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Abstract

This work is the continuation and completion of the psychoarchetypal analysis of the story of the Chimera and the knight Bellerophon.

This time too, we will have the opportunity to reflect on how, although these stories were absurd, incoherent and at best, imaginary tales, in reality they had different levels of reading, one of which alluded to the world of feelings and emotions and which today we call the world of the psyche.

1 – Introduzione

All’interno dell’articolo pubblicato sul mese di Novembre 2024 intitolato «Il mito della Chimera rivisitato in chiave psicoarchetipica» avevamo, mediante il metodo che è stato qui introdotto, analizzato il combattimento tra la Chimera ed il cavaliere Bellerofonte e di cui ricordiamo, il vero nome era Ipponoo [1].

Grazie ai presupposti teorici forniti dalla psicologia archetipica, eravamo anche stati in grado di comprendere gli insegnamenti nascosti che gli antichi fornivano su come andassero affrontati gli imprevisti, le contraddizioni, ma soprattutto, i paradossi della vita.

Ovvero, mediante la fantasia e la creatività o meglio la facoltà interiore incarnata da Ipponoo, cioè quella che Jung chiamava la “coniunctio oppositorum” (la congiunzione degli opposti) che consiste nella abilità di saper trovare dei collegamenti tra elementi che all’apparenza sembrano incompatibili.

Avevamo anche accennato, seppur per sommi capi, all’episodio che riguardava il cavallo alato Pegaso, allorché con lo zoccolo colpì la roccia del monte Elicona, creando una fonte miracolosa di cui gli antichi raccontavano che avesse il potere di donare la creatività, l’ingegno, l’intuito e l’ispirazione poetica e artistica a chiunque vi si fosse abbeverato.

Una fontana [Ippocrene (Hippocrene)] gorgogliava nel posto in cui lo zoccolo bagnato del cavallo [Pegaso] rigò la superficie del terreno e creò un incavo per l’acqua che prese da lui il nome.

Nonno, Le Dionisiache. VV. 44. 6 e seg (trad. Rouse) (epopea greca V secolo d.C.):
da https://www.theoi.com/Ther/HipposPegasos.html
Traduzione dall’inglese dell’autore

Questa volta ci soffermeremo in maniera più approfondita sulla fonte che da quella volta in poi si chiamò Ippocrene, ovvero la fonte del cavallo, ma anche di alcuni episodi narrati da diversi autori dell’antichità che sono connessi ad essa, in modo da scoprire dove è possibile rinvenire qualche insegnamento sul come fare per far emergere la nostra creatività, dove alberga la nostra fantasia e quindi la nostra capacità di risolvere i problemi più complessi che la vita ci propone.


[1] Il nome noto ai più è Bellerofonte, ma si tratta di un appellativo che gli venne attribuito dopo aver ucciso un tale di nome Bellero. Infatti secondo il Bailly deriverebbe da Βέλλερος – Belleros che è un nome proprio di persona e da πεφνεῖν – pephnein che vuol dire «aver colpito» o «aver ucciso»

2 – Breve premessa sul tipo di approccio adottato

Prima di addentrarci in profondità su questo argomento, che viene dopo la pubblicazione di diversi articoli che hanno riletto i miti dell’antica Grecia attraverso le lenti della psicologia archetipica, crediamo che sia arrivato il momento, soprattutto per coloro che non ci seguono fin dall’inizio, di soffermarci brevemente su alcuni concetti fondamentali che ci aiuteranno a comprendere maggiormente l’oggetto di questo lavoro.

Lo scopo delle nostre analisi, infatti, non è tanto quello di reinterpretare, magari in forma più moderna e più godibile, alcuni racconti che appartengono ad un mondo che non c’è più e che affidava la sua religiosità a divinità i cui comportamenti sembravano condizionati dalle medesime debolezze degli esseri umani, quanto piuttosto, come direbbe James Hillman il fondatore della psicologia archetipica, a rileggere in trasparenza le storie degli dei al fine di comprendere il funzionamento della psiche umana, il mondo delle emozioni e, come sostenuto da noi in diversi articoli, delle paure, che in varia forma, ci attanagliano.

