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La veggente e la regina

da | 2 Set, 24 | Narrativa |

Stavo cercando un aiuto speciale. Per questo mi ero messa sulle sue tracce. Pochi ammettevano di conoscerla, anche se molti si rivolgevano a lei in cerca di conforto o di rimedi efficaci. Leggeva nel futuro e conosceva i prodigi delle erbe curative e gli effetti nefasti di quelle velenose. Qualcuno mi aveva parlato della sua abilità nel fare pronostici e vedere al di là del mondo conosciuto, al di là del tempo. Altri a corte bisbigliavano che fosse in grado di creare potenti filtri d’amore. Era la persona di cui avevo bisogno in quel momento così difficile della mia esistenza.

Qualche tempo dopo la nascita di Elisabetta mi ero accorta di essere di nuovo gravida. Questa volta avrà gli attributi necessari per fare felice il re, avevo pensato eccitata. Nel giro di qualche settimana l’euforia si era trasformata in disperazione: il minuscolo essere che galleggiava nel mio ventre scivolò fuori in una pozza di sangue scuro. Era un maschio. Superati i primi momenti di sconforto, avevo ripreso a lottare perché la corona restasse sulla mia testa. Avevo le idee confuse e nessun progetto valido. Sentii parlare di Ursula, il cui nome rimbalzava di bocca in bocca come la scintilla di una lucciola vagabonda. Una delle serve mi confessò di conoscerla.

“È un tipo strano, mette paura, ma è molto abile e riesce a individuare, da semplici segni, i malanni del corpo e gli squilibri della mente.”.

“Ci dovrei mandare mio marito!” – avevo esclamato, ridacchiando.

Il sarcasmo non aiutava. Dovevo fare in modo di rientrare nelle grazie del re. La seduzione non funzionava più, dato che le sue attenzioni erano rivolte altrove. L’eros era stato sostituito da un mellifluo innamoramento per Jane, una sciacquetta che consumava le ginocchia pregando sul pavimento della chiesa. Con un erede maschio attaccato al seno le mie quotazioni sarebbero risalite fino alle stelle e io mi sarei salvata. Avevo bisogno di consigli che andassero al di là del raziocinio, un rimedio escogitato nella terra di mezzo situata tra il mondo degli uomini e il regno di Dio.

Una mattina informai tutti che era mia intenzione recarmi all’Abbazia di Fountains a pregare e fare un voto. Sapevo che Ursula abitava vicino a Knaresborough a una decina di miglia dall’abbazia.

“Sarà una sorta di pellegrinaggio.” – dissi a mio marito “Mi farò ospitare dalle monache, dividerò con loro il cibo frugale e dormirò su un semplice pagliericcio.”.

Enrico sembrò stupito.

“Non sarà una passeggiata;” – replicò con ironia – “conoscendoti, mia cara, sono certo che sarà un’esperienza dura per te. Sei sicura di essere in grado di sopportare fatica e disagi?”.

“Certo!” – risposi piccata – “Desidero fare ammenda per i miei peccati e chiedere la benedizione del Signore. Non posso certo farlo in mezzo al lusso e alla licenziosità.”.

Mi guardò accigliato, ma restò muto. Credo fosse felice di non avermi fra i piedi per qualche giorno.

Feci preparare i bauli con lo stretto necessario e partii per il lungo viaggio, accompagnata da due damigelle fidate. Il terzo giorno arrivammo in vista dell’abbazia. Il luogo era suggestivo. Il complesso, costruito vicino a un fiume, era immerso nel verde smeraldo dei prati. Il frastuono della corte era lontano e la mia anima stava riprendendo fiato.

