Viaggio alla scoperta delle rotte dei motivi archetipi nella tradizione magnogreca di Calabria
I territori della piana di Sibari furono abitati fin dal neolitico da popolazioni autoctone, chiamate dai colonizzatori greci “Enotri” per l’ingente quantità di vino che in quel vasto e fertile territorio veniva prodotto ed esportato. Tra i numerosi siti, quello di Timpone della Motta e Macchiabate è risultato il più cospicuo insediamento che ha restituito un ingente corredo tratto da sepolture, resti di capanne, resti di almeno quattro templi oltre ad alcuni edifici adibiti alla tessitura del peplo sacro, offerto annualmente alla dea Atena, quando sull’insediamento si sono sovrapposti i riti dei Sibariti.
Qui sulla Motta, ad Atena, divinità dell’Olimpo celeste, ancor prima dell’VIII secolo a.C , verrà costruito un Tempio, sull’acropoli, in posizione elevata su un costone posto al confine Nord dell’insediamento sibarita, e lambito dal torrente Raganello.

FIG.2 Plastico dell’area archeologica di Francavilla Marittima, 2023 – Timpone della Motta (Templi) e Macchiabate (Necropoli). Museo De Santis
Come consuetudine il Tempio veniva edificato per stabilire i confini territoriali, mostrare visivamente i valori sacri e religiosi tutelati dalla divinità, in questo caso Atena, che aveva garantito la vittoria agli Achei di Agamennone sui Troiani di Priamo, ma soprattutto il Tempio, fin dai primordi, doveva fondare i capisaldi di una nuova aristocrazia che sui propri principi giuridici procedeva a organizzare la società nata dall’incontro con le popolazioni degli Enotri indigeni, dopo la rinascita seguita al Medioevo Ellenico di fine XI secolo, avutosi a seguito degli scontri sanguinosi con le stirpi doriche calate dai Balcani sulla penisola greca e delle distruzioni dei villaggi conquistati. Dopo alcuni secoli i Greci ripresero i contatti con le popolazioni costiere (già frequenti in epoca micenea) e iniziò la lenta ripresa che porterà alla seconda intensa colonizzazione del territorio italico. I coloni per primo erigevano un Tempio in onore della divinità protettrice e il themenos, il sacro recinto che conteneva l’altare per i sacrifici, era un luogo inviolabile, lì vigeva la legge suprema, l’ABC del vivere civile e dei comportamenti etici dell’intera comunità. L’area sacra diventava il luogo più importante della città, il luogo custode dei valori alla base dell’ordinamento sociale e della umana convivenza. Le sculture del timpano, la parte più alta del tempio, riferivano fatti e accadimenti della vita della divinità di cui uomini, luoghi e sentimenti erano parte integrante. Perché tutti vedessero e si educassero attraverso le immagini. Perché nell’uomo tutto nasce dai sensi innati e quello della vista occupa (oggi lo sappiamo) il 70% dell’area cerebrale!
Con le immagini si educa l’intera società!
Già in epoca del Bronzo si erano avuti i primi scambi culturali con i naviganti Achei, le cui testimonianze restano documentate all’interno degli scritti degli storici greci che ci raccontano, in particolare, della fondazione di Lagaria, una mitica città ancora non del tutto localizzata e che potrebbe essere verosimilmente sorta su Timpone della Motta già nel XIII secolo, per volere di Epèo naufrago sulle coste del golfo nel mar Ionio, di ritorno dalla Guerra di Troia, con i suoi uomini e navi cariche del ricco bottino di guerra.
Questo sito enotrio è stato abitato in continuità dal Neolitico fino all’età greca e oltre, quando qui venne eretto un secondo Tempio intitolato alla Dea Athena, così come è attestato dalla placchetta in bronzo, qui rinvenuta, dedicata
alla dea Atena dall’atleta Kleombrotos, per la vittoria ottenuta nelle gare olimpiche come offerta della decima.

