stata accettata la dimostrazione che i Vichinghi hanno raggiunto l’America prima di Colombo, come anche i Cinesi nel 1421, avendo effettuato la circumnavigazione e la mappatura della Terra con la flotta guidata Da Zeng He. Si ipotizza in base a varie documentazioni che lo abbiano fatto anche altri, come i Templari, anche se tali documentazioni e argomentazioni non sono state ritenute prove sufficienti a darne la dimostrazione storica.

Tornando al dipinto dell’Annunciazione dobbiamo soffermarci su un’inimmaginabile eccezionalità: il trattamento delle ombre del portico, che risultano apparentemente fuori da ogni regola. Piero della Francesca è universalmente noto per la sua straordinaria competenza geometria, ha scritto addirittura il primo trattato moderno di prospettiva, come ha potuto sbagliare così clamorosamente le ombre? In verità queste ombre sono assurde alle nostre latitudini, non lo sono però se il pittore avesse dipinto un luogo posto ai Tropici o meglio all’Equatore, dove i raggi solari in certi momenti del giorno e dell’anno sono perpendicolari alla terra, cosicché le ombre non compaiono per niente. In effetti in tutto il quadro si vedono le ombre proprie: l’ombra dell’Angelo, quella della Madonna, ma non quelle portate, perché la direzione dei raggi luminosi è ortogonale al terreno. Le ombre delle colonne del portico svaniscono stranamente nel nulla, rilevando solo le irregolarità della struttura architettonica e ovviamente interrogandoci. Il portico rappresenta l’alto passo dantesco verso il Brasile? Cosa sta annunciando l’Angelo a Maria? Anche la pittura va interpretata nei 4 sensi danteschi?  L’opera di Piero della Francesca è concepita come la Divina Commedia, in cui il senso letterale non è finzione, ma rappresentazione della realtà cosmica, ovvero non parola per parola, ma pennellata per pennellata è tutta verità?

Immagine Atribuire l’autore Fata Morgana è una forma insolita di miraggio Di Brocken Inaglory

Virgilio mostra a Dante le fiammelle dei consiglieri fraudolenti, illustrazione di Paul Gustave Doré

Devi attribuire l’autore Kon Tiki Across the Pacific Di Nasjonalbiblioteket from Norway

Kon Tiki in bianco e nero devi attribuire l’autore Di Kon-Tiki Museet


Bibliografia

  • Apa M., Cappelletti V., L’eliocentrismo da Piero della Francesca a Nicolò Copernico, Atti del Convegno, Accademia polacca delle scienze, Biblioteca e centro di studi a Roma, 1983
  • Cadelo E., Quando i Romani andavano in America, Roma, Palombi Editori, 2009
  • Centauro G., Piero della Francesca e la Legenda Aurea, in Cultura Commestibile.com, n.521/58-n.522/589, 2024
  • Centauro G., Piero e la Leggenda della Vera Croce, in Cultura Commestibile.it”, n.523/590- n.534/601, 2024
  • Marino R., Cristoforo Colombo e il papa tradito (Newton Compton, 1991)
  • Marino R., Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari (Sperling Kupfer, 2006)
  • Marino R., L’uomo che superò i confini del mondo (Sperling Kupfer, 2010)
  • Marino R., Dante Colombo e la fine del mondo (Xpublishing, 2019)
  • Marraghini S, 4 luglio 1442 la notte che cambiò la storia del mondo, la volta stellata di San Lorenzo a Firenze, un suggello alla nascita del 4° continente” in L’Universo, IGM di Firenze, fascicolo n° 5 – 2011, pag.746-786
  • Marraghini S., L’effetto cannocchiale tra La Flagellazione e il De Prospectiva Pingendi di Piero della Francesca (BOLLETTINO SSF, 30, 2021)
  • Marraghini S., Piero della Terra Francesca” Il sole sorge a Firenze e tramonta a New York, edizioni FirenzeLibri, Firenze, 2015
  • Marraghini S., Dalla Madonna del Parto alla Nascita di Venere, prospettiva, eliocentrismo, e scoperta del nuovo mondo, Edifir, Firenze, 2018
  • Sandra Marraghini S., “Firenze 1470, La Giustizia di Piero del Pollaiolo, la verità tutta la verità niente altro che la verità, in L’Universo, IGM di Firenze, fascicolo n° 1 – 2013, pag. 194-195
  • Marraghini S., Piero della Francesca and the discovery of the new word, Petrini editore, Città di Castello Pg, 2024
  • Russo L., L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo, Milano, Mondadori Università, 2013
  • Spedicato E., Calzolari Enrico, Francesco e i Templari. Da Luni all’America, traiettorie di un viaggio proibito (WriteUp, 2020)

Autore: Sandra Marraghini

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