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Il mostro non sono io

da | 1 Giu, 24 | Narrativa |

Un’esistenza triste la mia, di soprusi e arroganza. La storia, narrata dagli uomini, è di rado obiettiva. Quindi è giusto che dia la mia versione dei fatti.

Come le mie sorelle, Steno ed Euriale, ero figlia di due divinità minori, Forco e Ceto, ma per uno scherzo del destino io non ero immortale. In compenso ero splendida. Non si può avere tutto dalla vita. La mia chioma dorata era famosa in ogni angolo della Grecia. Il mio sguardo seduceva gli uomini e li faceva cadere ai miei piedi. Non facevo nulla perché ciò accadesse, ma possedevo un fascino straordinario. Ero desiderata dai re e insidiata dagli dei. Questo ad Atena non andava proprio giù. Invidiava la mia innata sensualità, l’incanto che generavo in chi mi osservava. Nessuno metteva in dubbio la perfezione dei suoi lineamenti, ma era algida e scostante. Pochi se la filavano. Uomini e dei la temevano.

Poseidone si invaghì di me. Veniva spesso a cercarmi sulla riva del mare, quando oziavo stesa al sole, ascoltando lo sciabordio delle onde e lo stridio dei gabbiani. Io gli davo di lungo, non volevo complicazioni. Non che non mi attraesse: fisico spaziale, occhi chiari, abbronzatura perfetta. Ma era burbero e prepotente. Tra l’altro, meglio non farsi coinvolgere dai parenti di Zeus.

All’ennesimo rifiuto, si trasformò in un’aquila e mi rapì. Così fanno i potenti. Se non riescono a ottenere una cosa con le buone, se ne impossessano con la forza. Approdammo a un’isola dove era stato eretto un tempio consacrato ad Atena. Lo misi in guardia, conoscevo bene la mia rivale, la figlia prediletta di Zeus. Lo pregai di riportarmi a casa, gli promisi che mi sarei concessa a lui, ma non lì, non in quel momento. Il suo desiderio era troppo ardente. Mi sedusse, approfittando della mia ingenuità. Atena divenne furiosa. Lo interpretò come un oltraggio. Insultò lo zio, lo minacciò di terribili ritorsioni, ma poi se la prese con me. Fu spietata. Trasformò i miei capelli in serpi velenose. Non contenta regalò ai miei occhi, parole sue, la capacità di pietrificare chiunque ne incontrasse lo sguardo. “Potrebbe servirti per annientare ammiratori troppo insistenti.” – sibilò ridendo.

Credevate che la storia fosse finita? No. Ora viene il meglio. Entra in scena Perseo, colui che si è preso la mia testa e che è universalmente considerato un eroe. Lascio giudicare a voi.

A quel tempo era un ragazzino ingenuo e mammone, sempre attaccato al peplo di sua madre Danae. Sull’isola di Serifo, dove vivevano, regnava Polidette, un tiranno prepotente e senza scrupoli, che si innamorò perdutamente di Danae. Lei continuò a rispondergli picche, accampando la scusa, peraltro poco plausibile, che non aveva tempo per l’amore, dovendosi occupare del figlio. La donna aveva avuto una liaison con Zeus dalla quale era nato Perseo. Sì, Zeus, proprio lui, non so se mi spiego. Certo, il padre degli dei non è più giovane, ma ha un tale fascino che qualunque femmina, immortale o no, farebbe carte false per poter giacere con lui. Passare da Zeus a un despota di basso livello non era certo nei piani di Danae.

Polidette aveva capito molto bene la situazione, ma non si perse d’animo ed escogitò un piano fantasioso. Promise a Perseo che avrebbe lasciato in pace sua madre in cambio di un dono speciale: la testa di Medusa. Lo esortò quindi a lasciare l’isola il prima possibile per mettersi sulle mie tracce. Il viaggio da Serifo alle isole Esperidi sarebbe stato lungo e irto di pericoli. Sperava che il mare avrebbe inghiottito il ragazzo alla prima burrasca oppure che il vascello sarebbe stato intercettato dai predoni che infestavano gli oceani. Perché, mi chiedo, scelse proprio la mia testa? Neanche lo conoscevo, non avevo colpe e la mia vita era già stata segnata dalla sorte. Non è facile vivere con delle serpi al posto dei capelli, soprattutto quando sono nervose e iniziano ad azzuffarsi. Per non parlare del periodo della muta, in cui sono irascibili e assetate.

