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Chi era Atamante?

Cominciamo con Atamante, il figlio di Eolo, il quale a sua volta era il figlio di Poseidon e di una donna.

Eolo era il Re eponimo degli Eoli, una popolazione che occupava la regione che comprende il monte Olimpo e che fu una delle prime tribù fondatrici della cultura dell’antica Grecia così come oggi la conosciamo.

Porta lo stesso nome dio dei venti Eolo detto Αἴολος – aiolos, col quale però non va assolutamente confuso.

È in ogni caso interessante osservare che questo nome proprio, deriva dall’aggettivo αἰόλος – aiolos, che significava “mobile”, “agitato”, “veloce”, “celere” e “rapido”.

Tutti aggettivi che ben si addicono al comportamento bizzarro ed imprevedibile del vento.

Ma secondo i vocabolari da noi consultati e reperibili in bibliografia lo troviamo tradotto anche con, “mutabile”, “variabile” ed “incostante”.

Applichiamo anche in questo caso, l’ipotesi, già verificata in passato, secondo cui il l’analisi etimologica del nome dei protagonisti di questi racconti contengono riferimenti al temperamento del loro carattere, il quale a loro volta, viene in parte ereditato dai figli.

Ricordiamo che quello che solitamente viene definito temperamento, riguarda quegli aspetti psicologici che costituiscono l’insieme di impulsi, istinti e tendenze che sono innate, ossia indipendenti dagli influssi esterni che subisce l’individuo nell’arco della propria vita.

Gli stessi che Hillman chiama “la ghianda che è in noi” e che rappresenta il nucleo essenziale che può essere assimilato da un punto di vista filosofico, al concetto platonico di φύσις – physis, “essenza”, “natura intrinseca”.

Inoltre, sempre secondo il modello interpretativo proposto dalla psicologia archetipica, il temperamento sarebbe il risultato della coesistenza e dalla compartecipazione di più archetipi, che possono essere paragonati, pur essendo distinti ([1]), al concetto delle Idee o archetipi di Platone.

Archetipi che all’interno dei racconti antichi, assumono le sembianze dei protagonisti della mitologia antica.

Fatte queste precisazioni, possiamo supporre che Atamante, abbia fatto almeno in parte proprie, alcune delle qualità evocate dal nome del padre.

Ci riferiamo in particolare all’essere “mutevole” ed “incostante”.

Congettura che troverebbe conferma dal fatto che egli ebbe figli da tre mogli diverse.

Assieme alla prima, cioè Nefèle, mise al mondo i gemelli Frisso ed Elle, gli stes-si che, come vedremo più avanti, cavalcarono l’ariete.

Da Ino, l’altra protagonista di questo racconto, ebbe Learco e Melicerte. Infine, si sposò una terza volta con una donna di nome Temisto.

La prima cosa che verrebbe da pensare, è che questo personaggio fosse un uomo poco fedele, cosa ricorrente tra i protagonisti delle storie dell’antichità, ma il metodo della lettura in trasparenza, che abbiamo appreso da James Hillman, ci ha insegnato ad essere prudenti nelle attribuzioni e basarci anche su altri indizi.

Ampliamo lo sguardo su quelli che possono essere gli archetipi incarnati dal marito di Nefèle. Atamante, in greco antico si scriveva Ἀθάμας – athamas.

Partendo dall’ipotesi che il nome proprio sia composto dalla cosiddetta ἁ – alfa privativa, ovvero un prefisso che serve ad esprimere negazione o assenza e dall’avverbio θαμά – tamà, che può essere tradotto con “abbondantemente”, “spesso”, “frequentemente”, all’ascolto del nome del Re della Beozia, gli antichi Greci associavano concetti e quindi iimmagini ([2]), come “raramente”, “sporadicamente”, “saltuariamente”, come se gli antichi volessero dirci che egli fosse “incostante”, “non perseverante”.

Proprio come il padre Eolo.

Ma c’è dell’altro.


