Unico l’uomo fra gli altri essenti esperimenta, chiamato dalla voce dell’essere, la meraviglia di tutte le meraviglie: che l’essente è.
(Heidegger, Poscritto a Che cos’è la metafisica)
2. TECNICHE DI OSSERVAZIONE
In linea generale, nell’universo i pianeti sono oggetti “piccoli” e “freddi”, per di più in orbita attorno ad altri corpi assai più appariscenti, le stelle, la cui emissione luminosa tende a occultare la presenza di eventuali corpi orbitanti. Non è quindi sorprendente che la rilevazione di esopianeti sia stata – e sia tuttora – un’impresa tutt’altro che semplice.
Ciononostante, nel 1995 due astronomi svizzeri, Michel Mayor e Didier Queloz, annunciarono di aver trovato un pianeta gigante gassoso, orbitante attorno a 51 Pegasi, una stella simile al nostro Sole: per tale rivoluzionaria scoperta, che ha ricevuto successive conferme, i due scopritori sono stati insigniti del Premio Nobel per la Fisica nel 2019.
Da allora, grazie al costante miglioramento della strumentazione e all’introduzione di nuove tecniche osservative, il numero degli esopianeti noti è cresciuto senza sosta: ad oggi (gennaio 2025) è confermata l’osservazione di oltre 5800 pianeti extrasolari [NEA].
I motivi di interesse della ricerca di esopianeti sono molteplici: lo studio di sistemi planetari giovani, contenenti pianeti o dischi di polveri, permette di fare luce sui meccanismi di formazione della Terra e del Sistema solare, così come le ricerche sui sistemi planetari più antichi consentiranno di fare ragionevoli ipotesi sulla futura evoluzione del nostro sistema. C’è poi la questione, di grande interesse e cui facevamo riferimento poco fa, relativa alle condizioni che permettono la nascita e lo sviluppo della vita, fino ad arrivare eventualmente al livello di vita intelligente: a questo riguardo rimandiamo per qualche ulteriore osservazione al §4.
Per il momento limitiamoci alla presentazione, sia pure breve e in forma schematica, dei principali metodi di rilevamento degli esopianeti: l’obiettivo sarà circoscritto alla comprensione di alcune idee di fondo.
2.1 Metodo della velocità radiale
Consideriamo un ideale sistema costituito da una stella S e da un pianeta P, assai meno massiccio (per dare un’idea, la massa del maggiore dei pianeti solari, Giove, è circa un millesimo della massa del Sole; la massa della Terra è oltre 300 volte più piccola di quella di Giove).
Restando nell’ambito della fisica classica, è ben noto che considerare la stella “ferma” e il pianeta in moto attorno ad essa è solo una prima approssimazione: in effetti, ciascuno dei due corpi orbita attorno a un particolare punto, il centro di massa CM del sistema (se la sproporzione tra le masse è grande, il CM può anche situarsi all’interno della stella, come accade ad esempio nel sistema Terra-Sole). In un certo senso, S e P “ruotano uno attorno all’altro” (tale aspetto, in apparenza bizzarro, diventa evidente se consideriamo un sistema di due corpi aventi questa volta la stessa massa, o masse confrontabili, come in un sistema stellare binario: le due stelle S1 e S2 e orbitano attorno al comune centro di massa che, nel caso ideale di masse uguali, coincide con il punto medio del segmento S1 e S2 che le unisce).Immaginiamo ora per semplicità che il piano in cui P orbita attorno a S sia posto “di taglio” rispetto alla linea di osservazione da Terra T (P,S,T sono cioè complanari, figura 1): a causa del moto di rivoluzione di S attorno al centro di massa, la stella sarà vista talora “in avvicinamento” e talora “in allontanamento” da noi. Nel primo caso, l’analisi delle linee spettrali della radiazione e.m. proveniente dalla stella mostra (effetto Doppler) che tali linee sono “spostate” (con riferimento alla situazione in cui S fosse “ferma” rispetto all’osservatore) verso il blu (blue shift); nel secondo caso, lo spostamento è opposto, verso il rosso (red shift).