Atena, prese la palla al balzo. Non le pareva vero di potermi distruggere. Fornì a Perseo uno scudo lucido come uno specchio, suggerendogli di guardarmi solo di riflesso per non essere pietrificato. Con l’aiuto di altre divinità, che la ammiravano e la temevano, Perseo riuscì pure a raccattare dei sandali alati, una sacca magica per riporre la mia testa recisa e l’elmo di Ade, che rendeva invisibili. Infine Ermes gli regalò un falcetto di diamante molto affilato. Secondo voi possiamo parlare di pari opportunità? Una donna sola contro un uomo armato fino ai denti?

Me ne stavo tranquilla in riva al mare. La brezza, profumata di lentisco, mi accarezzava la pelle. Ero incinta di Poseidone e accarezzavo il mio ventre appesantito, mentre le onde lambivano i piedi nudi. Assaporavo quel momento d’estasi, quegli istanti magici in cui il sole inizia la sua discesa verso l’orizzonte, quando sembra che tutto rallenti. Improvvisamente sentii i serpenti agitarsi sulla mia testa. Cosa succede? Mi domandai. Mi girai e vidi un lampo: era il sole che batteva sulla lama della piccola falce. Non ebbi il tempo di guardare l’aggressore negli occhi, altrimenti sarebbe stato pietrificato all’istante. Vidi solo l’ombra di qualcuno che alzava un braccio, brandendo un’arma. Era Perseo. Si buttò su di me e mi decapitò. Negli ultimi momenti prima che la mia mente si spegnesse mi chiesi perché facesse una cosa tanto crudele. Togliere la vita a una donna gravida è un atto abominevole e vile.

Dal collo reciso uscirono i miei figli, Pegaso e Crisaore. Il primo aveva le grandi ali ancora bagnate di liquido amniotico. Tentò di aprirle, ma cadde pesantemente sul mio corpo. Le pupille erano dilatate per la paura e il muso madido del vapore che usciva dalle narici. Il calore del sole asciugò in fretta le lunghe penne candide. Con l’ultimo barlume di coscienza lo vidi spiccare il volo verso il cielo azzurro. Crisaore stringeva nella mano una spada d’oro. Ebbi appena il tempo di perdermi in quegli occhi chiari, puri come quelli degli eroi senza macchia. Poi il buio della morte mi avvolse. Si racconta che Perseo terrorizzato scappò via. Forse per un istante si rese conto dello scempio che aveva commesso.

Avrei voluto nutrire i miei bambini, le mammelle si stavano riempiendo di latte. Avrei voluto cullarli e difenderli, ma non fu possibile. Furono le mie sorelle a prendersene cura e ad asciugare le loro lacrime. Il mio sangue si disperse nelle placide onde del tramonto e scese nel blu profondo degli abissi. Nel suo cammino lambì le alghe, che, pietrificate, si trasformarono in lucenti coralli rossi.

Adesso ditemi: chi sarebbe il mostro?

Autore: Virginia Coral

Autore

  • Coral Virginia

    L’autrice da molti anni lavora nel campo della sperimentazione sui farmaci e coltiva, in parallelo, la passione per i viaggi e la scrittura. I primi forniscono spunti ed emozioni che, lasciati decantare, riempiono le pagine bianche. Un corso di scrittura creativa, frequentato quasi per caso, le ha fornito gli strumenti per ridurre la fantasia a un flusso organico di parole. E il coraggio di esporsi al giudizio del pubblico con lo pseudonimo di Virginia Coral. Il primo racconto, pubblicato nella WMI 18, parla di Buenos Aires e della sua musica seducente, il tango. Il secondo racconto è uscito nel volume “365 Racconti erotici”, seguito da altri inseriti in volumi di diversi editori, fino alla pubblicazione del libro “Agata e l’isola del vento”, nelle Edizioni Montag. Invia regolarmente scritti a #brevestoriafelice, il primo concorso letterario “social”, che organizza ogni due mesi un contest di flash-fiction. Negli ultimi anni si è immersa nella vita di Enrico VIII, con l’entusiasmo e la perseveranza di un investigatore, scoprendone luci e ombre, debolezze e ambiguità. Ne è nato così un romanzo storico sulle vicende umane di questo grande re, intrecciate con i destini delle sue sei mogli.

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