[1] invitiamo il lettore interessato a consultare il libro di prossima pubblicazione intitolato “L’uovo cosmico, Aion ed il dio Phanes. La visione cosmogonica nell’antica Grecia e la sua influenza sul Rinascimento”.
[2] L’uso del sostantivo «immagine» (εῖδος – eidos in greco antico) all’interno del contesto delle nostre analisi, va inteso in una determinata accezione. Il modello della teoria della psicologia archetipica di James Hillman, si ispira al modello filosofico di Platone (428 a.C.-348 a.C.) ed in particolare il concetto delle idee. Idee (ἰδεῖν – idein, infinito del verbo εἶδον – eidon che significa, “vedere”, “scorgere”, “guardare”, “osservare”) che secondo il filosofo ateniese, sarebbero le immagini a priori, i cui prototipi sono relegati in un mondo detto Iperuranio, che forniscono il modello sia per la realtà materiale che per il mondo della psyche. (Riguardo alle differenze che intercorrono tra Principi Primi ed archetipi, rimandiamo ad un libro di prossima pubblicazione).

Chi era Nefèle?

Nella bibliografia da noi consultata abbiamo trovato che Nefèle, la madre dei due gemelli, Frisso ed Elle, secondo l’interpretazione prevalente dell’analisi etimologica, viene definita la Ninfa delle nubi.
Non ci siamo accontentati di questa attribuzione e siamo andati a fondo.

Ed infatti, il sostantivo νεφέλη – Nefèle, non vuol dire solamente “nubi”, ma secondo il vocabolario Olivetti, in maniera figurata, sta per “oscurità”, mentre il vocabolario LSJ, ci rinvia a concetti come “pena”, “afflizione” e “tristezza”. Grazie a ciò possiamo desumere che la moglie del Re della Beozia, delinei i tratti psicologici di colei o colui che è soggetto a malinconia e tristezza.

Pensiamo per esempio alle donne che soffrono del cosiddetto “maternity blues” o di “depressione post partum” oppure, come potrebbe essere stato in questo specifico caso, allo stato d’animo in cui cadono coloro che subiscono un tradimento od una separazione vissuta come ingiusta da parte del proprio compagno.

Come fu nel caso di Nefèle che fu abbandonata da Atamante per Ino, figlia dell’eroe Cadmo e della figlia di Ares ed Afrodite, Armonia.

Ma questa storia ci parla anche di un legame indissolubile che si crea tra la madre ed i suoi figli. Infatti, quando Frisso ed Elle che erano andati a vivere con il padre e la matrigna vengono a sapere che sarebbero stati di lì a poco sacrificati, si rifugiano, come recita Pseudo Igino, “in preda alla follia” in un bosco.

«Mentre Frisso ed Elle, in preda alla follia, inviati da Liber [Dioniso greco] stavano vagando in una foresta [«cum in silua errarent»], si dice che Nebula [Nephele] la loro madre sia venuta lì portando un ariete dorato, progenie di Nettuno [Poseidon] e Teofane. Ha ordinato ai suoi figli di salire su di esso […]. Frisso alla fine giunse in Colchide, dove, come sua madre gli aveva ordinato, sacrificò l’ariete e pose il suo vello dorato nel tempio di Marte [Ares].
Così si dice che sia stato fatto e quando [i fratelli] furono saliti sul montone ed esso li aveva portati in mare, Elle cadde dal montone, motivo per cui il mare Ellesponto è così chiamato, portò Frisso fino in Colchide dove sacrificò il montone e per ordine di sua madre mise la sua pelle dorata nel tempio di Marte, che si dice servì a Giasone, […] »
Caio Giulio Igino o Pseudo Igino
Pseudo-Hyginus, Fabulae 3 (trans. Grant) (Roman mythographer C2nd A.D.) :
tratto da https://latin.packhum.org/loc/1263/1/0#2
traduzione dall’inglese ed integrazioni tra parentesi quadre, dell’autore.

Il loro stato d’animo, come lascia intendere Pseudo Igino, viene colto a distanza dalla madre.

Siamo dell’opinione che oltre al dolore per i figli dispersi nel bosco, l’ex moglie di Atamante abbia percepito qualcos’altro.

