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Conturina, o della sopravvivenza oltreindividuale

da | 2 Mag, 24 | Narrativa |

Sono seduto sul mio balcone, in val Badia, osservando il tramonto sulle cime dolomitiche delle Conturines. E mi viene in mente la leggenda di Conturina, come narrata da Carlo Felice Wolff nella sua saga ladina I Monti Pallidi. Splendida fanciulla, trasformata in pietra dalla gelosa matrigna, Conturina diventò una rupe della parete della Marmolada. Avrebbe potuto essere liberata entro sette anni, però, passato quel tempo, l’incantesimo divenne eterno e Conturina fu roccia per sempre. Ma ancora adesso il suo canto, talvolta, si sente risuonare nella valle…

Il topos della pietrificazione è ricorrente nelle tradizioni letterarie e folcloriche di molti paesi. A volte in versioni  ancor più cupe, come  nella Leggenda della Grigna, in cui la Grigna (la guerriera bella e senza amore) e la Grignetta sono la trasformazione di chi ha commesso un omicidio. A volte in forme più complesse ed eleganti, come nei miti sull’eco di cui parla Levi-Strauss in un suo saggio su Eco e Narciso. il quadro di Nicolas Poussin.  Dagli eschimesi ai greci, l’eco è una fanciulla pietrificata. E nel mito greco Eco, innamorata e respinta da Narciso, viene trasformata in roccia dal geloso dio Pan. Ma il canto della ninfa continua a riecheggiare

Comune a tutte le versioni è una visione negativa della pietrificazione, recepita come simbolo della paralisi, della passività, in definitiva della morte. La fanciulla diventa roccia come punizione o come esito di una vendetta, per la sua bellezza, per avere rifiutato l’amore o per avere amato la persona sbagliata. Essere pietra è metafora della perdita dell’azione personale, dell’individualità umana. Dalla reificazione di cui parla Lukacs, fino all’ annichilimento della morte dell’individuo.

Ma io, guardando le pareti dolomitiche incendiate dall’enrosadira, ho percepito una lettura positiva della leggenda di Conturina. E ne medito un’ interpretazione meno punitiva.

Perché dovrebbe farci paura la prospettiva della pietra ? Facile a dirsi, è la paura della morte. Ma….la morte di chi ?  Quale morte ? In effetti, Conturina propriamente non muore – continua a cantare. Come non muoiono gli eroi di tanti altri miti trasformati in laghi o stelle, le Pleiadi ad esempio. Allora, ciò che ci fa paura è la morte dell’individuo, la fine di quell’entità particolare che si presume fatta di una psiche e di un corpo. La trasformazione della materia come principium individuationis, secondo Aristotele.

La leggenda di Conturina può insegnarci ad accettarne il superamento. A distaccarci, diventando parte di una montagna, da quella individualità. Non è immediato accettarlo: per sette anni Conturina potrebbe ancora tornare ad essere una fanciulla. Ma piano piano, consumato quel tempo, il distacco  diventa definitivo, l’incantesimo irrimediabile. Segno che quel superamento è avvenuto, la separazione accettata, Conturina è ora un’altra entità. Più vasta della singola persona. Di cui rimane solo una traccia sottile, come un ricordo gradevole. Un canto. Una eco.

Andare oltre l’individuo è andare oltre quel narcisismo primario di cui parlava Freud. E’, ovviamente, andare al di là del principio di piacere. E Thanatos non si presenta solo come una sconfitta, ma anche come un oltrepassamento…ubermensch ? Intendiamoci, la morte di Narciso è soltanto una sconfitta, il narcisismo sprofonda definitivamente perché rimane incatenato, letteralmente fissato, alla propria immagine individuale. Ma la prospettiva di Eco è diversa, sopravvive superandosi, diventando roccia e conservando il proprio riecheggiante canto e la sua emozione. Come Poussin aveva ben capito, non soltanto nel dipinto in questione, ma anche in quell’altro, I Pastori di Arcadia, in cui compare la scritta tombale Et in Arcadia ego. Sì, è la morte. la morte c’è anche nella favolistica Arcadia. Ma posso anche leggere l’iscrizione rovesciandola. Con questa ulteriore variazione meno punitiva, la morte del singolo ego conduce all’Arcadia, serena  ed idilliaca, dell’oltreindividuale. Al di là delle contraddizioni e delle disgiunzioni.

E qui mi devo arrestare. Sarebbe semplice ricordarmi che anche le montagne muoiono, nel corso degli evi e degli eoni. Ma,viste dalla nostra limitata dimensione individuale. la loro durata ci supera e sfugge ai nostri criteri di valutazione. Più oltre non riesco, e non possiamo, noi singoli, andare. Bisogna anche accettare, in questo caso, di avere una vista corta. Guardare l’enrosadira, che ci sovrasta. E’ quanto possiamo attingere.

Autore: Pagani Paolo

Autore

  • Anticamente docente di Filosofia e Storia, dopo la laurea all’Università Statale di Milano nel 1976. Vive fra Milano e il Monferrato. Ha pubblicato saggi su varie riviste, filosofiche come Kainos e Azioni Parallele, e geostoriche come I viaggi di Erodoto. Si interessa da sempre al problema del linguaggio, in particolare poetico, e tale interesse è sfociato in una produzione poetica costante anche se non vasta. Ha pubblicato poesie su svariate riviste, come Il Monte Analogo, ed una raccolta dal titolo La città sognata dalle osterie, per le edizioni BookSprint.

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