PREMESSA
Come abbiamo avuto modo di chiarire nell’introduzione a questo ciclo di articoli dedicato al “cammino della verità”, non è nostro intento costruire una storia organica del sapere filosofico, ma più modestamente cogliere alcuni passaggi particolarmente significativi di tale cammino. Pertanto non ci sentiremo rigidamente legati all’ordine cronologico. Non c’è dunque da stupirsi del fatto che in questo intervento si compia un passo indietro rispetto al precedente per cercare di capire i motivi di vario ordine che portarono nell’antica Grecia alla nascita del pensiero filosofico. Naturalmente ci si riferisce qui alla nascita della filosofia occidentale. La precisazione è opportuna per il rispetto dovuto ad altre e diverse tradizioni non meno rilevanti.
CAMBIAMENTI STORICO-SOCIALI
Tra il nono e l’ottavo secolo avanti Cristo la Grecia è protagonista di una serie di cambiamenti epocali. In tale periodo scompaiono le antiche monarchie assolute dell’età micenea: quelle, per intenderci, di cui narra Omero nell’Iliade. La loro crisi è già adombrata nel secondo grande poema omerico, l’Odissea, dove il potere assoluto del re è minacciato da una classe di aristocratici, ivi rappresentati dai Proci.
Così alle antiche monarchie si sostituiscono progressivamente delle repubbliche aristocratiche od oligarchiche, che rappresentano un primo e parziale passo verso la democrazia. E’ evidente come il passaggio dall’assolutismo a forme di governo più tolleranti verso la libertà di pensiero e di espressione costituisca l’humus più propizio alla nascita della filosofia. Nasce nel frattempo la pòlis, la città-stato che con le sue leggi porrà un argine severo ad ogni forma di abuso e di arbitrio, divenendo così la vera e propria culla della democrazia.
Ma un’ulteriore importante novità muove nello stesso senso. Qui, oltre alla storia ed alla politica, entrano in gioco altri fattori, come l’economia e la geografia. Tra l’ottavo ed il settimo secolo vanno sviluppandosi sempre più, accanto all’agricoltura, anche attività artigianali e commerciali. Inoltre la posizione geografica della Grecia al centro del Mediterraneo, insieme con la nascita e lo sviluppo dei commerci, porta alla fondazione di una fitta rete di colonie lungo le coste del bacino mediterraneo: quelle del Medio Oriente, quelle dell’Africa settentrionale, e quelle dell’Italia meridionale, che non per caso assumerà poi la denominazione di “Magna Graecia”, cioè di “Grecia allargata”.
Il movimento di merci che caratterizza questi centri comporta ovviamente anche movimento ed incontro di persone e quindi di idee. Le colonie greche divengono così altrettanti ponti e luoghi di contatto tra civiltà e culture diverse. Inoltre, il fatto di essere centri di nuova fondazione permette loro di non essere gravate da pesanti tradizioni monarchico-aristocratiche e di essere quindi molto più aperte alle novità ed al confronto. Tutti questi fattori ci aiutano a capire come mai proprio le colonie, e non le grandi città della madrepatria, costituiscano i luoghi di nascita del pensiero filosofico.
CAMBIAMENTI CULTURALI
Come ben sappiamo, i cambiamenti storico-sociali e quelli culturali procedono quasi sempre di pari passo. Infatti la diffusione della navigazione marittima implica un importante cambiamento di mentalità. Molte tra le grandi civiltà antiche sono nate e si sono sviluppate lungo dei corsi d’acqua: pensiamo all’Egitto con il Nilo, alla Cina con il Fiume Giallo ed il Fiume Azzurro, al’India con il Gange, alla Mesopotamia con il Tigri e l’Eufrate. La navigazione fluviale è sempre stata per loro un’attività ed una risorsa fondamentale. Ma rispetto alla navigazione fluviale – con i suoi punti di riferimento fissi e sempre ben visibili – la navigazione marittima comporta una vera e propria rivoluzione nella mentalità e nella cultura di chi la pratica. Intanto richiede conoscenze tecniche, astronomiche, matematiche, nuove e molto più complesse; ma soprattutto richiede un diverso e maggiore spirito di avventura e di disponibilità ad affrontare l’imprevisto e l’ignoto.