FIG 3 Placchetta bronzea “Do. Kleombrotos, figlio di Dexilaos, avendo battuto ad Olympia antagonisti di uguale statura e corporatura, ha dedicato ad Athena (questa) parte dei suoi premi, di cui aveva fatto voto.” La placchetta di Kleombrotos, scoperta da Maria W. Stoop nel Tempio II, Timpone della Motta, VI sec. a. C. (da Atti della VIII giornata archeologica francavillese-novembre 2010)
Negli scavi recenti effettuati dal team di archeologi olandesi guidati da Marianne Kleibrink è venuto alla luce il basamento del tempio che la studiosa ha denominato Tempio di Atena, quello costruito nella metà del VII secolo sulla collina della Motta. Proprio da questo sito in anni precedenti, (fine XIX secolo) è stata trafugata la terracotta votiva denominata “Dea di Sibari”, parte di tanti ex voto che venivano lasciati nel Tempio in segno di devozione, e che rappresenta l’effige della dea Atena. Oggi si trova custodita nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nel primo piano della sezione che espone i reperti provenienti da Sybaris-Thurio (Thurio è la seconda città, edificata al tempo di Pericle nel 444 a.C su disegno di Ippodamo da Mileto, come colonia ateniese panellenica, sui resti della prima città distrutta da Kroton).

FIG 12 Terracotta votiva Pinaks- La Dama-Dea di Sibari – Museo Archeologico Nazionale- Napoli Proveniente dall’area templare di Francavilla Marittima (CS) 650-625 a.C. (Foto dell’A.)

FIG 13 Particolare della Dama di Sibari.
Prima di descrivere questa terracotta votiva, occorrerà accennare brevemente al sostrato culturale che era parte integrante del territorio in cui si sviluppò la civiltà enotria, con cui entravano in contatto commerciale e scambi culturali tanti popoli del Mediterraneo.
Se esaminiamo i numerosi reperti fittili o le decorazioni parietali e i monili in oro delle civiltà dell’Egeo o cicladiche, balza subito evidente l’uso costante di un tipo di linea a spirale, tipica delle onde marine e delle conchiglie. Nella forma che ne deriva, usata in tante decorazioni cretesi, non c’è niente di più perfetto di questa semplicità come punto d’arrivo di un processo significativo da cui è stato eliminato il superfluo. Solo due colori, una sola forma, non è proprio la fusione di due corpi Terra-Mare o di due princìpi tra loro interagenti?

FIG 4 Vaso stile Kamares (Wikipedia)

Fig.5. Frammento di affresco dall’Acropoli di Micene. XV secolo a.C. Museo archeologico nazionale di Atene (foto dell’A.)
Un’altra statuina fittile proveniente da Timpone della Motta, con alto polos, corto himation che le ricopre le spalle fino alle maniche che ricade sull’aderente peplo, presenta proprio questo motivo a spirale o Sigma inciso sul retro. Da notare l’elaborata acconciatura dei capelli raccolti a treccia sui lati del viso e con una pettinatura ancora più elaborata e intrecciata simmetrica sul resto del capo che anticipa quelle ben più complesse e note delle Cariatidi sull’Eretteo, forma che può considerarsi matrice di una comune koinè artistica che va dall’Argolide all’intero Peloponneso fino alle lontane città della Magna Grecia e Sicilia orientale.

FIG 6 Terracotta votiva da FRANCAVILLA MARITTIMA (Atti della IX giornata archeologica francavillese novembre 2010)
Osserviamo ancora che la curva non è forse alla base della vita, non è parte di quella doppia elica o spirale del DNA di cui sono fatte le nostre cellule? Oggi per noi questa forma avvolgentesi a spirale è abbastanza conosciuta da più di mezzo secolo, da quando venne scoperta da James Watson e Francis Crick, la sentiamo nostra e forse non è proprio per questo principio di analogia che ci attrae tanto la linea curva? Al di là del fatto che le due curve, così come le vediamo riprodotte dalla ceramica cretese in poi, una contenuta dentro l’altra come un motivo a “labirinto”, sono anche la forma evidente dell’onda marina, del movimento incessante che attraversa la superficie del mare, questo motivo ha anche un suo intrinseco valore semantico: veniamo attratti da questa forma a noi simile più di ogni altra….come se la linea curva, con cui tutto ciò che esiste in natura è stato disegnato, venisse riconosciuta dalla mente umana come la più naturale delle forme possibili, la più aderente alla forma-base innata nella mente umana. La curva è tra l’altro la sola linea che conforma la prima e più antica produzione umana che si conosca, la Venere di Willendorf di più di trentamila anni fa, la quale dalla testa ai fianchi è stata realizzata con un’unica linea continua convessa.

