É il quadro dello scandalo. Il dipinto, dissezionato e sparito per 500 anni, considerato il più immorale fra i tesori d’arte della Chiesa. É il “Bambin Gesù delle mani” del Pinturicchio. Un murale di soli 48,5 per 33,5 centimetri. Un capolavoro, smembrato in più parti e mai più ricomposto interamente per nascondere, si tramanda, un piccante peccato di blasfemia. Questa sarebbe la famosa immagine, che ha fatto scrivere al Vasari: “In detto palazzo ritrasse sopra la porta d’una camera, la signora Giulia Farnese (il papa Borgia, che aveva come emblema il toro, aveva sostituito la madre dei suoi figli, Vannozza Cattanei, con la nuova giovane e bella concubina n.d.r.) nel volto d’una Nostra Donna (Madonna n.d.r.); e nel medesimo quadro la testa di esso papa Alessandro che l’adora”. La citazione del Vasari, per la verità sarebbe contraddetta da una lettera di Francois Rabelais, datata 1536 con deduzioni “completamente diverse” e che per la verità non conosciamo. Un piccante e scandaloso “gossip” d’epoca con il ritratto dell’amante di un Padre Santo inserita in una composizione sacra? La “sposa di Cristo” (così veniva ironicamente chiamata Giulia per via della sua tresca con il pontefice) di Alessandro VI immortalata nei panni della Madonna? Non sarebbe l’unico errore interpretativo nelle storie del Vasari, che fra l’altro non è mai entrato in Vaticano e che nelle sue “Vite” sottovaluta il Pinturicchio e quasi ignora il capolavoro delle sue “stanze”, chiamate erroneamente Borgia. Come se anche lui si adeguasse alla “damnatio memoriae.”, come vedremo, di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo.
Si apre una tenda: il Bambino è nudo, bellissimo, il capo rotondo, i ricci castani scendono sulle orecchie e proprio al centro della fronte. La testa è incorniciata da un’aureola crociata lievemente a rilievo, divisa da una croce rossa templare (!), sfolgorante d’oro e porpora. Pinturicchio è sepolto a Siena vicino ad una magione templare (!). A poca distanza da un altro tempio con un osso di balena e in una teca persino delle armi, che una controversa e tardiva leggenda attribuisce ad un omaggio di Cristoforo Colombo, che in gioventù avrebbe studiato in quella città.
Il Bimbo è appoggiato su un cuscino con agli angoli due ghiande dorate, simbolo alchemico con la pianta della quercia. Emblemi di vita rinnovata, da rinnovare e di immortalità. Temi che appartengono, come vedremo, al precedente pontificato. Il santo neonato si rivolge verso un personaggio sparito rispetto alla composizione originaria. L’atto è benedicente, porge con la mano sinistra al suo interlocutore la sfera del globo terraqueo sormontato dalla croce, allegoria della signoria sul mondo, confermando l’esistenza di una persona di altissimo rango sulla sinistra dell’affresco. Il frammento ci restituisce solo le mani dei personaggi. Un gioco di mani straordinariamente avvolgente, come una “consecutio” quasi musicale. La destra del Bambinello è levata verso il cielo, il piccolo pugno è chiuso, tranne l’indice ed il medio sollevati. La sinistra tiene il globo dorato tripartito a T in una profusione di pastiglie d’oro in rilievo, che vanno dall’aureola, ad alcuni particolari. Virtuosismi da alta oreficeria. Direi da alchimista, vista l’ossessione per l’oro.
Da dietro, le mani della donna, della Madonna, avvolgono e sostengono il Bambino sotto l’ascella e ad un fianco, in un gesto materno e delicato. Ma lei non c’è più è stata tagliata. La figura della Vergine è ridotta a quello che è rimasto del quadro originario: pochi particolari, le mani affusolate, il manto blu con fodera verde, i bordi dorati, la veste rossa. Cosa possono significare gli strani geroglifici, di “gusto orientaleggiante”, che adornano il manto della Vergine? Qualcuno li interpreta come frutto della simbologia alchemica. Un capitolo tutto da scandagliare.