Per questo dobbiamo molto oltre che a James Hillman, anche a tutti quei filosofi ispiratisi al neoplatonismo, che parteciparono agli incontri culturali che si tennero a latere de Concilio di Ferrara Firenze (1438-1439), i quali hanno scorto negli antichi miti le allegorie che fanno riferimento al funzionamento della psiche umana.

I loro lavori, inoltre, ebbero un tale impatto sulla cultura del loro tempo, che finirono per avere un ruolo fondamentale nella nascita e nell’affermazione del Rinascimento italiano, inteso come movimento culturale ed artistico.

Non è un caso pertanto, se l’arte frutto di quel periodo, sia stata in grado di produrre opere di altissimo livello. Esse erano tali non solo grazie a ineguagliabili talenti dal punto della padronanza della tecnica artistica, ma soprattutto, perché essi, avendo praticato la “gnothi seayton”, ovvero la “conoscenza di sé” grazie alle storie mitologiche, erano diventati abili sia a cogliere nei soggetti ritratti nelle loro opere, le più impercettibili sfumature emotive, che di trasmetterle ai fruitori delle loro creazioni.

James Hillman, inoltre, l’iniziatore della rilettura psicoarchetipica dei miti, affermava che il termine “archetipico” aggiunto alla parola psicologia, era da vedersi come un’evoluzione del metodo “analitico” di matrice junghiana (ricordiamo che Hillman dopo aver ottenuto il dottorato del C.G. Jung Institute di Zurigo ne divenne il direttore) ed aggiungeva che la psiche/anima, ovvero il mondo interiore dell’uomo, è un luogo costellato di immagini e che essa stessa a sua volta, è un creatore di immagini.

3 – Cosa intendiamo per anima?

Innanzitutto dobbiamo premettere che per Hillman e prima ancora per Jung, l’anima non è da intendere come un’entità spirituale, bensì come un contenitore incorporeo all’interno del quale convivono e agiscono, diversi archetipi.

Le immagini archetipiche di cui abbiamo appena parlato allora, non sarebbero altro che riproduzione di modelli, detti anche “idee o immagini archetipiche”, relegati in un mondo trascendentale detto Iperuranio, che secondo Platone sarebbe popolato da quelle che lui chiamava «εἶδος – eidos», cioé “forma”, “figura”, “aspetto esteriore”.

Carl Jung, ispiratosi a questa impostazione filosofica, ha elaborato un modello della psiche che ipotizza l’esistenza di archetipi. Alcuni di essi che abitano quel mondo da lui chiamato l’inconscio collettivo, altri, invece, il cosiddetto inconscio individuale.

«[931] […] negli organismi viventi c’è una “conoscenza” o “percezione” innata, un’idea che ricorre ai nostri giorni in Hans Driesch.
[…] Non è certo una conoscenza che potrebbe essere connessa con l’io, e quindi non una conoscenza cosciente come la conosciamo noi, ma piuttosto una conoscenza “inconscia” autosussistente che preferirei chiamare “conoscenza assoluta. ” Non è cognizione ma, come la chiama in modo così eccellente Leibniz, un “percepire” che consiste – o per essere più cauti, sembra consistere – di immagini, di “simulacri” senza soggetto. Queste immagini postulate sono presumibilmente le stesse dei miei archetipi, che possono essere mostrati come fattori formali nei prodotti di fantasia spontanea. Espresso nel linguaggio moderno, il microcosmo che contiene “le immagini di tutta la creazione” sarebbe l’inconscio collettivo.»

G. Jung – Collected Works Volume 8 tratto da Synchronicity: an acausal connecting principle
Traduzione dall’inglese dell’autore

[842] […] Possiamo distinguere un inconscio personale, comprendente tutte le acquisizioni della vita personale, tutto ciò che è dimenticato, rimosso, percepito subliminalmente, pensato, sentito.