Diedi ordini alle damigelle perché disfacessero i bagagli e mi feci accompagnare da un inserviente al limitare del villaggio di Knaresborough, da dove partiva il sentiero che si inoltrava nella foresta. Ero sola, coperta da un grande mantello nero per celare la mia identità. Non indossavo né gioielli, né abiti preziosi e potevo sembrare una pellegrina. Man mano che avanzavo nel folto degli alberi mi sentivo preda di un’ansia crescente. Temevo che la donna mi cacciasse o mi aggredisse per strapparmi i vestiti, oppure che il suo aspetto fosse così ripugnante da spingermi a scappare. Sapevo poco di lei, se non che era stata partorita proprio nell’antro dove abitava. La madre si chiamava Agatha e a quindici anni si accorse di essere incinta. Disse di non sapere chi fosse il padre dell’esserino che portava in grembo. Nessuno seppe mai se si trattasse di un soldato di passaggio, di uno squilibrato della zona oppure di un uomo piacevole a cui si era concessa per amore. Dopo la nascita, alcuni mormorarono che la ragazza fosse stata impregnata dal demonio, portando a prova di questa tesi la deformità della bambina.

La mia testa era ingombra di pensieri angoscianti che si alternavano a speranze sfilacciate come un vecchio canovaccio. Ciò che più mi preoccupava era il verdetto di Ursula, le sue profezie, che avrebbero potuto incenerire l’illusione di ribaltare la sorte e rimettere la mia vita nella giusta carreggiata.

Procedevo con cautela lungo uno stretto sentiero, accompagnata dai gorgoglii di un ruscello che costeggiava il cammino e dagli squittii degli uccelli. Sotto le suole delle scarpette di seta sentivo scricchiolare i rami secchi dei cespugli. Raggiunsi una radura circondata da querce secolari e poi seguii l’odore di legna bruciata. La vegetazione era così fitta che i raggi del sole faticavano a farsi strada. L’umidità impregnava l’aria, rendendola pesante. Il mio cuore batteva come un tamburo di guerra.

Avrei chiesto a Ursula di svelarmi la formula di un filtro d’amore da mischiare alla birra che il re trangugiava la sera prima di coricarsi. Dovevo riconquistarlo, fare in modo che lui mi desiderasse di nuovo e mi ingravidasse. Non era un’impresa facile. Non c’era solo l’innamoramento per Jane. No, a complicare le cose c’era un deciso calo della sua prestanza. Il peso del regno aveva minato lo spirito del re, mentre il corpo era stato fiaccato da anni di eccessi e di smodate bevute.

Arrivai in vista della grotta e mi fermai a riprendere fiato. L’apertura si trovava sul fianco di una collina coperta di felci e di edera, dove spuntavano qua e là cespugli di biancospino. Da una fenditura nella roccia usciva del fumo, come se ci fosse una pentola sul fuoco. Ero a una trentina di piedi quando la vidi uscire dalla caverna. Un brivido gelido mi percorse la schiena. In quel momento il sole si intrufolò tra due grossi rami illuminando il viso di Ursula e svelandone i lineamenti. Il naso era lungo e adunco. La bocca sottile e retratta contrastava con un mento molto sporgente. Tra i suoi piedi sbucò il muso di un gatto nero con due brillanti occhi gialli. Lei si chinò per accarezzarlo e allora notai che aveva una grossa gobba sulla schiena. Raddrizzandosi si girò d’improvviso verso di me. Istintivamente feci un passo indietro e portai una mano sul cuore, come a darmi coraggio.

Mi sentii inchiodata dallo sguardo di due occhi penetranti, neri come le ali dei corvi, dove mi sembrò di scorgere una scintilla di compassione

“Finalmente avete trovato la strada, figliola, o, meglio, dovrei dire, mia regina.”.

“Ma come…”.

“Come lo so? Sono una veggente, dopo tutto. Da tempo vi aspettavo. Avvertivo il vostro desiderio di sapere, ma vedevo che titubanza e paura vi frenavano. Dio mi ha concesso il dono della divinazione. Più che un dono è una croce, ma Lui sa cosa va fatto e io sono solo uno strumento nelle sue mani sante.”.

“Avete ragione, ero indecisa sul da farsi. E poi non è stato facile per me trovare un pretesto per venire fino a qui.”.

“Capisco. Avvicinatevi, non sono pericolosa. L’aspetto fisico non mi fa onore, sapete. So di incutere spavento e talvolta orrore. La mia vocazione di aiutare gli altri contrasta con i miei lineamenti tormentati e il corpo deforme. Sono nata così e non c’è modo di modificare le mie sembianze. Voi invece siete molto bella. È una fortuna: la grazia facilita i rapporti con il genere umano.”.

