La concezione scientifico-riduzionista del Mondo
La conoscenza che viene chiamata scientifica irrompe sulla scena occidentale nel corso del diciassettesimo secolo. E come tutte le grandi rivelazioni, cambia il corso della storia. Molti hanno dato diverse definizioni del metodo scientifico galileiano: dalle “sensate esperienze” alle “necessarie dimostrazioni” esso sta a rappresentare l’idea di studio razionale e (per quanto possibile) quantitativo del mondo. Con parole moderne questo rapporto tra esperienza e dimostrazione è l’accordo tra la teoria fisica e l’esperimento eseguito in laboratorio.
Il criterio scientifico di verità poggia molto su questo accordo – e sul concetto di ripetizione controllata di un esperimento, nei limiti in cui questo è possibile. Vi sono infatti (almeno) due limiti fenomenologici da tenere in considerazione, la regolarità della natura e le caratteristiche delle scienze evolutive.
La regolarità della natura è quel principio che ci permette di affermare che un esperimento scientifico ripetuto molte volte darà sempre lo stesso risultato – laddove un punto di vista radicalmente empirista imporrebbe che ciò non sia necessario. In altre parole, è noto che un sasso lanciato in aria poi ricade sempre verso terra (dato che nessuno ha mai osservato il contrario), e per questo ci sentiamo autorizzati a dire che ciò avverrà sempre nello stesso modo. Abbiamo fiducia in questa regolarità del corso degli eventi.
Le caratteristiche delle scienze evolutive mettono in discussione, anzi negano di principio, la possibilità di ripetere esperimenti in condizioni controllate. Non è possibile studiare una stella in laboratorio, come non è possibile riprodurre in laboratorio l’evoluzione dell’Universo. O riprodurre con un esperimento controllato l’evoluzione delle specie viventi sulla Terra.
Consideriamo il riduzionismo come un’attitudine o una scelta. È una scelta discutibile, ma che ha avuto le sue ragioni. Riduzionismo è l’idea che la comprensione di un qualsiasi sistema passi necessariamente attraverso la comprensione delle sue parti più piccole – in ultima analisi dei suoi costituenti elementari – e di conseguenza che dalle leggi dei componenti elementari segue la comprensione del sistema nella sua totalità. Di solito un tale approccio è anche associato all’idea di un determinismo molto forte. Laplace ne parlava proprio in questi termini: datemi la conoscenza del moto di tutti gli atomi all’inizio del cosmo e sarà possibile prevedere il comportamento di tutto.
Fig. 3 – Nell’approccio riduzionistico ogni livello del divenire si intende basato sul livello costituente (più fondamentale).
Al di là del fatto che la sola meccanica quantistica renderebbe irrealizzabile il “sogno di Laplace” (così si chiama la metafora di cui sopra), la critica importante alla visione riduzionistica ha a che vedere con il dubbio che alle scale più “grandi” entrino in funzione nuove dinamiche. Non comprese nelle scale precedenti.
Quindi come intendere il riduzionismo? Semplicemente, considerarlo una possibilità. Un atteggiamento che può essere fruttuoso in svariati casi, ma che va considerato con prudenza: non abbiamo nessuna garanzia che siamo in grado di comprendere il comportamento di un cavallo semplicemente studiandone tutti gli atomi.
Ma in fondo, in questa sede, noi non abbiamo la necessità di dirimere questo importante problema… perchè comunque sia, la scienza offre la possibilità di essere fondamentale indipendentemente dalla validità del teorema riduzionista. Perché la sua pretesa di essere fondamentale si basa su altro – e precisamente si basa sul saper trattare spazio e tempo nelle condizioni più estreme. Dalle scale dell’infinitamente grande a quelle dell’infinitamente piccolo. E dall’inizio del tempo ad oggi, con tanto di predizioni per il futuro. E spazio e tempo sono le intuizioni pure per mezzo delle quali organizziamo l’esperienza sensibile. Ed è questo, in ultima analisi, il motivo per cui qui parliamo spesso di teoria quantistica, o di relatività generale.
Nell’ “Omega” attuale sono la teoria quantistica dei campi e la relatività generale a fornire un paradigma di interpretazione dell’intero Universo. Dal primo secondo fino al conteggio di 14 miliardi di anni. E tengono in equilibrio l’infinito. Nel senso di grande e nel senso di piccolo. Rispetto all’uomo. Per quanto certamente (sia chiaro!) non è solo con la scienza che si conosce e si apprezza il mondo (e l’uomo!), e per quanto la visione abbia i suoi limiti, essa ha la grandiosa potenza della filo-sofia. Dell’amore per la conoscenza che mosse Talete di Mileto nel VI secolo a.C.
La cosmologia basata sulla relatività generale segnala la probabilità di un universo infinito avviato da un principio all’inizio del tempo. E descrive l’evoluzione dell’essere nel suo aspetto materiale – quindi parliamo di un piano specifico, ma importante, dell’essere. Essa ci fornisce una storia, la storia di tutte le storie.
Ed assieme all’infinito, la scienza ripropone l’indefinito. L’indefinito primordiale, indefinito di opposti che come tali si manifestano e si riassorbono – non solo fluttuazioni particella-antiparticella nella massa cosmica primordiale. Ma anche indefiniti come sostanza e forma. La sostanza dei campi quantistici e delle particelle fondamentali che, nel corso della evoluzione cosmica (guidata da una energia) si formano. Una forma che si cala in una sostanza, una teoria quantistica di campi che ci mostra come una forma abbia organizzato l’indefinito di una sostanza.
Autori: Marco G. Giammarchi e Roberto Radice
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