FIG 7 Il ritorno di Kore- 2023 – (Part. opera dell’Autrice)
In questo particolare è riprodotta la curva cretese a due colori. La ceramografia e gli affreschi cretesi sono dominati da queste eleganti fasce decorative. La pittura ci attira, ci dà quello che non troviamo intorno a noi, e sui vasi e anfore restano impressi miti e vicende eroiche spesso intervallate da motivi decorativi con questo morfema. La spirale cretese verrà a confondersi e a sovrapporre con il mito del labirinto in cui sarà rinchiuso il Minotauro mostruoso, quell’essere dal corpo di uomo e testa taurina, nato da un atto di hybris del re Minosse che non aveva voluto sacrificare il bellissimo toro bianco al re degli Dei. Il labirinto sarà costruito dal greco Dedalo, e sui dipinti avrà in seguito forma rettilinea, dopo la conquista dell’isola da parte dei Micenei-Achei. (Fig. 8).
In epoca greca, quando si consolidano le forme religiose sulle divinità Olimpiche con a capo Zeus, si è già passati dal Neolitico all’età dei metalli, si sono sostituite le antiche divinità matriarcali con a capo Demetra e Artemide, con quelle derivanti dalla successiva età achea, fondata sul patriarcato e la casta dei guerrieri, da cui si origina il mito di Teseo e Arianna, Giasone e gli Argonauti, Dedalo e Icaro, Ade e Persefone, Apollo e Dafne, Orfeo ed Euridice, la nascita di Athena dalla testa di Zeus, e si sostituiranno le forme più arcaiche con quelle ormai classiche che vedremo sui timpani dei Templi dorici.
Tutta la produzione artistica dei tempi successivi al VII secolo tenderà verso una sempre maggiore acquisizione dei contenuti geometrici e numerici derivanti dal pitagorismo, e l’arte greca avrà tra le sue caratteristiche prevalenti la ricerca del modulo proporzionale, della sezione aurea e dell’euritmia calcolata sulla linea retta, dei triangoli, dei quadrati, dei rettangoli in prevalenza, applicata alla forma del Tempio che in età classica seguirà il principio applicativo del numero aureo 1,618 col quale ottenere la “forma più armonica possibile delle singole parti rapportate al tutto”.
In tutta la produzione artistica greca arcaica e classica siamo impressionati dal contenuto complesso del messaggio che vi è racchiuso attraverso semplici relazioni visive.
Queste possono essere ricondotte a tre famiglie di macrorelazioni: la simmetria o specularità, la giustapposizione o iterazione, la rotazione intorno ad un asse verticale/orizzontale.
E in tempi più recenti, contempliamo estasiati le sculture di Michelangelo, la Gioconda, lo sguardo sfuggente e misterioso della Dama dell’Ermellino, le nature morte di Caravaggio, e non ci basta cercare nei libri le risposte ai tanti interrogativi che l’arte ci pone, ai tanti significati che vi restano inclusi!
Risposte che non sono quelle conclusive contenute nei testi degli storici, no, non si trovano lì, ma si trovano nelle riflessioni dei poeti, nei filosofi, nei romanzieri, e si ottengono con un lavoro circolare continuo che va dal particolare all’universale, dal finito all’infinito.
La circolarità, quella linea senza inizio e senza fine, diventa simbolo di Unità, vuole alludere a un “oltre” che unisce due cose., il particolare all’universale.