Nelle sembianze delicate ci si trova di fronte a una delle tante Madonne del Pinturicchio. In basso a sinistra si vede solamente un’altra mano, di qualcuno inginocchiato, che sorregge amorevolmente al Bambinello un piede. Ma anche lui non c’è più, è stato tagliato. Colpito e cancellato dalla mannaia della censura. Dei due personaggi fatti sparire restano, come detto, solo le mani. Una “damnatio”? Sicuramente. In Vaticano nelle stanze private di Alessandro VI un altro dipinto di Madonna con Bambino, molto meno bello, esisteva ma non aveva nulla a che vedere con la rappresentazione incriminata. E non si comprende perché non si sarebbe dovuto ripetere il ritratto della “bella Giulia” al posto della Vergine.
L’immagine del Bambino del Pinturicchio sarebbe stata tenuta nascosta ad occhi indiscreti e poi sezionata in tre parti per occultarne la vera committenza. Per 500 anni la si è considerata perduta, al punto che la si ritenne distrutta o addirittura mai esistita. Solo nel 2004 il frammento più bello del dipinto murale riapparve nel circuito antiquario e riconosciuto come opera autografa del Pinturicchio. Alessandro VI fu un papa senza scrupoli, accusato di lussuria, nepotismo, simonia, assassinii. In pochi giorni dopo la sua elezione vi fu una strage con circa 200 morti. Ma per quanto lo riguarda, a proposito della trasgressione che investirebbe il quadro del “Bambin Gesù”, non c’è una certezza che sia una. Forse è il caso di “riesumare” la figura del predecessore di Alessandro VI, Giovanni Battista Cybo, Innocenzo VIII. Era figlio di un Aronne, quindi di sangue anche ebreo, nipote di una Sarracina, quindi di sangue anche musulmano. Nato a Genova, ma di ascendenze greche. Nel facitore di ponti cattolico romano si coniugavano, come più volte rilevato in altri articoli e nei miei lavori, le tre grandi religioni del libro. Il che giustificherebbe in parte l’azzardo del quadro, frutto di una mentalità diversa, con l’incredibile posizione paritaria dei tre protagonisti del dipinto. In un’epoca in cui il sacro doveva essere predominante. E assolutamente intoccabile, contrariamente all’atto del successore di Pietro, che sorregge il piede del Bambino. Una gestualità possibile per un pontefice, come Innocenzo VIII, di costumi più aperti? Come dimostrano anche i plateali matrimoni, primo caso, di due dei suoi tanti figli in San Pietro divenendo, fra l’altro, consuocero di Lorenzo il Magnifico.
Il capolavoro “indecente”, a nostro avviso, sarebbe stato realizzato per Innocenzo VIII, tanto più che alcuni ne collocano la realizzazione, fra il 1486 e il 1492, in pieno pontificato Cybo (1484-1492). Lo storico dell’arte Tommaso Ricci ne aveva dato una criticata datazione precisa attorno al 1486. Secondo altre versioni sarebbe stato eseguito per arricchire in Santa Maria del Popolo una cappella della famiglia Cybo poi andata distrutta o per il chiostro anche quest’ultimo fatto sparire da successivi interventi di ristrutturazione. Ancora oggi all’interno di quella chiesa a Roma, con croci rosse templari (!) disseminate sul colonnato, c’è una nuova, bellissima cappella Cybo sfavillante di marmi. A sostituire i capolavori cancellati, come accade per quasi tutto quanto realizzato da Innocenzo VIII, comprese preziose opere del Mantegna.
