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Gli esopianeti, la vita intelligente e l’universo – parte quarta

da | 5 Feb, 25 | Scienze Naturali |

Unico l’uomo fra gli altri essenti esperimenta, chiamato dalla voce dell’essere, la meraviglia di tutte le meraviglie: che l’essente è.
(Heidegger, Poscritto a Che cos’è la metafisica)

4. SOLI O IN COMPAGNIA?

Nel XX secolo i notevoli progressi conseguiti dalla Fisica hanno permesso per la prima volta di discutere della possibile esistenza di forme di vita intelligenti non terrestri su basi scientifiche e non puramente speculative.

Ricordiamo che verso la fine degli anni Cinquanta erano noti con sufficiente dettaglio i meccanismi di formazione e di evoluzione stellari e le tecniche di radioastronomia avevano raggiunto un grado di sviluppo tale da poter captare eventuali segnali radio inviati da ipotetiche civiltà aliene.

Il primo progetto, denominato Ozma, di “ascolto del cielo” per individuare eventuali segnali radio modulati, sovrapposti ai segnali naturali emessi dal gas galattico, è legato al nome del radioastronomo statunitense Franck Drake, che nel 1959 utilizzò il radiotelescopio da 25 m di Green Bank, in West Virginia, per osservare per circa 200 ore due stelle a noi abbastanza vicine, τ-Ceti e e-Eridani (a circa 12 e 11 anni luce di distanza, rispettivamente).

Tale ricerca e quelle che seguirono (programmi SETI: Search for Extra-Terrestrial Intelligence) non ebbero esito positivo: tali insuccessi non sono tuttavia significativi, dal momento che l’enorme vastità degli spazi interstellari rende estremamente improbabile la ricezione di eventuali segnali radio inviati da intelligenze extraterrestri.

Ci si può fare un’idea di tale vastità considerando ad esempio che Voyager 1, sonda lanciata nel 1977 e attualmente in moto ad oltre 60 000 km/h, transiterà nelle vicinanze di una stella (Gliese 445, nella costellazione della Giraffa) soltanto tra circa 38 000 anni. Oppure, che un impulso di luce richiede 100.000 anni per attraversare la nostra Galassia e oltre 2.5 milioni di anni per arrivare a noi dalla galassia di Andromeda, peraltro una delle più vicine.

Poniamoci ora la seguente questione: come stimare il numero N di civiltà evolute nella Galassia, diverse dalla nostra, potenzialmente interessate a comunicare con altre civiltà? Si deve a Drake l’impostazione concettuale del problema (che qui presentiamo in una forma leggermente semplificata).

Affinché N non sia pari a 0 occorre che sia soddisfatta una serie di condizioni: anzitutto, che una stella abbia un sistema planetario (probabilità Pp); che il pianeta sia situato in una “zona abitabile”, ossia potenzialmente favorevole alla nascita della vita (probabilità Pa); che su tale pianeta effettivamente si sviluppi la vita e abbia luogo il processo di selezione naturale che conduca a forme di vita superiori (probabilità Pv); che tali forme di vita evolvano in forme di vita intelligenti, e che tale civiltà sia “sufficientemente evoluta” (diciamo almeno quanto la civiltà terrestre, per disporre della tecnologia delle telecomunicazioni: probabilità Pvi); che tale civiltà evoluta abbia interesse a mettersi in contatto con altre civiltà (probabilità Pc). Inoltre, tale civiltà deve essere “nostra contemporanea” (probabilità Pcon): infatti, una civiltà con tutte le caratteristiche necessarie potrebbe essersi estinta (poniamo) un milione di anni fa, o potrebbe svilupparsi in un futuro nel quale l’uomo magari non esisterà più.