FIG 9 L’Uomo Vitruviano- Leonardo- Gallerie dell’Accademia-Venezia (Wikipedia)
La linea retta, orizzontale e verticale, è invece opposizione di due principi terreni, l’una, quello femminile, e l’altra quello maschile. Il loro incontro ad angolo retto determina un punto di equilibrio tra condizione statica (orizzontale) e condizione dinamica (verticale).
L’Uomo Vitruviano disegnato da Leonardo per il trattato del matematico frà Luca Pacioli sarà l’acme del pensiero classico rinascimentale più alto, dove si incontrano microcosmo e macrocosmo nella figura umana, considerata elemento medio tra Dio e il Cosmo, inclusa in un cerchio e in un quadrato., dove queste due figure geometriche opposte tornano a toccarsi per mano dell’Uomo.
Dopo le primissime manifestazioni decorative che tra i Cretesi vedono in prevalenza l’uso delle linee geometriche, cerchi, spirali, triangoli che troviamo disegnati sui loro vasi, molti secoli dopo l’età di formazione farà la comparsa il naturalismo fatto di elementi tratti dal loro mondo naturale, talassocratico, come si vede in vasi e brocche decorate con pesci e animali marini.

FIG 8 a sin. Affresco dal Palazzo di Cnosso (da Wikipedia). a dex Labirinto a una sola entrata, moneta coniata a Cnosso-IV Sec.a.C. (Atti della VIII giornata archeologica francavillese-novembre 2009)
Si passa così gradualmente dal geometrico al naturalistico, da segni generati dall’astrazione della mente umana a disegni che imitano sempre più la Natura organica. Il passaggio è dunque dal più semplice (linee create dalla mente umana) al più complesso, generato dall’osservazione attenta, continua, dei processi naturali che sopravanzano i processi della sola mente umana. È importante capire questo fondamentale snodo o sviluppo avvenuto per la prima volta in tempi storici, nell’evoluzione del genere umano in area cicladica tra il XX e il XV secolo a.C. e che ritornerà sempre (come in un corso e ricorso storico vichiano): ogni volta che termina un ciclo culturale e ne inizia un altro, si avrà un ritorno all’arcaismo geometrizzante seguito poi dal naturalismo organico. Allo stesso tempo, dalle forme di scrittura cuneiforme, geroglifica, pittografica, si passerà alla forma alfabetica che meglio risponde a rappresentare corrispondenze tra suoni orali e segni grafici, e che per questo risulta più “naturale” di quella precedente.
Wilhelm Worringer, a inizio Novecento, sostiene una tesi contraria, nel suo “Astrazione ed Empatia”, affermerà, cioè, che dal naturalismo l’umanità dei primordi sia passata al geometrico visto come conquista progressiva e distacco dell’umanità dalla soggezione della natura, o dalla paura delle manifestazioni delle potenze naturali.
Personalmente credo che sia avvenuto proprio il contrario: la direzione di ciò che segna l’evolversi delle produzioni artistiche dal neolitico al IV secolo a.C. va dall’astratto al geometrico sia tra le manifestazioni di area cicladica, che nelle successive creazioni in area dorico-ellenica. Del resto, dalle statue di Kuroi arcaici rigidi e frontali, si è gradualmente passati alle statue severe e poi classiche, nella conquista di un naturalismo determinato da un sempre maggiore controllo della forma apparente e della sua rappresentazione, cosa che è avvenuta in uno con la conquista del sentimento, dell’introspezione e del sentire più raffinato come dote essenziale del genere umano. Corpo-mente-cuore. Questo è l’esatto ritmo che ritroviamo in tutta l’arte classica greca., in tutti i miti e racconti epici.

FIG 10 Il Ritorno di Kore-Persefone- 2023 (opera dell’Autrice)
Gli scavi diretti da M.Kleibrink hanno portato alla luce un edificio sacro absidato chiamato “Casa delle tessitrici” dove sono state rinvenute fibule, un telaio, pesi decorati con labirinti, centinaia di fuseruole. La presenza di un altare e un telaio sul Timpone della Motta avvalora l’ipotesi di un culto per la Dea che i Greci chiamavano Athena. Ora, i labirinti sui pesi da telaio, le numerose statuine di dea con le braccia alzate sono immagini della dea venerata qui tra VIII e VII secolo, e avrebbero potuto recare nella mano alzata una conocchia, e nell’altra una lancia, come attestato da analoghi esemplari presenti su monete del III sec. a.C. coniate a Ilion (Troia).