La posizione dei Cybo, che vanta un’infinita serie di prestigiosi uomini di Chiesa, nell’atto di genuflessione e a mani giunte, in atto di preghiera, appare una specie di “imprinting” familiare. Come nel pontefice del Pinturicchio, come vedremo, eternato nel ciclo delle stanze innocenziane, poi usurpate dal Borgia. In effetti nel dipinto dello scandalo il papa sembrerebbe essere proprio Giovanni Battista Cybo, il predecessore di Alessandro VI, eternato in una tenera intimità con il piccolo Gesù. In un contatto come da padre a figlio: per un nuovo Bambino e un nuovo Adamo. Occorre a questo punto aggiungere che da oltre 30 anni ci occupiamo di Cristoforo Colombo e della scoperta dell’America per sostenere che il vero “Deus ex machina”, lo “sponsor” dell’impresa, fu Innocenzo VIII. Legato da affetto paterno al navigatore. Mentre ritorna in proposito alla mente una frase di Bartolomeo de Las Casas, il cronista delle Indie. Scriveva riferendosi ai viaggi colombiani: “… fu una delle imprese più valorose che Dio si proponeva di realizzare nel mondo, dal momento che Egli aveva disposto che si scoprisse un orbe così vasto ed una parte dell’universo – la parte maggiore, a ciò che si crede, fino ad allora così segreta e nascosta – dove avrebbe dovuto dilatare la sua santa Chiesa e chissà forse del tutto colà trasferirla”. Cybo, etimologicamente il cubo, era la pietra angolare sulla quale erigere la Chiesa nuova da rifondare e ricostruire.
Innocenzo prima di sposare la carriera ecclesiastica aveva avuti molti figli. La storia ne riconosce solo due: Franceschetto e la sorella. Nottetempo sulla statua di Pasquino compariva scritto: “Lode a Innocenzo rendere,/ Quiriti! ben si debbe/ ché dell’esausta patria/ la prole ei stesso accrebbe!/ Otto bastardi e otto fanciulle ha generato./ Nocente e della patria padre sarà chiamato”». Ma gli altri? Che fine hanno fatto gli illegittimi?
Gesù, questa volta sulle spalle del Santo Cristoforo, che attraversa le acque, è il Bambino nuovo, il novello Adamo. Colombo, che si firmava Christo Ferens, è il portatore di Cristo, l’incarnazione di San Cristoforo. Anche lui attraversa le acque. Il globo che offre il Bambino delle mani è tipico e ricorrente proprio nell’iconografia del santo gigante. Così il navigatore porterà a sua volta la parola di Gesù al di là dell’oceano Atlantico e consegnerà la sfera completata del globo sotto la croce al successore di Pietro. Esattamente come il Bambin Gesù del Pinturicchio sembra consegnare al pontefice il globo per il dominio del mondo. Sovranità confermata dall’esoterica lancia di Longino, che colpì il costato di Cristo, custodita nelle mani di Innocenzo VIII e ricevuta in dono da Bajazet il figlio di Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli. Si tratta di uno dei talismani più inseguiti e ricercati proprio per la sua potenza divina, che veniva trasmessa nelle mani del possessore, garantendo l’immortalità e ancora una volta il dominio del mondo. Non a caso fu inseguita da Carlo Magno, Napoleone e Hitler.
Innocenzo VIII progettò per l’asta divina uno stupendo ciborio in San Pietro, che venne successivamente demolito. E dove era presente una composizione sempre del Pinturicchio decisamente simile nelle posizioni al Bambino delle mani. Resta per fortuna la tomba di Giovanni Battista Cybo del Pollaiolo in San Pietro. Dove nel marmo è inciso: “Novi orbis suo aevo inventi gloria”, ovvero “Nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta di un Mondo Nuovo.” Mentre nella confusione la vulgata attribuisce la “scoperta” al ritorno dal viaggio quando il papa era AlessandroVI. Ma sulla misera tomba del Borgia, confinata fuori San Pietro in via Monserrato, non c’è nessun riferimento alla “scoperta”. Attribuita sempre al papa genovese, come risulta da un incunabolo del 1507 un “Pseudopetraca” sulla vita di imperatori romani e pontefici. La prescoperta nel tempo di papa Cybo, antecedente al 1492, è confermata dal Panvinio, da Oviedo, da Guicciardini, da Piri Reis e molti altri storici. Il che spiegherebbe l’oro usato, nel tempo di Innocenzo, per i capolavori del Pinturicchio. Per questo l’opera del “Bambino Gesù delle mani”, nell’intento del Borgia, o di chi per lui o dopo di lui, andava distrutta, sezionata. Contraffatta, in modo che se ne celasse il significato. Colpita come tutto il resto relativo alla famiglia Cybo allo scopo di cancellare i meriti di Innocenzo VIII e appropriarsi, fra la Roma del Borgia e i re spagnoli, del Nuovo Mondo con le relative ricchezze.