G. Jung – Collected Works Volume 6 – tratto da Psychologycal types

L’inconscio collettivo è quello che, come abbiamo mostrato al capitolo 10.9 del nostro libro intitolato «La cosmogonia orfica: il filo rosso che passando attraverso il neoplatonismo, collega  Pitagora con la psicologia archetipica», corrisponde a quello che in epoca rinascimentale veniva chiamato Anima Mundi.

Hillman, in particolare, va oltre il maestro e sostiene che gli archetipi dell’inconscio individuale sarebbero “incarnati” dagli dei della mitologia dell’antica Grecia.

Ci troveremmo allora di fronte a due tipi di immagini archetipiche.

Le prime, situate nel cosiddetto inconscio collettivo, costituite sia dalle immagini che forniscono il prototipo a cui si ispirano le forme del mondo materiale, che quelle incarnate dagli dei Titani [2] e che rappresentano allegoricamente le pulsioni primarie e collettive che condizionano il comportamento di ciascuno di noi.

Le seconde, invece, sono “personizzate” [3], per dirla alla Hillman, dagli dei del cosiddetto Olimpo e da tutta la schiera di personaggi oggetto dei racconti mitologici, che atterrebbero dunque alle dinamiche interne inconsce della psiche individuale.

In particolare, Hillman arriva ad affermare, mediante un’immagine assai efficace, che i personaggi mitologici reciterebbero all’interno di un teatro chiamato psiche, agendo e parlando mediante un lessico costituito da immagini simboliche, le quali a loro volta, si manifesterebbero sul piano corporeo tramite sentimenti od emozioni.

Si tratta insomma di un modo nuovo ed alternativo di guardare alla psiche ed alle sue sofferenze, che oltre a fondare le sue radici sul modello della terapia analitica di Carl Jung, si rifà a dei racconti che ponendosi a metà tra i sogni e le favole, forniscono materiale simbolico che permette alla nostra anima di riflettere su sè stessa.

Di fare, in altre parole, quella che si chiama autoanalisi [4].

Questo tipo di riflessione interiore però, che non avviene sul piano logico/razionale, bensì all’interno del “cuore”, inteso non tanto come simbolo del luogo comune dove risuonano i sentimenti, bensì come lo spazio circoscritto dove le immagini archetipiche sarebbero la causa di sensazioni corporee che si propagano sotto forma di brividi, alterazione del battito cardiaco etc.


[2] Vedere capitolo 12 del libro intitolato «La cosmogonia orfica: il filo rosso che passando attraverso il neoplatonismo, collega Pitagora con la psicologia archetipica».
[3] Non si tratta di un errore di ortografia, bensì il modo con cui il traduttore di James Hillman ha ritenuto corretto rendere il termine inglese “personification” in in italiano presente all’interno dell’opera di James Hillman.
[4] All’interno del saggio intitolato «Il mito di Orfeo ed Euridice riletto attraverso le lenti della psicologia archetipica» pubblicato all’interno del libro di Daniele Lo Rito e Marianna Velotto intitolato a sua volta «La mitobiografia e l’iridologia» – 2023, avevamo sostento che la discesa nell’Ade, da parte di Orfeo, rappresenta simbolicamente l’archetipo dell’inconscio, che essendo compiuta da soli, potremmo altrimenti chiamare autoanalisi.

: “Sarcofago noto come “Sarcofago delle Muse”. Marmo, prima metà del II secolo d.C., rinvenuto presso la Via Ostiense.”

4 – Le Muse: l’archetipo della capacità delle arti di giungere fino in fondo al cuore.

Per entrare nello specifico del significato psicologico che assume la fonte Ippocrene, dobbiamo prima inquadrare i contorni della storia e partire da un episodio che sarebbe avvenuto cronologicamente ben prima rispetto a quelli che vengono raccontati all’interno dell’opera intitolata Teogonia.

Secondo Esiodo (VV. 53-62) Zeus si unì alla dea Titana Mnemosine e dalla loro unione nacquero le Muse.