Fig. 11 Stauetta in bronzo- Atena Ippia- Museo di Sibari (Atti dellaVIII giornata archeologica francavillese-novembre 2009)
La Dea di Sibari. 650-625 a.C.
La Dea di Sibari (conosciuta anche come Dama di Sibari) è una terracotta compatta, di cui resta il corpo acefalo, di figura femminile stante che indossa una veste aderente, intessuta con un motivo a rete sopra la sottoveste, coperta da un corpetto con maniche a tre quarti intessuto con un motivo a squame ed un soprastante grembiule rigido legato strettamente alla vita da un’alta cintura
Preziosi accessori del vestito potevano essere la cintura formata da file di borchie bronzee e da vaghi di pasta di vetro di importazione orientale, come sono stati ritrovati in analoghe tombe enotrie del metapontino, e il cosiddetto”grembiule”, forse in tessuto, decorato con borchie bronzee e vaghi di pasta di vetro lungo il perimetro.
In questo tipo è decorato da quattro bande figurate orizzontali intessute, separate da cinque cornici con motivi a Sigma destrorsi
Le bande sono decorate, dal basso in alto, con due Sfingi alate poste l’una di fronte all’altra, una soprastante fila di Efebi che, tenendosi per mano, danzano in cerchio, una fila di Korai che danzano tenendosi per mano, ma avanzando o indietreggiando in linea retta, e sulla sommità infine vi è raffigurata una scena centrale, un coronamento a cuspide, in cui l’eroe greco Aiace porta via dal campo di battaglia il corpo inerte di Achille reggendolo a spalla, un corpo che si divide in due esattamente all’altezza del capo di Aiace, colui che era rimasto il più caro amico del Pelìde dopo la morte di Patroclo. L’eroe esanime indossa ancora l’elmo piumato, sono i primi istanti che ne seguono la morte, inevitabile finale a cui era stato predestinato fin dalla nascita, nonostante la madre Teti lo avesse immerso tenendolo per un tallone nel mare dell’immortalità! Questo pregiato reperto risale al penultimo quarto del secolo VII a.C. precisamente tra il 650 – 625, e misura in altezza (totale) 25cm. Oggi è conservato nel Museo Archeologico di Napoli, e proviene dall’edificio V in località Timpone della Motta. È conosciuto anche come la “Dea Atena”, per essere stato rinvenuto nell’edificio dove sono stati ritrovati numerosi pesi da telaio in terracotta, e appunto Atena era la protettrice delle Tessitrici e filatrici addette alla lavorazione del sacro peplo che veniva offerto alla dea nelle processioni annuali.

