(Parte seconda)
Un esempio tipico di filosofia dell’età ellenistica, al pari dell’epicureismo e dello scetticismo, è costituito da quella stoica.
Fondatore dello stoicismo è Zenone di Cizio, nato nell’isola di Cipro tra il 336 e il 335 a.C., il quale sceglie come sede in Atene un edificio con un portico (gr. Stoà) dipinto, da cui il nome stesso della scuola.
La fisica stoica sostiene che il mondo intero è regolato da un ordine razionale rigoroso, immutabile ed eterno alla cui base vi è un principio unico che si manifesta sia come forma (principio attivo o ordinatore) sia come materia (principio passivo o ordinato). Pertanto nel mondo non vi è posto per alcunché di casuale.
Si tratta dunque di una concezione di tipo fatalistico che da un lato riflette fedelmente la condizione politico-sociale del tempo, nella quale gli uomini non sono in grado di decidere del proprio destino in modo autonomo; ma se teniamo presente che dal punto di vista etimologico il termine ratio significa in origine “calcolo”, “misura”, non ci risulta difficile capire come d’altro canto la filosofia stoica proponga anche la visione rassicurante e consolatoria di un mondo ordinato che è possibile conoscere e comprendere attraverso la ragione e nel quale ci si può di conseguenza orientare. La ratio, la misura, la regola razionale che governa il mondo è infatti connaturata con quella che regola la nostra mente ed i suoi atti (non per caso gli stoici furono anche convinti cultori di logica, alla quale diedero il nome stesso). Come sempre, anche qui il cammino della verità e quello della sua ricerca, ossia il cammino della conoscenza, si confermano dunque inscindibili.
In tutto vi sono delle “ragioni seminali” (lògoi spermatikòi), cioè dei “semi di ragione”, delle “pillole di razionalità” che assegnano rigorosamente a ciascuna cosa il suo posto ed il suo ruolo inderogabile nell’ordine generale.
A prima vista può sembrare che in una concezione di questo tipo non rimanga alcuno spazio per la libertà, ma gli stoici non sono di questo avviso e ce lo spiegano tramite una similitudine. Per loro la condizione dell’uomo nel mondo è paragonabile a quella di chi finisca in un fiume in piena. Egli non può far nulla per fermare o mutare la forza soverchiante della corrente, però può scegliere se ribellarsi ad essa mettendosi a nuotare disperatamente controcorrente – ed in tal caso il suo destino è segnato: la corrente lo travolgerà – oppure può scegliere di assecondare la corrente e di sfruttarla a proprio vantaggio per farsi condurre progressivamente verso riva e quindi verso la salvezza. Lucio Anneo Seneca, scrittore e filosofo romano fortemente influenzato dallo stoicismo, scrive infatti: “Ducunt volentem fata, nolentem trahunt” (“Il destino guida chi lo accetta, travolge chi lo rifiuta”).
Accettare il destino, che poi è l’ordine divino immanente nel mondo, vuol dire assecondare la natura. “Vivi secondo natura” è la regola etica fondamentale dello stoicismo. Ma la “natura” dell’uomo, come del resto anche quella del mondo, è razionale. Pertanto vivere secondo natura equivale a vivere secondo ragione. Questo è per lo stoico il supremo dovere, la suprema virtù, il supremo bene, E’ la vita del saggio, illuminata dalla conoscenza delle leggi che governano il mondo e rasserenata dal loro rispetto.
Poiché la regola di vita fondamentale è una legge della natura e della ragione, essa accomuna gli uomini di tutto il mondo, dei quali il saggio si sente concittadino. In questo gli stoici sono paladini del cosmopolitismo e precursori del giusnaturalismo.
Centrale nell’etica stoica è il concetto di apatia, “impassibilità”, che non vuol dire passività e arrendevolezza, ma superiorità rispetto alle passioni ed agli interessi mondani. Strettamente collegato è l’ideale dell’autàrkeia o “autosufficienza”, che porta il saggio a ricercare la massima indipendenza nei confronti di tutti quei fattori incontrollabili ed imprevedibili (persone o circostanze) che potrebbero procuragli effetti sgraditi e minacciare la sua serenità d’animo.
La libertà vera, per gli stoici, è una libertà di tipo interiore più che esteriore. Essi sono soliti dire che l’uomo può essere libero anche in catene, fino a che libera è la sua anima, o la sua mente (psyché); e tale atteggiamento li aiuta, naturalmente, a meglio sopportare lo stato di illibertà politica caratteristico dell’epoca.
Se poi le condizioni esterne arrivano a minacciare la possibilità di seguire la via della virtù e della libertà, lo stoico sa di potersi sottrarre alla minaccia attraverso il suicidio, che la sua dottrina ammette come strumento estremo di liberazione dell’anima. Ce ne danno significativi esempi, oltre al fondatore stesso Zenone di Cizio, anche Catone l’Uticense, che compie tale gesto per non sottomettersi al volere di Giulio Cesare, e Seneca che vi fa ricorso per sottrarsi all’arresto da parte dell’imperatore Nerone.
Nell’ambito delle conferenze organizzate da “Filosofia sui Navigli” abbiamo visto di recente che la questione del suicidio come libera scelta è ripresa e sviluppata da diversi autori a noi contemporanei (quali Bataille, Sartre, Camus, Critchley…). Ciò testimonia la presenza di forti elementi di attualità nel pensiero stoico e dimostra come esso, pur se strettamente legato alle condizioni storiche e sociali del suo tempo, proponga d’altro canto temi e problematiche capaci di attraversare i secoli.
Leggi anche Il cammino della verità – 5 L’età ellenistica
Autore: Roberto Maria Pittella
0 commenti