Il linguaggio della Scienza del Cosmo
La filosofia contemporanea ha avuto il merito avere posto l’accento sull’importanza del linguaggio – sulla sua ambiguità e sulla sua ricchezza. Possiamo anche dire che, in una certa misura, un linguaggio è una teoria sul mondo (e su di noi). Un modo di rappresentare il mondo che è legato anche al contenuto ontologico di ciò che diciamo.
Così nel passare dalla gravitazione Newtoniana alla nuova teoria della gravitazione, la Relatività Generale, cambiamo sia la descrizione formale del mondo che il linguaggio che adoperiamo per descriverlo.
La gravitazione secondo Newton è basata sul principio di azione nel vuoto a distanza. Quella Newtoniana è quindi una forza che si trasmette a velocità infinita… e spostare (come per magia) la posizione di un pianeta nel sistema solare darebbe luogo istantaneamente a una ripercussione, a un cambiamento, a distanza di miliardi di anni luce nell’Universo.
La gravitazione secondo Einstein è invece basata sul principio della curvatura di spazio e tempo. Se noi spostiamo un pianeta nel sistema solare, stiamo cambiando la curvatura spaziotemporale e tale cambiamento si propagherà attraverso l’Universo (in forma di onda gravitazionale), giungendo un miliardo di anni dopo ad avere una influenza su qualcosa che si trovi a un miliardo di anni luce di distanza. Abbiamo cambiato il linguaggio. E non solo, abbiamo modificato anche i personaggi, l’ontologia della teoria: da un mondo di masse e forze siamo passati a un mondo di energie, curvature di spaziotempo e onde gravitazionali.
Al di là del fatto che la Relatività Generale si possa considerare più efficace della vecchia teoria di Newton (in effetti lo è), a noi interessa il cambiamento di principio. Un altro principio porta in un’altra direzione e sembra addirittura descrivere fatti tra loro diversi. Per questo motivo, ad esempio, occorre prudenza nel chiamare principio una parte del percorso della scienza. Perché la scienza è duttile in questo aspetto, disponibile a modificare ed abbandonare, a lasciare un principio per un altro. Perchè alla fine il principio più profondo e resistente della scienza, non è un principio “scientifico”, bensì etico: la ricerca della verità. Solo quello.
Fig. 1 – Ritratto di Luca Pacioli, di autore incerto, forse Jacopo de’ Barbari (anno 1500 circa). Il personaggio sulla destra potrebbe essere Copernico.
I nuovi linguaggi aprono orizzonti nuovi, ed infatti dobbiamo alla conoscenza astrofisica la possibilità di studiare il cosmo. Di studiare la nostra galassia, di studiare altre galassie. La possibilità di studiare pianeti, e non più solo i pianeti del nostro “paesino”. Il nostro sistema solare, un paesino grande dieci miliardi di chilometri, ma pur sempre piccolo rispetto alla nostra galassia.
Ci sono molti altri pianeti, pianeti che ruotano attorno ad altri soli e li vogliamo studiare. Vogliamo anche analizzarne le atmosfere, ed ipotizzare le forme di vita che possono ospitare. Ed anche questo spazio concettuale fu aperto dagli Antichi, da Democrito ad Epicuro. Il nostro Universo appare – e così fu effettivamente chiamato – un Mondo di Mondi [1].
Non sappiamo come siano le forme di vita che – con tutta probabilità – abitano gli altri pianeti. È difficile pensare di comunicare con loro, visto che nel caso migliore un nostro saluto riceverebbe risposta non prima di otto anni. Questo è il “caso migliore” perché sappiamo – o crediamo di sapere – che la velocità massima di propagazione di qualsiasi cosa non supera quella della luce nel vuoto e la stella a noi più vicina si trova a quattro anni luce di distanza.
[1] L’ipotesi che esistano altri mondi abitati era presente già nella filosofia degli antichi Greci (Anassimandro, Epicuro) e fu poi ripresa da molti sapienti e filosofi nel corso dei secoli. In particolare, Kant sostenne l’ipotesi che la Via Lattea (l’unica galassia allora conosciuta) fosse un “mondo di mondi”.
Autori: Marco G. Giammarchi e Roberto Radice
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