Le [Muse vennero generate] in Pieria da Mnemosine. […] Per nove notti il ​​saggio Zeus giacque con lei, entrando nel suo sacro letto lontano dagli immortali. E quando fu trascorso un anno e le stagioni tornarono come i mesi calavano, e molti giorni furono compiuti, partorì nove ragazze, unite nel cuore e nel sentimento, i cui cuori sono rivolti al canto, e il cui spirito è libero da preoccupazioni, a poca distanza dalla cima più alta dell’Olimpo innevato.

tratto da http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=urn:cts:greekLit:tlg0020.tlg001.perseus-eng1:53-62

Traduzione dal testo inglese di Hugh G. Evelyn-White dell’autore

Ora, sebbene esse siano diventate famose per la loro proverbiale bravura nel campo delle arti dell’astronomia e della storia [5], in realtà detenevano anche una capacità che ai giorni nostri parrebbe più appropriata se riferita al contesto di favole per bambini e che consisterebbe nel trasformare le persone in qualcos’altro.

A tal proposito ci viene in soccorso un racconto che troviamo nell’opera intitolata “Le metamorfosi” di Ovidio, nel quale si racconta che esse furono sfidate nell’arte del canto da nove sorelle, le figlie del re Piero dette anche Ematidi.

Esse, vuoi perché avevano osato sfidare le Muse, vuoi perché l’oggetto del canto narrava del poco edificante episodio in cui gli dei alla vista del mostro Tifone, si trasformarono, a causa della paura, in animali [6], vennero trasformate dalle armonie intonate dalle figlie di Zeus e Mnemosyne, in uccelli.

Questo racconto, secondo il quale il canto o la musica possano mutare la forma a cose o persone e che oggi ci appare inverosimile, fuor di metafora, ci voleva dire una cosa che sappiamo già.

Ovvero che la musica ha il potere di mutare lo stato emotivo di una persona, di influenzare od indurre un determinato stato d’animo.

Cosa confermataci dal filosofo Giamblico che, nella sua biografia riferita a Pitagora, affermava:

“Ma più di tutto questo è degno di nota il fatto che egli avesse composto per i suoi discepoli le cosiddette musiche di “preparazione” e “correzione”, congegnando con abilità degna di un demone combinazioni musicali diatoniche, cromatiche ed enarmoniche. Grazie a queste riusciva facilmente a invertire, mutandoli nei loro opposti, le affezioni dell’animo di recente origine ingeneratesi in modo inconsulto: vale a dire le manifestazioni di dolore, di ira e di compassione, le gelosie e le paure assurde, le pulsioni di ogni tipo, gli appetiti, gli stati di eccitazione, di esaltazione, di depressione, di aggressività. Servendosi delle melodie adatte, come se fossero misture di medicinali giovevoli alla salute, egli modificava ciascuno di questi stati d’animo, riconducendolo alla virtù.”

Maurizio Giangiulio – Pitagora – Le opere e le testimonianze – Voll. 1 e 2. p. 363

Gli antichi in poche parole, conoscevano l’uso della musica al servizio della terapia psicologica, quella che oggi viene chiamata musicoterapia.

Avremmo anche in questo caso la conferma che essi si rivolgevano a chi li ascoltava mediante simboli ed allegorie.

In altre parole, quando leggiamo che le le Muse modificavano l’apparenza esteriore di un personaggio, in realtà le storie volevano lasciare intendere che esse, o meglio, le arti di cui esse erano le paladine, erano capaci di influenzare il mondo interiore degli individui.


[5] Le nove Muse si chiamavano: Calliope (poesia epica), Clio (storia), Polimnia (inno), Euterpe (flauto), Tersicore (versi leggeri e danza), Erato (poesia lirica corale), Melpomene (tragedia), Talia (commedia), Urania (astronomia, astrologia e spazio)
[6] Sul significato simbolico che sta dietro alla loro trasformazione, rimandiamo il lettore all’articolo intitolato «Zeus, un dio eroe e la paura» pubblicato anche su https://www.academia.edu/63197920/Gli_eroi_nella_mitologia_greca_Zeus_contro_Tifone

5 – Poseidon: il signore degli archetipi ancestrali, quelli che generano le emozioni più travolgenti

Ritornando all’episodio precedente, sempre secondo i racconti mitologici, il canto delle Muse, quello che sconfisse le Ematidi, commosse tutti gli dei.