La somiglianza, come scritto più volte, fra Colombo e Innocenzo VIII è inquietante. come è inquietante la somiglianza del profilo fra le immagini iconiche del pontefice, fra cui il medaglione, ed il volto del suo omologo genuflesso davanti alla Madonna ancora nelle cosiddette “stanze Borgia”. Al nord Colombo è come Esposito al sud, l’esposto, il figlio di padre ignoto e quindi dello Spirito Santo. Il suo primo stemma di famiglia, che successivamente verrà fatto sparire, ha impressionanti analogie con i colori dello stemma Cybo. In un documento dei primi del Cinquecento si parla di un “Columbus nepos.” Che poteva significare nipote, ma anche figlio, da cui il termine nepotismo. Di chi si trattava?
Si aggiunga che era un’epoca in cui spasmodicamente si aspettava la fine dei tempi. Molto di più che per l’anno mille. Marte e Saturno si incrociavano nei cieli in un’attesa di cambiamenti, specie nell’ambito religioso. Si parlava ossessivamente di una nuova Resurrezione, di una nascita nuova. Di Apocalisse in senso di rivelazione, di mutazione. La Chiesa non era affatto insensibile a simili richiami. La data più vaticinata era il 1484, l’anno dell’intronizzazione di Innocenzo VIII. Si sarebbe poi dovuta concretizzare nel Mondo nuovo di Cristoforo Colombo e del papa genovese. In attesa del tempo dello Spirito Santo secondo le profezie di Gioacchino da Fiore, del quale Colombo e i francescani spiritualisti, di cui si circondava, erano seguaci
Si aggiunga che, sempre a proposito del Pinturicchio, “pictor papalis” di Innocenzo VIII, nella Resurrezione in Vaticano (quel ciclo e il pontefice inginocchiato, come abbiamo accennato e come abbiamo cercato di dimostrare in un articolo pubblicato su “Fenix” (giugno 2021), rappresentano Innocenzo VIII e non Alessandro VI, la profusione di oro di stampo islamico, greco-orientale si materializza probabilmente con il primo carico del prezioso metallo portato da Cristoforo Colombo. Sarebbe lo stesso oro, la stessa foglia doro utilizzati nell’aureola e nel globo del “Bambin Gesù delle mani”. Sarebbe inoltre lo stesso oro impiegato per la doratura del soffitto ligneo di Santa Maria Maggiore e per quello dell’abbazia di Farfa. Era l’oro di Colombo il quale affermava che “l’oro porta le anime al paradiso”, era l’oro di Innocenzo, l’oro di un pontefice che, inviando il congiunto Cristof-oro verso il mondo incognito delle meraviglie, voleva ricreare il tempo dell’oro sulla terra, l’“aurea Roma” e fondare probabilmente una religione universale di pace, grazie anche al patto da stringere con il sultano Djem, che si trovava ostaggio riverito in Vaticano o con il fratello Bajazet, i due figli di Maometto II. Anche con l’ausilio del sultano d’Egitto e, se possibile, con l’alleanza del Gran Khan, secondo quanto auspicato fin dai tempi di Marco Polo, il cui “Milione” Colombo postillava maniacalmente, nella speranza di raggiungere l’imperatore di Oriente, una volta “scoperta” l’America. Se la pace non fosse stata possibile non rimaneva che l’ultima crociata con l’oro delle Indie.