FIG 15. Ricostruzione della Dama di Sibari-Museo archeologico di Sibari
Nella mano destra la divinità regge un fuso, e questo ne avvalora e conferma l’attribuzione alla dea ateniese, come del resto la raffigurazione del mito di Achille sulla sommità del grembiule richiama la dipendenza di questo soggetto al culto della dea che aveva protetto le imprese dei Greci – Achei contro i Troiani nella guerra del XIII secolo che sarà cantata da Omero nell’VIII secolo a.C., e conosciuta già dalle popolazioni enotrie- greche poco tempo dopo, quelle popolazioni che abitavano nella piana del Golfo, ormai definitivamente colonizzato dai Greci del Peloponneso, insediati in quella terra fertilissima posta alla confluenza dei fiumi Crati e Sybaris, dove nel 720 a C. era stata fondata la potente colonia di Sybaris che in soli due secoli diventerà la più popolosa e ricca città della Magna Grecia.
Tutta la veste, che in questo caso è un peplo aderente fino ai piedi, presenta un bordo decorato simile a una punzonatura, caratteristica questa che potrebbe rimandare ad analogo prodotto eseguito in metallo, di cui questo in terracotta potrebbe essere derivato, come esemplare meno pregiato da eseguire in serie. La resa delle figure dei fregi tuttavia è davvero opera di grande accuratezza e maestria.
Sul grembiule le tre fasce figurate alternano motivi triangolari (Danza dei Kuroi) a motivi lineari verticali che replicano in formato minore per cinque volte la figura della Dea, (Danza delle Korai), i Kuroi danzano in cerchio, le Korai danzano in linea retta, destra-sinistra e avanti-indietro. Anche qui è ribadito il principio del cerchio e del quadrato: sono forme archetipe che sintetizzano il movimento, la vita (che non c’è più) la vita che non può finire con la morte.
Un residuo ancestrale di queste danze antiche può oggi ravvisarsi in Calabria tra le popolazioni arberesch che il martedì seguente la Pasqua intonano canti e danze. Queste feste richiamano evidenti passi di quelle tradizioni canore in uso ancora tra le popolazioni balcaniche e del peloponneso.
Oggi difficilmente riusciamo a rivivere l’atmosfera di quel tempo, ma possiamo immaginarne la profondità dei gesti attraverso la descrizione delle forme perenni del canto funebre che ce ne da Gabriele D’Annunzio nel suo Trionfo della morte
“(…) Il mistero e il ritmo, i due elementi essenziali d’ogni culto, erano per ovunque sparsi… […] intorno alle culle e intorno alle bare ondeggiavano le melopèe lente e iterate, antichissime, antiche forse come la razza di cui manifestavano la tristezza profonda. Tristi e gravi e fisse in un ritmo alterato mai, parevano frammenti d’inni appartenenti a liturgie immemorabili, sopravvissuti alla distruzione di un qualche grande mito primordiale. […] Si trasmettevano di generazione in generazione come un’eredità interiore, inerente alla sostanza corporea. […] Al pari delle montagne, delle valli e dei fiumi, al pari degli usi, dei vizi, delle virtù e delle credenze, esse erano parte nella struttura del paese e della gente”.
Tornando al nostro reperto, come è tipico di tutte le sculture sacre d’età arcaica in Grecia, la Dea, quale proprio segno distintivo di sacralità, deve essere raffigurata frontale. Un esempio di come la frontalità sia attributo esclusivo della divinità si può vedere, ma non solo, nella metopa del tempio di Zeus ad Olimpia dove Atena occupa la parte sinistra, è ritta e frontale volge solo il volto di profilo verso l’eroe Eracle, a cui offre sostegno, col braccio sinistro, nel sopportare la fatica di reggere il mondo sulle spalle mentre Atlante, a destra, va nel giardino delle Esperidi a rubare i pomi come prescritto in una delle dodici fatiche che il semidio-eroe deve compiere per poter ascendere all’Olimpo.

FIG 14 Metopa dal Tempio di Zeus ad Olimpia Atena, Ercole e Atlante (Wikipedia)
Ipotesi di ricostruzione della Dea di Sibari
Nella fascia inferiore sono rappresentate due Sfingi alate affrontate simmetricamente a voler segnare l’asse verticale. (Fig. 15) Ma anche a ricondurre la figurazione nel tempo più antico, quello risalente ai miti egizio-cretesi-achei, e alla loro stratificazione simbolica: dalla Sfinge egizia di Giza, al Minotauro cretese, alla Sfinge di Tebe, qui si vuole significare quella potenza duplicata (animalità/umanità) ibrida e pertanto dare piena valenza a quella figura mostruosa appartenente al mondo ancora ctonio e pre- olimpico delle divinità mitologiche che costituivano la prima generazione di divinità (Uranos-Crono e Gea-Rea). Queste cederanno il posto alle divinità celesti con a capo Zeus, da cui nascerà Atena. Le due Sfingi alate sono dunque la persistenza di un ibrido che risale alle origini del mitologema, e richiamano le due leonesse del fastigio triangolare della Porta dei Leoni a Micene (XIII secolo a.C. 1250), (Fig. 16) che si apre entro le mura realizzate dagli Achei dell’Argolide, per fortificare la città dopo la conquista dell’isola di Creta e la fine del predominio della civiltà cretese. Questi pacifici dominatori del mare saranno assorbiti e sottomessi dai guerrieri del Peloponneso: la loro vittoria sarà immortalata e celebrata dal mito sorto intorno al principe di Atene, Teseo, alla figlia del re Minosse, Arianna e al filo che porterà Teseo fuori dal Labirinto.
Le Sfingi contrapposte ricordano ancora un analogo motivo ricorrente nei vasi, come si vede in questo proveniente dalla necropoli di Macchiabate