Ma uno in particolare.

Poseidon – Ποσειδών, quello che i romani chiamavano Nettuno.

Poseidon, scultura di Antoine Coysevox (Lione, 1640 – Parigi, 1720) Marmo Museo del Louvre

Cominciamo a porre in evidenza che dall’analisi etimologica del nome del dio che esercitava il suo dominio sui mari, del quale parleremo in maniera assai più approfondita all’interno di un altro contesto, il vocabolario greco antico-francese Bailly non è stato in grado di fornirci uno spunto immaginale [7] ed allora abbiamo dovuto avanzare noi stessi un’interpretazione, mediante il metodo suggeritoci da Platone esposto nel Cratilo [8].

Abbiamo allora ipotizzato che il nome sia composto dalla giustapposizione di πόσις – posis che vuol dire «marito», «sposo», ma anche «signore» o «maestro». Fin qui la nostra interpretazione coincide con quella del Bailly e da εἶδος – eidos, che vuol dire «idea», «forma», «figura» che, guarda caso, è lo stesso termine usato da Platone ed i suoi seguaci per indicare l’archetipo o l’idea archetipica.

Il nome di Poseidon pertanto, alle orecchie degli antichi, evocava immagini come: il «signore delle forme», «signore delle idee», il «signore degli archetipi», sottintendendo che egli regnasse sul mondo che ospitava le cosiddette εἶδος – eidòs, di cui la realtà materiale, non sarebbe altro che un’imitazione [9].

Aggiungiamo inoltre, che uno dei suoi epiteti più famosi, fosse l’Enossigeo – Ἐννοσίγαιος, «lo scuotitore della terra», rimandando così ai tumulti interiori che si impossessano del nostro corpo quando subiamo emozioni particolarmente intense.

Inoltre, come già detto, egli era definito anche il dio dei mari ed in quanto tale, era padre di quattro figli il cui nome è ricollegabile alle acque in moto più o meno turbolento (ci riferiamo a Tritone, Roda, Cimoplea e Bentesicima), ma dove i mari, vanno intesi allegoricamente come la condizione in cui si trova lo stato d’animo interiore.

Sinteticamente, mare calmo, come quello dei laghi, è un riferimento alla serenità interiore [10], mare agitato, allo stato d’animo estremamente irrequieto.

Pertanto, ci troviamo di fronte ad immagini che evocano proprio l’effetto che le emozioni generano all’interno del nostro corpo.

Avanziamo anche l’ipotesi che le preghiere intonate dai marinai quando il mare era in tempesta possedevano una doppia chiave di lettura.

Per coloro che riponevano la propria fede nella religione politeista era un modo per chiedere al dio di calmare i mari, mentre per chi lo considerava il simbolo che sta dietro alle emozioni più intense, si trattava di una sorta di meditazione fatta al fine di calmare, attenuare, tenere sotto controllo la propria tempesta interiore.


[7] Il Bailly a proposito della provenienza etimologica si limita a die “origine indoeuropea. Da *Potin- signore, confronta πόσις e da *Δᾶς – dàs, vecchio nome della terra, confronta. Δᾶ – dà, Δημήτηρ. Demeter.
[8] Nel suddetto libro di Platone vi è un dialogo in cui il filosofo spiega il carattere di alcuni dei praticando sul loro nome l’analisi etimologica. In particolare l’analisi del nome di Poseidon la si trova al verso 402C. Anticipiamo, che sebbene il risultato che qui proponiamo differisce da quello proposto dal filosofo nativo di Atene, la cosa non deve stupirci. Innanzitutto è proprio la caratteristica del greco antico di essere polisemico, ovvero ogni verbo e sostantivo assume innumerevoli e differenti significati. Seconda cosa, gli dei stessi, costituiscono dei simboli, ed in quanto tali, ad essi si associano diversi significati.
[9] Ricordiamo che sui testi di filosofia si sottolinea che la relazione tra idee e le forme del mondo materiale c’è una relazione di mimesi, metessi e parousia.
[10] Ci riferiamo al verso 180 delle Rane di Aristofane