Ammettendo l’indipendenza degli eventi considerati, la probabilità complessiva che una stella ospiti una civiltà con le caratteristiche richieste è

Se NG esprime il numero di stelle della Galassia, allora

Le ricerche relative agli esopianeti degli ultimi 30 anni permettono di avanzare ragionevoli ipotesi sul valore da attribuire al prodotto PpxPa. Pur con tutte le cautele del caso, i dati osservativi suggeriscono che i sistemi esoplanetari siano comuni nella Galassia e, in particolare, che per stelle simili al Sole la probabilità di ospitare sistemi planetari sia piuttosto alta. In base ai dati ottenuti dalla missione Kepler, ad esempio, è stato calcolato [PHM] che la Via Lattea possa ospitare fino a 40 miliardi di pianeti di tipo terrestre in orbita attorno a stelle simili al Sole o a nane rosse, in “zone abitabili”: assumendo NG=1011  abbiamo quindi PpxPa≈0.4.

La stima delle successive probabilità è invece puramente congetturale: per esempio Drake suppone (ottimisticamente) che laddove le condizioni siano adatte, la vita si formi sempre ed evolva sempre verso forme di vita intelligente e tecnologicamente avanzata, il che equivale a porre PvxPv1=1.

Drake assume inoltre PC=0.01, ipotizzando cioè che solo una civiltà intelligente e tecnologica ogni 100 abbia interesse alla comunicazione interstellare.

Resta infine la stima, assai problematica, di Pcon,, legata alla durata di una civiltà tecnologica: Drake assume il valore (arbitrario) di 10 000 anni. Assumendo che la nostra Galassia abbia un’età di circa 13.5 miliardi di anni, poniamo Pcon≈10−6. In base alle ipotesi fatte  P≈4×10−9 e quindi e quindi .

≈1011×4×10−9=400

Ammettendo la plausibilità delle assunzioni fatte (il cui grado di arbitrarietà non va dimenticato!), la sola Galassia potrebbe ospitare “qualche centinaio” di civiltà tecnologiche interessate a entrare in contatto con l’uomo.

Se si assumono ipotesi più “ottimistiche” nella stima dei valori da attribuire ai vari parametri si arriva a concludere che il numero di tali civiltà potrebbe addirittura arrivare a oltre mezzo milione [As]: tuttavia, anche in questo caso estremamente “generoso” la civiltà più vicina alla Terra si troverebbe, statisticamente, a una distanza di diverse centinaia di anni luce. Viceversa, stime “pessimistiche” portano alla conclusione che l’unica civiltà con le caratteristiche discusse sia la nostra.

In ogni caso, considerando il gran numero di galassie esistenti, sul piano speculativo è difficile pensare che l’uomo sia l’unica forma di vita intelligente dell’intero universo (ferme restando le difficoltà di comunicazione inter-specie, in pratica insormontabili sulla base delle leggi fisiche ad oggi note).

Per quanto riguarda le condizioni che un sistema planetario dovrebbe soddisfare per ospitare la vita, si può assumere l’ipotesi che le forme di vita extraterrestri siano simili, nella struttura di base, a quella terrestre (tale ipotesi pare verosimile, stante l’uniformità nella composizione chimica dell’universo che emerge dalle osservazioni, ma non è universalmente accettata).

In tale caso è ragionevole assumere che

  1. la stella centrale sia singola, in quanto in un sistema multiplo le orbite planetarie non potrebbero essere stabili;
  2. il sistema planetario ospiti pianeti di tipo terrestre (la presenza di una superficie solida è ritenuta necessaria per la formazione di polimeri naturali a base di carbonio – macromolecole biologiche: proteine, acidi nucleici, polisaccaridi ecc. – a partire da monomeri);
  3. la stella non appartenga alla prima generazione di stelle galattiche, perché, diversamente, la materia da cui essa e i pianeti si sarebbero formati non conterrebbe sufficienti quantità di carbonio, azoto, zolfo, fosforo, ossigeno, ferro ecc. necessari allo sviluppo della vita;
  4. la massa della stella sia compresa tra 0.5⊙ e 2⊙ (⊙ è la massa solare): stelle eccessivamente massicce, infatti, hanno una vita troppo breve per permettere l’evoluzione di specie viventi complesse, mentre stelle con massa minore di 0.5⊙ non emettono sufficiente energia per alimentare la vita, anche considerando i pianeti più interni;
  5. i pianeti atti a ospitare la vita abbiano massa abbastanza grande, per poter trattenere un’atmosfera contenente gli elementi base per la vita (carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno), ma non troppo, in quanto un eccesso di idrogeno risulterebbe letale per le molecole biochimiche;
  6. l’eccentricità dell’orbita sia “assai piccola”, per evitare eccessive variazioni di temperatura, che dovrebbe mantenersi entro l’intervallo indicativo −20 °C÷70 °C;
  7. l’atmosfera del pianeta permetta la formazione di molecole organiche e protegga dalla radiazione ultravioletta di provenienza stellare;
  8. sul pianeta siano presenti grandi quantità di acqua allo stato liquido, che sembra rappresentare l’ambiente più adatto per la sintesi di molecole complesse prebiotiche e dei più semplici organismi viventi.