È questo il senso recondito del Bambino del Pinturicchio, che offre al pontefice inginocchiato il Mondo Nuovo? Era la Chiesa inseguita dal Christo Ferens, era la Chiesa auspicata dall’“alter Christus”, il novello Pietro, che metteva al servizio dell’umanità e della casa di Dio il “suo” Cristoforo? Pronto anche al sacrificio come per Gesù sulla croce. In effetti Colombo fu martirizzato. A questo punto la pietra dello scandalo si sposta da Alessandro VI a Innocenzo VIII, il novello Costantino, come nell’arco delle “stanze innocenziane”. La donna rappresentata non consiste nel ritratto di Giulia Farnese nelle vesti di Madonna. Lo scandalo investe addirittura il Bambinello: nuovo Adamo nel Mondo Nuovo. Gemello del Christo Ferens, come si firmava Colombo? Non a caso il Bimbo è appoggiato su un cuscino con agli angoli due ghiande dorate, simbolo alchemico, come abbiamo visto, come la pianta della quercia. Allegorie, come già rilevato, di vita rinnovata e di immortalità. Innocenzo VIII nel mausoleo funebre che si trova in San Pietro, unico traslato dalla vecchia basilica costantiniana alla nuova, in un omaggio singolare per un pontefice colpito da “damnatio memoriae”, ha nelle mani, come già detto, la lancia di Longino, preziosissimo simbolo magico di immortalità.
Curioso inoltre che il Pinturicchio abbia realizzato anche “Un ritorno d’Ulisse”, che si trova a Londra. È l’unico Ulisse attraverso i secoli, che io sappia, vestito in abiti rinascimentali, accanto ad un dignitario musulmano, Djem, il figlio di Maometto II, ospite-ostaggio, come già rilevato, di Innocenzo VIII in Vaticano. Sullo sfondo non c’è una nave greca, ma una caravella. L’impronta di papa Cybo è presente nel pavimento a quadri rossi e bianchi, come nel suo stemma, e nella stessa veste di Ulisse con i cubetti dell’emblema sulle cosce, mentre un gatto gioca con un gomitolo. L’animale, nella simbologia cristiana, era la metafora di Cristo come cacciatore, cacciatore di anime ed era presente spesso nelle Natività del Bambino nuovo. Colombo andava soprattutto a caccia di anime. Portava il Bambino nuovo. Ci sono infine anche due volatili: un corvo ed un falcone. Il corvo volò dall’arca per non tornare, annunciando a Noé l’approdo alla terra dopo 40 giorni. Come dopo 40 giorni accadrà per Colombo. Il falcone è metafora della visione profetica. Colombo ha scritto perché “la Verità trionfa sempre”. Ma non è mai accaduto per oltre cinquecento anni. Molti, compreso il sottoscritto hanno fatto un preciso parallelo fra Colombo ed Ulisse e il loro quasi identico “folle volo”, nel libro “Dante Colombo e la fine del mondo” edito da Xpublishing. Direzione un nuovo cielo e un Nuovo Mondo.
L’opera “indecente”, rimasta ignota per quasi cinquecento anni, è stata però riscoperta in una collezione privata. Per fortuna dell’intero quadro ne aveva fatto una copia il pittore mantovano Pietro Fachetti. Un altro giallo nel giallo. Pietro Fachetti nel 1612 fu inviato a Roma per riprodurre l’affresco. Un’operazione alla 007. Quando sua altezza (Francesco IV Gonzaga n.d.r.) mi disse che avrebbe voluto qualche pittura stravagante da porre in una galaria, andai pensando di farli havere l’effigie dell’origine di casa Farnese, che ora fa professione di far tanto rumore. Questa, come sa forse vostra signoria, sta ritratta in una Madonna sopra la porta della camera da letto dove dorme d’inverno il signor cardinale (Scipione) Borghese, ma è nel muro. I farnesiani hanno fatto ogni opera per farla cancellare, ma per essere mano di quel grand’uomo non l’han voluto fare questo, sì che vi è inchiodato sopra una tela con chiodetti e poi vi è un taffetà e sopra di esso “una Madonna del populo”. Io ho corrotto il guardarobba di Borghese con un par di calze di seta e l’ho fatto così scrivere dal Fachetti nostro, che me la loda per una cosa rara, ma ancor non è finita ben bene, si come anche non so quando la potrò ricuperare per non haver dinari da pagarlo.” Così scrive Aurelio Recordati a Francesco IV Gonzaga, che pensava di utilizzare il dipinto per colpire e infamare la famiglia Farnese e i discendenti di Giulia. Visto che ormai la protagonista del dipinto, strumentalizzata nelle vesti di Madonna, era considerata a tutti gli effetti, dalle ulteriori calunnie, l’amante di Alessandro VI.