Gli strumenti registrano quindi “oscillazioni” nella posizione delle linee spettrali che costituiscono la prova della presenza di un corpo – cioè del pianeta, non direttamente visibile –, causa delle oscillazioni stesse. È proprio tramite questo metodo che Mayor e Queloz hanno scoperto il primo esopianeta attorno a una stella di tipo solare.[1]
[1] in effetti nel 1992 Lyne, Bailes e Shemar, astronomi dell’università di Manchester, avevano annunciato di avere trovato prova dell’esistenza di un pianeta attorno alla pulsar PSR 1829-10: come in seguito si comprese, tuttavia, si era trattato di un falso allarme dovuto ad un errore nell’elaborazione dei dati. Nello stesso anno Wolszczan e Frail osservarono effettivamente un pianeta attorno alla pulsar PSR B1257+12: tecnicamente, il primo esopianeta ad essere osservato, sia pure orbitante attorno a una “stella degenere”. Per l’interessante e intricata vicenda, cfr. [Co].
2.2 Fluttuazioni del tempo di arrivo del segnale periodico di riferimento
Un secondo metodo osservativo si basa sulla misura delle variazioni dei tempi di arrivo di segnali periodici, come gli impulsi delle stelle denominate pulsar (stelle di neutroni) o i tempi delle eclissi nei sistemi stellari binari.
Le pulsar, ad esempio, possono emettere con frequenza sostanzialmente costante impulsi elettromagnetici: pensiamo per analogia al comportamento di un faro, di cui osserviamo la luce come “lampi” che si susseguono a intervalli di tempo costanti. Per le stesse ragioni discusse poc’anzi, la presenza di un pianeta modifica periodicamente la distanza radiale stella-Terra, causando una variazione del tempo di percorrenza della luce (come se il faro si allontanasse o avvicinasse periodicamente all’osservatore “fermo”). Di conseguenza, se la stella ospite ha un periodo stabile, come nel caso delle pulsar, ogni impulso arriverà in anticipo o in ritardo rispetto a quanto ci si attenderebbe in assenza del pianeta. Pertanto, l’osservazione di fluttuazioni dei tempi di arrivo dei segnali periodici è interpretabile, di nuovo, come conseguenza della presenza di un pianeta orbitante attorno alla stella e con questa interagente gravitazionalmente.
2.3 Metodo del transito
Consideriamo ancora il sistema stella-pianeta S, P, sotto le ipotesi in precedenza ammesse: quando P “passa davanti” alla sua stella ospite, la oscura temporaneamente e parzialmente, causandone una periodica diminuzione di luminosità (una variazione nella curva di luce, come si usa anche dire, figura 2).
Il primo successo nell’applicazione di tale metodo è stato registrato nel 1999, con il rilevamento del pianeta di tipo “gioviano caldo” (§3) denominato HD 209458b, in orbita stretta attorno a HD 209458, una stella nella costellazione di Pegaso. Si tratta di una nana gialla di classe spettrale[2] G0 – molto simile al Sole – posta a circa 150 anni luce di distanza.
metodo | esopianeti scoperti |
astrometrico | 3 |
velocità radiale | 1071 |
transito | 4146 |
microlensing | 204 |
imaging | 69 |
altri | 64 |
Tab. 1 (da [MAR]) |
Il telescopio spaziale Kepler, nel corso dell’omonima missione (durata dal 2009 al 2018), proprio facendo ricorso a tale metodo ha individuato oltre 2700 esopianeti.
La stella è classificata come EP, che sta per eclipsing planet, pianeta transitante: la luminosità stellare osservata varia periodicamente (con una diminuzione di circa il 2% durante il transito: la diminuzione di luminosità dovuta a transito di pianeti terrestri, dalle dimensioni ben più ridotte dei “gioviani”, è molto minore, dell’ordine dello 0.01%).
Dai dati osservativi (periodo e durata del transito, variazione di luminosità e sua durata) è possibile ricavare numerose informazioni di grande interesse, tra le quali il raggio del pianeta, il semiasse maggiore e l’eccentricità dell’orbita, il raggio e la massa della stella ospite.