Ci riferiamo al primo verso dove troviamo il seguente passo: “Phrixus et Helle insania a Libero obiecta cum in silua errarent (cong imperfetto)”, che si traduce con “Frisso ed Elle, esposti alla follia di Dioniso, allorquando erravano per il bosco..”.

Questa interpretazione ci fa pensare a dei giovani sperduti in una “selva oscura”.

Ora, sarà un caso, ma il verbo latino “erro, erras, erravi, erratum, errāre” secondo i vocabolari da noi consultati, significa anche “vacillare”, “esitare”, “titubare”, “essere incerti”.

In questo caso particolare, la congiunzione “cŭm”, se è unita ad un congiuntivo imperfetto, com’è nel nostro caso, assume l’accezione di “allorché”, “mentre”, “dal momento che”.

Fatte queste premesse, il passo può essere tradotto con: “Frisso ed Elle, esposti alla follia di Dioniso, allorché ‘esitavano’/’erano incerti’ per il bosco…”.

Come vedremo, questa incertezza, nascosta tra le pieghe di una regola grammaticale, è un altro tassello di un puzzle che è un riferimento indiretto, in questo caso opposto, all’essenza che caratterizza il temperamento incarnato dall’ariete dal vello d’oro.

Chi era quindi l’Ariete dal vello d’oro e cosa era chiamato ad impersonare?

A questo punto riteniamo di aver ricavato un discreto numero di indizi che ci permettono di immaginare quale possano essere gli archetipi incarnati da questa creatura mitologica e di comprendere come mai fosse tenuta in così alta considerazione dagli antichi greci a tal punto da venir menzionato in due episodi distinti.

La sensazione finora ricavata è che qualunque fosse la prerogativa che il Crios Crisomallo fosse chiamato a rappresentare, quando questa è posseduta o viene messa in atto da ciascuno di noi, ci mette in condizione di fare un salto di qualità.

Grazie a quale dettaglio siamo in grado di fare questa affermazione?

Dal fatto che il montone mitologico possegga un mantello d’oro. Oro, che come avevamo accennato all’inizio, non va interpretato come sinonimo di ricchezza, prestigio e regalità, in quanto per gli antichi, da un punto di vista allegorico, assumeva tutt’altra valenza.

Plotino – testa in marmo bianco Museo ostiense – Ostia antica immagine tratta da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Plotinos.jpg

Diremo dunque giustamente che la bruttezza dell’anima viene da questo mescolamento, da questa fusione, da questa inclinazione verso il corpo e la materia. [50] Per l’anima la bruttezza consiste nel non essere pura né schietta come per l’oro consiste nell’essere sporco di terra: tolta questa, l’oro resta ed è bello quando lo si separa dalle altre materie ed esso rimane solo con se stesso. Nello stesso modo, l’anima separata dai desideri che possiede per opera del corpo, col quale è unita troppo strettamente, liberata dalle altre passioni, purificata da ciò che essa contiene in quanto è unita alla materia e rimasta sola, lascia la bruttezza che le viene da una natura differente <da lei>.
Plotino Enneadi I, 6 – 6 – A cura di Giuseppe Faggin

Dal passaggio che abbiamo appena menzionato delle Enneadi di Plotino, traspare che in ambito filosofico/psicologico per oro si intendesse la purezza, la divinità, la nobiltà dell’anima in sé, quella che essa possiede prima che di discendere nella materia.

Pertanto il vello d’oro, che in greco antico si diceva Χρυσομαλλος – Crisomallos, incarna da un punto di vista allegorico il risultato da noi raggiunto quanto mettiamo in pratica la dote incarnata dal montone mitologico.
In altre parole, quando compiamo una trasformazione interiore.

Vello, o mantello lanoso, che a sua volta, secondo alcuni studi pubblicati, affermazione che purtroppo non siamo in grado di confermare in base ai testi antichi a nostra disposizione, avrebbe la capacità di guarire e quindi, fuor di metafora, di portare ad un cambiamento di stato.

Ipotizziamo che questa associazione sia stata suggerita dal fatto che siccome i peli si rigenerano continuamente, essi simbolizzerebbero la vita eterna dell’anima intesa come entità spirituale.
Ma anche dal fatto che l’ariete, figlio di Poseidon e Teofane, possedesse, come ci ricorda il passaggio sopracitato di Pseudo-Apollodoro, Bibliotheca 1.9.1 ( ) la capacità di volare sopra la realtà materiale e, dettaglio degno di nota, sopra i mari.