FIG 17 Olla a figure geometriche. Disegno ricostruttivo (da Giornate Francavillesi-Atti del Convegno)
Questo reperto, che risale al 650-600 a.C., seconda metà del VII secolo, presenta una fascia decorata sul bordo-spalla molto interessante, dove due trampolieri sono rappresentati di fronte, inclusi tra due fasce di triglifi a rappresentare le analoghe metope templari doriche, con una partizione dello spazio pienamente armonica che sottende la notevole perizia del ceramografo che l’ha dipinta.
Anche in questo frammento di Olla (di area sibaritide) il motivo geometrico dei cigni si inserisce in un ritmico richiamo di pieni e vuoti rimarcati da fasce orizzontali di cinque linee campite di semplici tratti e lineette diagonali destrorse, che vanno in senso opposto a quello dei cigni, generando in tal modo un senso di movimento ritmico.

Parete di Olla dipinta- Museo Archeologico di Amendolara- “V. La Viola” -età del ferro- Disegno ricostruttivo con uccelli sinistrorsi (da-Giornate Francavillesi-Atti del Convegno- X giornata- 2011)
Accenno rapidamente al valore simbolico dei cigni che, in alcuni mitologemi, rappresentano il primitivo legame tra gli elementi primordiali terra-acqua-cielo, dove assumono significati psicopompi.
Particolare della seconda fascia figurata
Al di sopra del fregio con le Sfingi alate, retaggio di un passato risalente alla prima età del bronzo ma proprio per questo “fondante” capace cioè di portare quel significato-significante a cui tutto si riferisce come paradigma mitologico, quattro giovani efebi seminudi danzano in cerchio tenendosi per mano. Sono parte fondamentale dei riti in onore degli Eroi le cui ceneri saliranno in cielo col fumo della pira su cui il corpo di Achille viene adagiato e intorno a cui saranno svolte danze e canti funebri.

FIG 19 Particolare della Dea di Sibari – Efebi

FIG 20 Particolare della Dea di Sibari- Korai

FIG 21 Particolare della Dea di Sibari -Aiace trasporta il corpo di Achille

FIG 22 Particolare della mano destra di Dea che regge il fuso
Particolare della terza fascia figurata
Questa terza fascia presenta la teoria di cinque Kore danzanti, che si tengono per mano e avanzano e indietreggiano in linea retta, come la loro posizione affiancata e frontale suggerisce. Qui si può ammirare l’eleganza della materia costituita dai pieni e vuoti, e la stretta analogia di ogni figura femminile a quella della dea Atena, a cui ciascuna rimanda, con il peplo rappresentato come una colonna avvolgente. Il loro busto viene sintetizzato in una semplice forma triangolare, a cui fa riscontro la direzione delle braccia che si incrociano a due a due sulle mani, così analogamente il peplo è intessuto con motivi diagonali le cui linee si allargano verso destra, per dare il senso del movimento, e per ribadire la direzione del Sigma destrorso delle bande orizzontali.
La direzione da sinistra verso destra sia delle Sigma che dei giovani efebi e delle linee diagonali che si aprono a ventaglio suggerisce l’analogia con la scrittura alfabetica che procede da sinistra verso destra.
Scena finale nella cuspide
Sulla sommità delle fasce, infine, la scena culminante del trasporto del cadavere dell’eroe sulle spalle di Aiace Telamonio è resa con una sintesi plastica di eccezionale icasticità ancora dominata dalla forma triangolare.
Il corpo di Achille, a cui l’artista assegna una dimensione più grande, come si conviene a un semidio, è diviso in due parti equipollenti, a sinistra gli arti più grandi del naturale, sono controbilanciati, a destra, dal tronco che ha un peso maggiore per la presenza dell’elmo piumato monumentale che riveste ancora il capo dell’eroe. Tutto questo è determinato dall’importanza del soggetto, protagonista principale delle imprese seguite al rapimento della bellissima Elena, moglie di Menelao, e segue un principio ancora arcaico di evidenziare e sottolineare il valore gerarchico della divinità/eroe, aumentandone le dimensioni rispetto alle altre figure.
Il corpo di Aiace è di profilo e avanza verso destra, nella stessa direzione dei giovani danzatori, mentre il suo capo è frontale e costituisce una cerniera intorno a cui il ceramografo dispone il peso del corpo esanime di Achille.
Infine, per completare la descrizione non si può trascurare il particolare che la Dea ha accanto al fianco nella mano destra: è la parte terminale di un fuso.
E questo è strettamente attinente al culto della dea Atena, protettrice delle Filatrici e Tessitrici che sulla Motta avevano i loro attrezzi, telai di legno, pesi da telaio in terracotta, arcolai e fusi per filare la lana. In tutta la tradizione greca numerosi sono i reperti che narrano della punizione di Aracne colpevole di aver superato in bravura e destrezza nella tessitura la dea Atena che la trasforma in ragno.
È interessante notare, inoltre, che, alla precedente tradizione sacra degli Enotri, che sull’acropoli della Motta avevano eretto templi per le loro divinità agresti, ora si sovrappone e si sviluppa la nuova mitologia nel culto di Atena e questo è avvenuto nella continuità della tessitura che ora è eseguita in onore della nuova dea greca, genericamente indicata come Dea di Sibari.