È proprio questo metodo che nella gran parte dei casi consente oggi il rilevamento di esopianeti [We]: come risulta dalla tabella 1, al metodo del transito dobbiamo circa il 70% delle scoperte effettuate
[2] in generale, la temperatura stellare superficiale, derivata dall’analisi dello spettro stellare, può essere posta in relazione con il colore della stella. I vari spettri, con particolare riguardo alle righe di assorbimento che vi compaiono, possono essere raggruppati, a dispetto della loro grande varietà, in classi (o tipi) indicate con le lettere dell’alfabeto O, B, A, F, G, K, M, dove la prima classe presenta gli spettri più semplici. Ciascuna classe, a sua volta, è suddivisa in 10 sottoclassi indicate con le dieci cifre da 0 a 9: si avrà così la sottoclasse A3, B0 ecc.; ad esempio, il Sole è una stella di classe spettrale G2.
2.4 Metodo astrometrico
In questo caso si studia la posizione angolare della stella nel cielo: per quanto dicevamo poc’anzi, la stella segue una traiettoria (circolare o ellittica) attorno al comune centro di massa. Pertanto, proprio a causa della presenza del pianeta orbitante, la posizione angolare della stella nel cielo cambia periodicamente.
Se il monitoraggio della posizione apparente della stella nel tempo mostra variazioni nella posizione stessa, ciò può essere interpretato come conseguenza della presenza di un pianeta. Poiché però tali variazioni sono assai modeste, il loro rilevamento è una sfida ardua: tale metodo è quindi assai più raramente applicabile rispetto ai precedenti.
2.5 Metodo di imaging diretto
Quando si parla di imaging nel contesto della moderna ricerca sugli esopianeti si fa riferimento al processo di riconoscimento di un pianeta come singola sorgente di radiazione elettromagnetica. Si distingue a tale riguardo l’emissione termica, dovuta al fatto che la superficie planetaria si trova a una certa temperatura (emissione propria nella banda infrarossa), dall’emissione per riflessione, da parte del pianeta, della luce (nella banda visibile) proveniente dalla stella ospite (il che è indicativo dell’albedo planetaria).
Si tratta di misure delicate e difficili, poiché i pianeti sono sorgenti molto più deboli delle loro stelle e l’emissione planetaria, proprio per la vicinanza della stella ospite, è assai difficile da separare da quella di provenienza stellare, che deve essere opportunamente bloccata.
Per tali motivi, e pur nel costante miglioramento di tecniche e strumentazione, tale metodo contribuisce oggi in misura marginale al rilevamento degli esopianeti: dal 2004, anno cui risalgono i primi successi con tale tecnica (osservazione di 2M1207b, pianeta extrasolare di tipo gioviano, orbitante attorno a una giovane nana bruna[3] distante circa 170 anni luce), il numero di esopianeti identificati per imaging diretto è dell’ordine di qualche decina: si tratta di pianeti enormi, di tipo gioviano, caratterizzati da una significativa emissione propria di radiazione elettromagnetica e da grandi raggi orbitali.
[3] le nane brune sono corpi celesti la cui piccola massa non consente di “accendere” le reazioni di fusione nucleare dell’idrogeno che avvengono ordinariamente nei nuclei stellari: le nane brune traggono quindi energia dalla fusione di elementi più facili da “bruciare” (litio, deuterio) o dalla lenta contrazione gravitazionale.
2.6 Microlensing gravitazionale
L’effetto di lente gravitazionale è previsto dalla relatività generale.[4]
Per comprendere a grandi linee di che si tratta, facciamo riferimento a figura 3, dove 0 è un osservatore, S’ una sorgente luminosa (ad esempio, una stella) e S un corpo sufficientemente massiccio per curvare lo spaziotempo (tipicamente una galassia, ma anche una stella).
A causa della presenza di S e della curvatura dello spaziotempo da questo prodotta, i raggi emessi da S’ in direzione di 0 subiscono una deflessione gravitazionale, in modo tale che l’osservatore percepisce un’immagine sdoppiata S1‘ e S2‘ (se l’allineamento 0 – S – S’ fosse perfetto, si osserverebbe un anello luminoso attorno a S).
In effetti, il processo di sdoppiamento qui schematizzato è un caso limite, in quanto la deviazione gravitazionale della luce ha in generale due effetti sulla sorgente: un effetto di magnificazione (l’immagine è resa più luminosa) e uno di distorsione (l’immagine è distorta). In definitiva, si comporta come una lente convessa, che focalizza la luce.