In un’altra occasione, avevamo raccontato dell’episodio in cui Europa, la principessa di Tito e futura regina di Creta, volava sopra i mari a cavallo di un toro.

Il significato allegorico di questa immagine era finalizzata a far intendere che ella, anche grazie al fatto che l’alito del toro profumasse di zafferano, fosse calma e priva di quelle emozioni forti ed impetuose che altrimenti l’avrebbero resa impaurita ed insicura nei riguardi dell’esperienza che stava vivendo.

Lo stesso tipo di turbamento emotivamente intenso che avevamo incontrato in occasione del verbo latino “erro”, e che come avevamo detto rende “vacillanti”, “esitanti”, “titubanti” ed “incerti”.

A questo punto non ci resta che da capire quale fosse il motivo della presenza di Frisso ed elle all’interno di questa storia, ricordiamo che nelle storie mitologiche “nulla è per caso e tutto è allegorico” ed infine grazie all’analisi del sacrificio dell’ariete del vello d’oro una volta arrivato nella Colchide, comprendere cosa rappresentava da un punto di vista psicologico, questo animale mitologico.

Autore: Massimo Biecher

Autore

  • Cultore della mitologia greca, pubblica saggi che, rileggendo le storie mitologiche dell’antica Grecia attraverso le lenti della psicologia archetipica di James Hillman, mettono in evidenza i riferimenti simbolici al modo della psiche. Autore del libro a breve in uscita, dal titolo «La cosmogonia orfica - il filo rosso che passando per il neoplatonismo, collega Pitagora con la psicologia archetipica» Due dei suoi saggi sono stati pubblicati all’interno dei seguenti libri, • «Il seme della gioia» - Biblios edizioni 2021 • «Analisi del mito di Orfeo ed Euridice» - all’interno del libro del dott. Daniele Lo Rito e dott.ssa Marianna Velotto - 2023 Tiene ogni anno diverse conferenze allo scopo di condividere i risultati delle sue ricerche: Conferenze: 03/03/2022 «La paura all’interno della mitologia greca» - per l’associazione culturale Virtute e Canoscenza 29/03/2022 «Pitagora e la musica: la scienza al servizio dell’arte, la ragione amica delle emozioni” - Presso gli “Amici del Loggione del Teatro alla Scala” 17/12/2022 «La Cosmogonia Orfica e l’uovo cosmico» - presso l’associazione “Arpa magica” a Milano 26/01/2023 «L’uovo cosmico all’interno della Pala di Brera di Piero della Francesca: anello di congiunzione tra la mitologia dell’antica Grecia ed il Rinascimento fiorentino» presso il Rotary Club Se.De.Ca 09/05/2023 «Quale ruolo rivestiva la botanica all’interno dei racconti della mitologia greca, (se indossiamo le lenti della psicologia archetipica?) » - Presso il Museo di Storia Naturale a Milano ospite del Gruppo Botanico Milanese 22/06/2023 « Qual’è il “Nesso” tra Pitagora la Musica ed il mondo delle emozioni ? » - Circolo Filologico Milanese 15/09/2023 «Introduzione alla mitobiografia ed significato discesa nell’Ade di Orfeo» - Spazio Aurea Milano 21/09/2023 «Il mito di Orfeo ed Euridice riletto attraverso le lenti della psicologia archetipica » - Spazio Aurea Milano 12/11/2023 «La cosmogonia orfica - il filo rosso che passando per il neoplatonismo, collega Pitagora con la psicologia archetipica » - Spazio Alda Merini per Filosofia sui Navigli. 11/03/2024 Per la rivista culturale Progetto Montecristo il webinar dal titolo: « Come veniva rappresentata la paura all’interno dei racconti della mitologia greca? Quali erano i personaggi che erano chiamati ad incarnare le doti caratteriali per affrontarle ? » Massimo Biecher è dicembre 2023 vicedirettore della rivista Progetto Montecristo.

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