Si tratta – come facilmente riconoscibile – di condizioni ambientali che ricalcano quelle terrestri. A questo riguardo una minoranza dei bioastronomi, assumendo che la vita potrebbe anche non basarsi su DNA e RNA, ritiene che l’elenco di richieste sopra riportato sia eccessivamente vincolante. In tale linea di pensiero si sottolinea che l’ignoranza su molti aspetti del processo che ha originato la vita sulla stessa Terra dovrebbe suggerire di non porre condizioni troppo restrittive circa il processo bio-genetico.

Ad esempio, secondo il chimico R. Shapiro e il fisico G. Feinberg le condizioni richieste per lo sviluppo della vita si ridurrebbero a tre soltanto: disponibilità (a) di energia, (b) di un sistema di materia capace di interagire con l’energia e di utilizzarla per trasformarsi in sistema ordinato, (c) di tempi sufficientemente lunghi per permettere di “costruire la complessità” associata alla vita.

La questione resta aperta.

5. CONCLUSIONI?

A un certo istante, sul palcoscenico dell’evoluzione cosmica fa la sua comparsa l’uomo: a un tratto, dalla materia inanimata l’universo esprime la vita e – da questa – l’intelligenza. Si tratta della scintilla con cui il kosmos stesso diviene intelligente. Emergono così autoconsapevolezza, autocoscienza e capacità dell’universo di interrogarsi su sè stesso: in qualche modo, la vita intelligente come Spirito del mondo.

E questa vita capace di pensiero non è “ente tra gli enti” ma è ente privilegiato, in quanto unico ad avere consapevolezza della propria finitudine, della propria temporalità (per Heidegger “orizzonte di ogni comprensione e di ogni interpretazione dell’essere”) e del destino di annientamento che lo attende. Inevitabilmente, questo “strano” Esserci si interroga da sempre sul mondo, quella “dimora poeticamente abitabile” in cui è sì “gettato” ma che è anche “un carattere dell’Esserci stesso” ([He], cap. III, §14).

Tale processo poietico, autoproduttivo ha carattere necessario e teleologicamente orientato? Si tratta, come ben noto, di questione da sempre oggetto di confronto entro il perimetro della discussione strettamente filosofica. Oggi tuttavia il “gran tema” in certo senso può essere affrontato anche in dialogo interdisciplinare, tenendo fermi i risultati che ci porge l’indagine scientifica. È infatti da tempo noto che i valori delle costanti di natura che regolano le intensità delle quattro interazioni fondamentali (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole e nucleare forte) determinano la struttura di ogni corpo – dalle particelle elementari agli atomi, dalle molecole ai viventi fino ai pianeti, alle stelle e alle galassie.

È del pari noto (Dirac, 1937; Dicke, 1961) che variazioni anche assai modeste nei valori di tali costanti avrebbero reso impossibile la lunga catena di eventi necessari alla comparsa dell’uomo. Il principio antropico, nella sua forma forte, riassume il tema affermando che l’universo “è destinato” a generare l’intelligenza (o, se si preferisce: ad arrivare necessariamente all’autocoscienza). L’universo deve cioè possedere solo quelle proprietà e quei parametri i cui valori fanno sì che si dia effettivamente al suo interno, in qualche stadio del suo sviluppo, la presenza di osservatori ([BT]).