Se l’oggetto che incurva lo spaziotempo è una galassia, si parla di lensing gravitazionale; se è invece una stella, si parla di microlensing, essendo l’effetto in tal caso assai meno marcato.
Ammettiamo ora che attorno a S’ orbiti un esopianeta: in tale caso l’evento di microlensing risentirà della presenza “aggiuntiva” del pianeta, rilevandone la presenza e permettendo anzi di determinarne la massa.
Il primo esopianeta scoperto attraverso tale tecnica è stato OGLE-2003-BLG-235Lb, gigante gassoso simile a Giove e orbitante attorno a OGLE-2003-BLG-235, stella nella costellazione del Sagittario. L’oggetto è stato scoperto nel 2004, grazie alla collaborazione internazionale tra il progetto polacco OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment) e il progetto neozelandese MOA (Microlensing Observations in Astrophysics). Tramite microlensing sono stati individuati, ad oggi, oltre 200 esopianeti.
[4] l’effetto lente gravitazionale è stato osservato per la prima volta nel 1979 da Walsh, Carswell e Weymann, i quali stabilirono che la quasar “doppia” 0957+561 è in realtà una singola quasar sdoppiata per effetto lente. A tale prima osservazione ne sono seguite numerose altre negli anni seguenti.
In definitiva, sulla base dei risultati osservativi ad oggi noti si ritiene che in media ogni stella possa ospitare almeno un pianeta: si stima che circa il 20% delle stelle simili al Sole abbia un pianeta di dimensioni “terrestri” nelle loro “zone abitabili”, ossia a distanze dalla stella madre ritenute compatibili con la formazione della vita.
Risulta che la maggior parte degli esopianeti conosciuti orbita attorno a stelle simili al nostro Sole, ossia a stelle di classi spettrali di sequenza principale F, G o K. Il telescopio Kepler ha tuttavia identificato anche numerosi casi di pianeti orbitanti attorno a nane rosse (classe spettrale M), rilevati tramite il metodo del transito, particolarmente efficace quando si tratti di ricercare pianeti più piccoli. Anche solo considerando la nostra Galassia, costituita da un centinaio di miliardi di stelle, il numero di esopianeti esistenti è dello stesso ordine di grandezza. Allargando il campo all’intero universo, come abbiamo detto costituito da centinaia – o migliaia – di miliardi di galassie, è ragionevole ritenere che il cosmo ospiti un numero di esopianeti davvero assai cospicuo.
Fine parte 2a di 4 – segue..
Bibliografia:
- [As] Asimov I., Civiltà extraterrestri, Mondadori, Milano (1986)
- [BT] Barrow J.D., Tipler F.J., Il principio antropico, Adelphi, Milano (2002)
- [Co] Covone G., Altre Terre, HarperCollins, Milano (2023)
- [CWDM] Conselice C.J, Wilkinson A., Duncan K., Mortlock A., The Evolution of Galaxy Number Density at z < 8 and its Implications, https://arxiv.org/abs/1607.03909v2 (2016)
- [He] Heidegger M., Essere e tempo, Longanesi, Milano (2005)
- [Ho] Howard A.W., Observed Properties of Extrasolar Planets, Science, 340, 572-576 (2013) DOI: 10.1126/science.1233545
- [MAR] Mahima K., Aditee M., Ritesh R., Exoplanet Detection: A Detailed Analysis, arxiv:2404.09143v2 (2024)
- [NEA] Nasa Exoplanet Archive, https://exoplanetarchive.ipac.caltech.edu/
- [PHM] Petigura E.A, Howard A.W., Marcy G.W., Prevalence of Earth-size planets orbiting Sun-like stars, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 110, n. 48, 31 ottobre 2013, pp. 19273–19278 DOI:10.1073/pnas.1319909110.
- [Pl] Platone, Repubblica, libro X, Mondadori, Milano (2008)
- [We] Wenda C., The Comparison of Five Methods of Detecting Exoplanets. Highlights in Science, Engineering and Technology, 38, 235-244 (2023). DOI:10.54097/hset.v38i.5812
Autore: Ivan Cervesato
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