FIG 23 Esempi di pattern decorativi di tessuti ottenuti in laboratorio (da Timpone della Motta, M. Kleibrink). Si notano i segni del Sole-Svastica e della spiga
Questo passaggio dalla rappresentazione simbolica degli Indigeni a quella esplicita del Mito greco avviene su questo pinax dove Atena reca sull’addome non una rappresentazione qualsiasi bensì quella ben più pregnante di Aiace Telamonio che porta sulle spalle il cadavere di Achille, un mito che diviene culto sulla Motta ma che al tempo stesso è supportato dal canto aedico delle gesta dell’eroe ed è probabile che si conoscesse l’intero ciclo epico della guerra troiana, non solo l’evento finale dell’eroe, così come sappiamo che Elena a Troia lavora a una grande tela su cui intesse – storicizza – le imprese dei Troiani e degli Achei e le sofferenze di entrambi i popoli causate dalla sua bellezza. (Iliade, III 121-128 (BUR Rizzoli- Giovanni Cerri)
Iris intanto venne messaggera ad Elena dalle bianche braccia, nelle sembianze d’una cognata, la sposa d’un Antenoride, la moglie del potente Elicaone, figlio di Antenore, Laodice, la prima per bellezza tra le figlie di Priamo. La trovò nella stanza: quella tesseva un gran manto, doppio, tinto di porpora, e molte avventure ci ricamava che i Troiani, provetti cavalieri, e gli Achei vestiti di bronzo affrontarono a causa di lei sotto i colpi di Ares.
Si sa così, da questo pinax , che sull’Acropoli di Timpone della Motta le aristocratiche, addette a tessere il peplo non più alle divinità italico- enotrie ma ad Atena, descrivono sulla tela i miti – Achille e la Guerra di Troia – sostenuti dalla poesia epica introdotta dai Sibariti.
Il mito epico si ritrova impresso anche su un’anfora dall’acropoli di Monte di Vico (Pitecusa, colonia euboica) attestante la conoscenza del poema omerico con Aiace che trasporta il corpo di Achille dalle mura di Troia alle navi achee.

Fig. 24. Frammento di Anfora con Aiace e Achille. Sigillo impresso di derivazione cicladica o micenea proveniente da Pithecusa. (Wikipedia)
Anche se nel secondo poema la morte di Achille non viene narrata, Odisseo ne incontra l’ombra nell’Ade – XXIV 15 e nei vv. 36-95 sono descritti da Agamennone la morte e i funerali con particolari che si ritroveranno nei culti dedicati al Pelìde: questi si rilevano oltre che nelle colonie euboiche, presso le colonie achee come Sibari (Timpone della Motta di Francavilla Marittima) e Crotone dove i reperti dimostrano che si conoscevano i poemi del ciclo troiano.
Autore: Anna Letizia Candelise
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