6 – La fonte Ippocrene come luogo di accesso simbolico alle eidos

Ebbene, proseguendo il racconto interrotto, Poseidon impressionato, ma forse sarebbe più corretto dire, “commosso” dal canto delle Muse, chiede a suo figlio, il cavallo alato Pegaso di cui abbiamo parlato nel saggio pubblicato sul mese di Novembre 2024 su Progetto Montecristo [11], di colpire con lo zoccolo la roccia nelle vicinanze al luogo in cui esse dimoravano.

«A circa venti stadi da questo boschetto (delle Muse sul monte Helikon in Beozia) sgorga quella che è chiamata l’Ippocrene [etimologicamente, la fonte del cavallo N.d.A.]. Si dice che sia stata creata da Pegaso, il cavallo di Bellerofonte, che colpì il terreno con il suo zoccolo.»

Pausania, Descrizione della Grecia 9. 31. 3 (trad. Jones) (diario di viaggio greco II secolo d.C.)

Tratto da https://www.theoi.com/Ther/HipposPegasos.html

traduzione dall’inglese dell’autore

La leggenda, in estrema sintesi, ci racconta che nel punto in cui Pegaso inferse il colpo sulla roccia, iniziò a fuoriuscire una fonte d’acqua abbondante, che dal quel momento in poi prese il nome di Ippocrene.

Questo passaggio è cruciale, in quanto gli antichi con il termine κρήνη – krene che significa «zampillo», «sorgente», «fonte», «fontana» ci stanno fornendo allegoricamente un’indizio riguardo a dove si trovi il collegamento tra il mondo degli archetipi, di cui Poseidon ne è il signore, ed il mondo terreno, che fuor di metafora, sarebbe il nostro corpo.

In questa sede, se infatti andiamo a fondo sull’etimologia del termine krene, siccome esso per quasi-omofonia ci richiama il verbo κεράννυμι – kerannumi [12] che significa «mescolare», «unire», «fondere insieme», rappresenterebbe sul piano psichico, il luogo dove gli archetipi o le immagini della nostra anima, si mescolano o si fondono con il nostro corpo, rendendosi quindi percepibili ai nostri sensi.

Ma questo luogo “metafisico” e che solo in parte è simbolico, lo conosciamo già.

Si tratta del nostro cuore inteso nell’accezione con cui lo abbiamo delineato alla fine del paragrafo 3.

Precisiamo inoltre, che mentre l’organo che pulsa il sangue, in greco antico si diceva καρδία – kardia, il cuore inteso come luogo delle emozioni, veniva chiamato κῆρ – ker, che ricordiamo, sarebbe a sua volta, la radice di κεράννυμι – kerannumi.

Questo “luogo” pertanto, costituirebbe il ponte tra il mondo delle emozioni ed il nostro corpo, quello dove gli archetipi e le immagini della nostra anima si trasformano in stimoli che vengono percepiti anche a livello organico.

Ma per poterle sentire e per accedere al nostro mondo interiore, c’è bisogno di un cuore tenero e non un cuore indurito, come quello posseduto da Esiodo quando era ancora un misero pastore, come raccontato dal verso 25 della Teogonia:

[25] «[..] le Muse dell’Olimpo, figlie di Zeus che detiene l’egida [dissero]: “Pastori che passano la notte nei campi, misere cose di vergogna, semplici ventri, sappiamo dire molte cose false come se fossero vere; ma sappiamo, quando vogliamo, pronunciare cose vere”.
[V 29] Così dissero le figlie del grande Zeus dalla voce pronta [le Muse N.d.A.], e mi presero e mi diedero una verga, un germoglio di robusto alloro
[13], cosa meravigliosa, e mi soffiarono dentro una voce divina per celebrare le cose che saranno e le cose che furono in passato; e mi ordinarono di cantare la razza degli dei benedetti che sono eterni, ma di cantare sempre di loro stesse sia prima che dopo.»