La Fisica ci dice cioè che i caratteri essenziali del nostro universo risultano finely tuned, ossia accuratamente “sintonizzati” o “regolati” per la comparsa della vita (intelligente): nella formulazione forte del principio, tale regolazione appare necessaria e sufficiente.

Su tale complesso fondale scientifico-filosofico si proietta quindi la questione, scientifica sì ma capace di evocare enormi interrogativi di ordine filosofico, etico e finanche teologico, della possibile esistenza di altre forme di vita, in particolare vita intelligente: sarebbe allora forse meglio parlare non già di principio antropico, quanto piuttosto di principio biotico. A tale riguardo, come in precedenza abbiamo cercato di mostrare, lo studio degli esopianeti reca un proprio essenziale contributo, di natura squisitamente scientifica.

Abbiamo aperto queste note accennando a quel processo storico-filosofico di “marginalizzazione”, al termine del quale l’essere umano sembra trovarsi spogliato di tutti i “privilegi filosofici” di cui godeva in antico.

Le chiudiamo osservando come il principio antropico possa essere pensato, pur in diversa prospettiva, come tentativo – il primo dopo la modernità –, di restituire all’uomo quella centralità, negata dapprima (in ambito fisico) dalla rivoluzione copernicana e successivamente (in ambito biologico) dalla scoperta darwiniana dell’evoluzione delle specie.

Le nostre conoscenze scientifiche aumentano, senza che le “eterne questioni” – quell’interrogarsi che fa l’uomo uomo – abbiano perduto la loro importanza: quale la nostra origine? quale il senso del nostro precario essere qui? quale il nostro destino? quale il fine, se pure ve n’è uno, dello spettacolo grandioso del “cielo stellato sopra di me”? siamo soli in questi “interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete”? in definitiva: perché l’essere e non piuttosto il nulla?

La scienza avanza, le antiche domande restano. Tanto rimane ancora da sottoporre al vaglio dell’indagine, sia essa scientifica o filosofica, ancora lungo è il viaggio. Quel viaggio che da sempre l’uomo disposto a salire a le stelle nobilmente antepone alla meta stessa. Quel viaggio che da sempre ogni maestro, passando il testimone, addita all’allievo come degno di essere intrapreso.

Fine parte 4a di 4


Bibliografia:

  • [As] Asimov I., Civiltà extraterrestri, Mondadori, Milano (1986)
  • [BT] Barrow J.D., Tipler F.J., Il principio antropico, Adelphi, Milano (2002)
  • [Co] Covone G., Altre Terre, HarperCollins, Milano (2023)
  • [CWDM] Conselice C.J, Wilkinson A., Duncan K., Mortlock A., The Evolution of Galaxy Number Density at z < 8 and its Implications, https://arxiv.org/abs/1607.03909v2 (2016)
  • [He] Heidegger M., Essere e tempo, Longanesi, Milano (2005)
  • [Ho] Howard A.W., Observed Properties of Extrasolar Planets, Science, 340, 572-576 (2013) DOI: 10.1126/science.1233545
  • [MAR] Mahima K., Aditee M., Ritesh R., Exoplanet Detection: A Detailed Analysis, arxiv:2404.09143v2 (2024)
  • [NEA] Nasa Exoplanet Archive, https://exoplanetarchive.ipac.caltech.edu/
  • [PHM] Petigura E.A, Howard A.W., Marcy G.W., Prevalence of Earth-size planets orbiting Sun-like stars, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 110, n. 48, 31 ottobre 2013, pp. 19273–19278 DOI:10.1073/pnas.1319909110.
  • [Pl] Platone, Repubblica, libro X, Mondadori, Milano (2008)
  • [We] Wenda C., The Comparison of Five Methods of Detecting Exoplanets. Highlights in Science, Engineering and Technology, 38, 235-244 (2023). DOI:10.54097/hset.v38i.5812

Autore: Ivan Cervesato

Autore

  • Laureato cum laude a Milano in fisica nucleare teorica, dal 1991 è autore di numerosi articoli e testi scientifici e didattici (Physical Review, Città Studi Editore, Didattica delle scienze, Nuova Secondaria, Società Editrice Internazionale, Educazione e scuola ecc.)

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