La copia del quadro è praticamente la calcomania, a parte il contatto con il piede del Bambinello, delle immagini che facevano parte, lo ricordiamo ancora, del ciborio di Innocenzo VIII, posto nella basilica a fare da contraltare alla statua di San Pietro. Un prezioso manufatto fatto sparire, come doveva sparire la fama del papa “americano”, che il Pastor, il grande storico dei pontefici, definisce “marinaro”. Perché? Perché un’opera di grande valore artistico, come il ciborio, venne sacrificata? Per perpetuare l’inganno a danno di Innocenzo VIII, il “deus ex machina” dell’operazione America? La posizione dei personaggi del ciborio ritorna, sicuramente non a caso, nel monumento sepolcrale di un altro Cybo, il cardinale Lorenzo, in S. Cosimato a Roma. D’altronde le sembianze nel dipinto del Pinturicchio, lo ripetiamo, sono quelle di Innocenzo VIII e non hanno nulla a che vedere con quelle del pontefice spagnolo, come risulta da altri ritratti di Alessandro VI. Sono le stesse, lo ripetiamo ancora, del papa inginocchiato, nel ciclo sempre del Pinturicchio, delle “stanze innocenziane”. Quelle camuffate fino ad ora in stanze Borgia. Sembianze che si ritrovano nel medaglione di papa Cybo. E soprattutto in fotocopia, a nostro giudizio, nell’“Assunzione della Madonna” del Perugino, capolavoro scomparso per i rifacimenti della Cappella Sistina.
Per le ragioni esposte si presume il perché della sparizione dell’originale del Pinturicchio, dopo essere stato smurato e smembrato, facendo nascere, quasi sicuramente in seguito, la pruriginosa leggenda per colpire con lo scandalo la famiglia Farnese. Con una ascetica Madonna-concubina che, fra l’altro, non assomiglia ad una Giulia Farnese decisamente più in carne. Veleni, maldicenze che facevano parte delle rivalità fra le grandi famiglie romane, che gravitavano attorno alla corte di Roma. In un’altra lettera al Gonzaga si spettegolava ancora sul falso: “Promisi di mandare a vostra altezza il ritratto al naturale della signora Giulia Farnese, sorella di Paolo III, amica di AlessandroVI et origine della grandezza di così honorata famiglia, e questa è il viso della Madonna che l’altezza vostra vede ritratto. Non si meravigli se è dipinta per la Beata Vergine, perché a Roma molte cose che non stanno bene si coprono col manto della religione e la maggior parte delle sante che si dipingono sono figure di donne che o furrono o sono…” In un gioco delle tre carte applicate ai dipinti ad uso e consumo delle circostanze “politiche”.
Rimane alla Fondazione Giordano che lo custodisce, nella sua interezza, uno stupendo Bambino, lo ripetiamo, “alter ego” del Christo Ferens-Colombo e di una Chiesa nuova lanciati verso un Mondo Nuovo. Per completare la sfera della creazione e forse l’unione delle genti in un unico ovile. E dare inizio all’era dello Spirito Santo, secondo la profezia di Gioacchino da Fiore, superata l’imminente Armageddon. In un’ossessione per la fine del mondo pronosticata da tutte le menti più prestigiose del tempo, Colombo compreso. Il quale fa addirittura il computo degli anni all’uso ebraico in vista dell’imminente “Apocalisse-rivelazione”. Come nelle innumerevoli, ricorrenti interpretazioni dell’Apocalisse eseguite nelle chiese dai geni del tempo. E rivelazione sarà con il Nuovo Mondo.
Autore: Ruggero Marino
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