Non è affatto casuale che la figura protagonista del primo poema omerico sia l’eroe-guerriero (Achille, Ettore) le cui virtù sono il coraggio in battaglia, la forza, la fama; mentre il protagonista del secondo poema (Ulisse) è il viaggiatore, l’esploratore dotato di coraggio nell’affrontare l’ignoto, di intelligenza e di desiderio di conoscere.
Del pari non va poi trascurata un’altra importantissima rivoluzione in campo culturale: la diffusione della scrittura alfabetica (derivata dalla cultura fenicia) che, rispetto alle precedenti scritture basate sugli ideogrammi, rende possibile la formulazione e l’espressione di concetti astratti e molto più complessi. L’azione combinata di tutti questi fattori costituisce al tempo stesso la scintilla e la miccia che accendono il fuoco della filosofia.
Ma non dobbiamo trascurare un ulteriore aspetto che contribuisce a preparare il terreno idoneo per tale processo. La filosofia ha infatti un illustre progenitore nel mito. La mitologia è stata creata dagli uomini per rispondere a domande e bisogni ineludibili, come quello di trovare un senso e/o una spiegazione per tutto ciò che accade loro, in loro e intorno a loro.
Mettere una divinità (in prevalenza di tipo antropomorfo) a capo di ogni settore del mondo e della realtà serve a spiegare, attraverso la sua volontà spesso capricciosa ma comunque comprensibile, quanto di più o meno imprevisto accade in quel settore. Serve inoltre ad “umanizzare” tutto il quadro d’insieme, rendendolo meno spaventosamente enigmatico e mettendolo alla portata di chi deve riuscire ad interpretarlo ed a viverci. Serve infine a convincere gli uomini di poter agire a proprio favore su tale quadro attraverso le parole, le preghiere ed i sacrifici propiziatori rivolti alle divinità che lo governano.
Pensiamo per esempio alla “Teogonia” di Esiodo, opera che costituisce anche una “cosmogonia”, cioè un grande tentativo di spiegare la genesi dell’universo intero in base alla generazione ed alle imprese delle varie divinità che, appunto, lo controllano e lo rappresentano.
Ora, tutto questo sforzo davvero “titanico” di umanizzare il mondo, di spiegarlo e di influenzarlo non è davvero riducibile ad un puro e semplice parto della fantasia, anche perché mostra sorprendenti analogie tra civiltà e culture diverse. Esso si muove comunque in prevalenza sul piano del sacro, del simbolico, della rivelazione (il termine greco μῦθος significa tra l’altro “parola”, “racconto”) e dell’ispirazione mistica.
Ma nel momento in cui gli uomini, in seguito ai progressi sociali e culturali di cui s’è detto sopra, si trovano a dover affrontare problemi teorici e pratici nuovi e più complessi, come i cambiamenti storico-sociali, le nuove attività lavorative, i viaggi in mare aperto, i rapporti con società e culture sconosciute, allora quegli strumenti, per quanto importanti, non bastano più. Gli uomini sentono il bisogno di spiegazioni e di strumenti più razionali per affrontare tutta questa messe di novità. Ecco che si manifesta la necessità di passare dal mythos al lògos, dal mito al ragionamento.
A tal proposito ci sembra opportuna un’osservazione che troppo spesso sfugge: tra mythos e lògos vi è indubbiamente differenza, ma non manca anche un rapporto di continuità (tra l’altro ambo i termini hanno tra i loro significati quello di “parola”). Entrambi hanno infatti lo scopo di raccontare, di descrivere e soprattutto di interpretare il mondo (inclusi gli uomini stessi), dandogli un senso che permetta di comprenderlo e di controllarlo.
Quanto abbiamo fin qui illustrato ci permette di capire come mai la filosofia occidentale nasca proprio in Grecia – nel cuore del Mediterraneo – proprio nelle colonie e proprio tra il settimo ed il sesto secolo avanti Cristo, là dove un “mondo” sta cambiando.
Ci permette anche di capire che cosa cerchino i primi filosofi greci e perché. Essi vanno alla ricerca di un principio ordinatore dell’universo (arché) che possieda le stesse prerogative della divinità – cioè sia immortale, dia vita all’universo, lo regga e lo governi – ma la cui natura ed il cui agire siano spiegabili razionalmente e non più consegnati a fattori in prevalenza extrarazionali. Un tale principio permetterà all’uomo di comprendere l’universo e dunque di “addomesticarlo”, affrancandolo però al tempo stesso dall’arbitrio e dal capriccio di divinità antropomorfe.
ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ci pare che dal corso di questa esposizione traspaiano già le prime avvisaglie di quel duplice “cammino della verità”, al quale s’è fatto cenno nell’introduzione al presente ciclo di interventi.
Infatti abbiamo individuato, da una parte, il “farsi” della verità che coincide con la vita vissuta dell’umanità, con la sua storia, almeno come intesa da correnti di pensiero analoghe per esempio alla Scuola delle Annales; dall’altra abbiamo colto quel cammino di ricerca del vero ad opera dell’uomo (prima attraverso il mythos e poi tramite il lògos) che in fondo è parte viva e integrante del “farsi” stesso della verità; ma questa volta, diciamo così, “nella differenza della parola” o “nella differenza del sapere”. Con ciò dobbiamo intendere il fatto che l’uomo introduce un quid novi rispetto a tutti gli altri esseri viventi: la capacità di esprimere attraverso il linguaggio la storia della propria specie e del proprio mondo e la capacità, strettamente collegata, di riflettervi sopra in senso critico. Tali caratteristiche donano al sapere umano una particolare forma di ambivalenza: esso può risultare infatti, per così dire, “eccedente” rispetto alla realtà in quanto consapevole di sé, e al tempo stesso “carente” rispetto alla realtà in quanto esposto all’errore e all’incertezza e quindi sempre incompleto e provvisorio.
Ora, i due aspetti del “cammino della verità” – il corso della storia o della realtà, ed il corso del lògos, (cioè del “dire” e del “pensare”) – non vanno visti come separati e contrapposti tra loro, pena il rischio di ricadere in forme obsolete di dualismo simile a quello cartesiano tra res cogitans e res extensa, o a quello kantiano tra mondo noumenico e mondo fenomenico, od ancora a quello idealistico e a quello materialistico tra soggetto ed oggetto, od infine a quello tra uomo e natura.
Ma questi saranno i nostri nuovi e prossimi argomenti di indagine.
Autore: Roberto Maria Pittella
La voglio ringraziare per l’opportunità che ha dato, a chi fosse interessato, di ampliare le conoscenze sulle radici della “prima filosofia”, se mi vuol far passare il termine. L’aspetto storico da Lei ha sapientemente spiegato mi ha non poco affascinato, dato che non sempre si riesce a trovare informazioni esaustive che facciano rendere conto, o che, comunque, diano spunti di riflessione veri, sul perché si è iniziato proprio allora, non prima né dopo, ad interrogarsi sulla “domanda per eccellenza”, ovvero “perché siamo”! Com’è possibile che, in ognuno di noi, anche inconsciamente agli stessi molto spesso, ci sia un intero universo, e quale scopo dovremmo raggiungere per via di esso?
Certo, rimarrei qui a scrivere per ore, dato che l’argomento mi appassiona molto, ma devo lavorare, quindi concludo ringraziandoLa ancora, e Le auguro buon lavoro, nonostante non ce ne sia certamente bisogno.
Gentile Mario Pappalardo,
sono io a ringraziarla per il suo commento lusinghiero che mi incoraggia a procedere in questa ricerca sul “cammino della verità”.
In effetti, come lei ha acutamente osservato, sto provando a svolgere un lavoro nuovo, di tipo interdisciplinare e “multiprospettico”, parlando di storia, di geografia, di economia, di politica, di cultura, di religione, di mitologia, di filosofia, di scienza, di vita vissuta, e cercando di mostrare le vive interconnessioni tra tutti questi fattori.
Spero di riuscire davvero, come lei dice, ad appassionare i lettori con questa indagine sui collegamenti tra il procedere storico della vita umana (e non solo) e il procedere, sempre aleatorio ed incompleto, dell’umano sapere.
Continui ad accompagnarmi nel cammino e ad offrirmi le sue preziose oservazioni! Se desidera può trovare altri miei contributi ai seguenti indirizzi: https://www.youtube.com/c/ROBERTOMARIAPITTELLA https://www.facebook.com/groups/303315451322403