Esiodo – Teogonia – English Translation by Hugh G. Evelyn-White

tratto da: http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=urn:cts:greekLit:tlg0020.tlg001.perseus-eng1:29-52

traduzione dall’inglese dell’autore

È proprio grazie al canto delle Muse, che che il poeta nativo di Ascra dice «mi soffiarono dentro una voce divina», intendendo dire che egli subisce una trasformazione prima di tutto interiore, trasformandosi da pastore in poeta.

Il riferimento è evidentemente all’alloro che rimanda al dio Apollo, il dio della profezia e degli oracoli, della musica, ma anche del canto e della poesia.

Altro nesso utile per comprendere come si possa accedere alla nostra anima ed alla vera

ricchezza in essa contenuta, lo troviamo inoltre, sempre all’interno del medesimo episodio, quando vi si descrive il momento in cui la roccia viene spezzata dallo zoccolo di Pegaso, come a lasciar intendere, che da un cuore duro come la pietra, non possono fuoriuscire quelle immagini che provengono da quel mondo di cui Poseidon era il signore.

In altre parole, riuscire ad accedere metaforicamente alla fonte Ippocrene, significa essere in grado di percepire l’essenza insita nelle cose, di vederle come direbbe Michelangelo, mediante il cuore.

«Amor, la tuo beltà non è mortale: nessun volto fra noi è che pareggi, l’immagine del cor, che ‘nfiammi e reggi, con altro foco e muovi con altr’ale».

Michelangelo Buonarroti Rime – a cura di Enzo Noè Girardi

tratto da https://it.wikisource.org/wiki/Rime_(Michelangelo)/49._Amor,_la_tuo_beltà_non_è_mortale

Questo “cor” che sta per “cuore”, non è né un riferimento ad un generico luogo dei sentimenti ed emozioni tipico di certi luoghi comuni, ma è un luogo simbolico che allude a un particolare tipo di percezione che, non arrestandosi all’aspetto esteriore e formale delle cose e delle persone, giunge fino in profondità ed individua la loro οὐσία – oysia/essenza.

Perché solo lì dove c’è la nostra essenza psicologica, si trova lo spunto, la creatività, la capacità immaginativa che serve ad affrontare e risolvere i problemi della vita.

Ma anche per essere creativi, ciascuno nel propio campo.


[11] Link https://progettomontecristo.editorialedelfino.it/il-mito-della-chimera-rivisitato-in-chiave-psicoarchetipica-parte-3-3/
[12] Il Bailly abrégé afferma che derivi da κράσνα – krasna e a sua volta dalla radice Καρ – kar o  Κερ – ker, che evocano l’atto del mescolare.
[13] Come abbiamo mostrato in altre circostanze e in particolare durante una esposizione tenuta al museo di storia naturale di Milano, ospiti del Gruppo Botanico Milanese (https://www.youtube.com/@massimo.biecher), i riferimenti alle piante ed alle erbe non vanno considerati come elementi introdotti col fine di creare un effetto coreografico, bensì si trattano di determinati riferimenti agli archetipi quindi, al mondo della psiche.

Autore: Massimo Biecher


Bibliografia:

    • Karoly Kerenyi – Gli dei e gli eroi della Grecia (ed. italiana Saggiatore 2015)
    • Jean-Pierre Vernant – Mito e religione in Grecia antica 2009
    • Edward Casey Toward_an_Archetypal_Imagination.pdf – tratto dal sito academia.edu
    • David Miller – James Hillman Il Nuovo Politeismo – La rinascita degli dei e delle dee (prefazione di Henry Corbin) 2016
    • James Hillman – Plotino, Ficino e Vico, precursori, della psicologia junghiana – tratto da appunti di una conferenza tenuta in Italia da J. Hillmann.
    • James Hillman – Articolo di presentazione della Psicologia Archetipica scritto da James Hillman sul sito Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/psicologiaarchetipica_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/
    • James Hillman – Re-visione della psicologia Edizione Adelphi 1983
    • I mostri non esistono però…Indagine sul mostro in psicomotricità – Marta Marotta
    • Jung Opere Torino: Bollati Boringhieri, 1981-2007 vol 14 cap: La dinamica degli opposti psichici
    • Carl Jung Mysterium Coniunctionis – Bollati Boringheri
    • Carl Jung – L’uomo ed i suoi simboli, Raffaello Cortina
    • C. G. Jung – Collected Works Volume 6 – Psychological types – Bollongen series XX – 1971 BY PRINCETON UNIVERSI-TY PRESS, PRINCETON, N.J.
    • Pseudo apollodoro Biblioteca 2.3.1 e 2.3.2
    • Jolande Jacobi – Il Simbolo, Zurigo
    • Edward Casey – toward an archetypal imagination
    • Il sito www.theoi.com la più ricca libreria digitale di libri e testi riguardanti la mitologia greca raccolta dalla biblioteca dell’università di Oackland e, adoperata da Nasa, e dalle università dell’MIT, Stanford, Harvard e Yale.
    • https://www.hellenicgods.org/
    • http://www.nilalienum.it

Vocabolari consultati

Autore

  • Cultore della mitologia greca, pubblica saggi che, rileggendo le storie mitologiche dell’antica Grecia attraverso le lenti della psicologia archetipica di James Hillman, mettono in evidenza i riferimenti simbolici al modo della psiche. Autore del libro a breve in uscita, dal titolo «La cosmogonia orfica - il filo rosso che passando per il neoplatonismo, collega Pitagora con la psicologia archetipica» Due dei suoi saggi sono stati pubblicati all’interno dei seguenti libri, • «Il seme della gioia» - Biblios edizioni 2021 • «Analisi del mito di Orfeo ed Euridice» - all’interno del libro del dott. Daniele Lo Rito e dott.ssa Marianna Velotto - 2023 Tiene ogni anno diverse conferenze allo scopo di condividere i risultati delle sue ricerche: Conferenze: 03/03/2022 «La paura all’interno della mitologia greca» - per l’associazione culturale Virtute e Canoscenza 29/03/2022 «Pitagora e la musica: la scienza al servizio dell’arte, la ragione amica delle emozioni” - Presso gli “Amici del Loggione del Teatro alla Scala” 17/12/2022 «La Cosmogonia Orfica e l’uovo cosmico» - presso l’associazione “Arpa magica” a Milano 26/01/2023 «L’uovo cosmico all’interno della Pala di Brera di Piero della Francesca: anello di congiunzione tra la mitologia dell’antica Grecia ed il Rinascimento fiorentino» presso il Rotary Club Se.De.Ca 09/05/2023 «Quale ruolo rivestiva la botanica all’interno dei racconti della mitologia greca, (se indossiamo le lenti della psicologia archetipica?) » - Presso il Museo di Storia Naturale a Milano ospite del Gruppo Botanico Milanese 22/06/2023 « Qual’è il “Nesso” tra Pitagora la Musica ed il mondo delle emozioni ? » - Circolo Filologico Milanese 15/09/2023 «Introduzione alla mitobiografia ed significato discesa nell’Ade di Orfeo» - Spazio Aurea Milano 21/09/2023 «Il mito di Orfeo ed Euridice riletto attraverso le lenti della psicologia archetipica » - Spazio Aurea Milano 12/11/2023 «La cosmogonia orfica - il filo rosso che passando per il neoplatonismo, collega Pitagora con la psicologia archetipica » - Spazio Alda Merini per Filosofia sui Navigli. 11/03/2024 Per la rivista culturale Progetto Montecristo il webinar dal titolo: « Come veniva rappresentata la paura all’interno dei racconti della mitologia greca? Quali erano i personaggi che erano chiamati ad incarnare le doti caratteriali per affrontarle ? » Massimo Biecher è dicembre 2023 vicedirettore della rivista Progetto Montecristo.

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