“Scusate se vi ho osservata in modo strano, non volevo offendervi. Sono solo sorpresa e frastornata. È insolito per me trovarmi senza scorta in un luogo come questo. E vi ringrazio dell’accoglienza che mi riservate.” – dissi con un sorriso sincero.

“Entrate nella mia umile dimora, vi preparo un infuso di erbe. Serve a rilassare gli animi concitati. Ne avete bisogno.”.

La grotta era buia e impregnata da un inebriante profumo di incenso. Su assi di legno erano stipati vecchi otri di terracotta coperti dalla polvere del tempo. Alcuni vasi di vetro contenevano erbe e radici. Sullo scaffale più alto si era accomodato il gatto nero. La coda si muoveva nervosa, mentre gli occhi color zafferano erano guardinghi e sembravano rovistare nei miei pensieri.

Ursula mi porse uno sgabello e mise sul fuoco un bricco con dell’acqua.

“Sapete,” – continuò con una voce calda e armoniosa che sembrava appartenere a una fata – “Mia madre era troppo giovane e denutrita per partorire un figlio normale. Quando venni al mondo, ero prematura e decisamente troppo magra. Mi tenne con sé per due anni, dandomi tanto amore. Il cibo però era scarso e le mie ossa anziché crescere, si accartocciavano. L’abate di Beverley decise che la cosa non poteva continuare: mi affidò a una famiglia del villaggio e mandò mia madre in un convento, dove morì pochi anni dopo. Appena mi fu possibile, tornai a vivere qui. Capita che l’ombra della mia povera mamma entri lieve nei miei sogni. Sento la sua presenza quando preparo elisir e pozioni. Non sono figlia del demonio, come qualcuno sostiene.”.

“Ne sono certa.” – la rassicurai – “Vivete qui sola?”.

“Mio marito Tobias è morto qualche tempo fa. Faceva il falegname. Eravamo felici anche senza la benedizione di un figlio. Ora sì, vivo sola, ma viene tanta gente a cercare risposte dal destino. Mi chiamano Madre Shipton, quasi fossi una monaca. Io accolgo tutti. Per me sono i figli che non ho avuto.”.

Notai nei suoi occhi un lampo di misericordia mentre osservava attenta il mio viso, come se stesse leggendo le pagine di un libro.

“Venite,” – disse – “non perdiamo altro tempo. Fra qualche ora farò buio.”.

Mi condusse in un minuscolo giardino dove coltivava le erbe officinali.

“Aiutatemi a raccogliere ortica, piantaggine e fiori di assenzio. Li sminuzzeremo nel mortaio con la radice di rabarbaro, poi li bagneremo con succo di mela acerba. Aggiungeremo anche noccioli di ciliegia e mandorle amare tritati finemente. Per potenziare l’effetto delle erbe, metteremo una spolverata di cannella. Si tratta di una spezia rara, che mi porta un ragazzo del villaggio quando torna dai suoi lunghi viaggi per mare. Quando sarete a casa, dovrete stemperare l’intruglio con del brandy. Lasciatelo riposare per qualche giorno e poi fatelo bere a vostro marito. Se è troppo amaro addolcitelo con un cucchiaio di miele.”.

Rientrammo in casa, mentre nubi violacee oscuravano il cielo. Ursula si mise al lavoro per preparare il filtro d’amore.

“Sono venuta da voi anche per sapere…”. – balbettai, ma l’ansia soffocò le parole.

“Il vostro futuro? Mia Signora, siete sicura di voler conoscere il destino prima che si compia? Potrebbe essere doloroso. Talvolta è più saggio lasciare fluire il tempo senza interrogare le stelle.”.

“No, vi prego, preferisco sapere. Mi sembra di trovarmi in un labirinto di piante urticanti dal quale non so come uscire. L’altalena di speranze e delusioni mi sta distruggendo. Temo di non essere più in grado di interpretare i segnali che vedo a corte, né i discorsi che mi capita di ascoltare. E tanto meno riesco a interpretare i mezzi sorrisi di mio marito. A volte mi dimostra devozione, ma più spesso è sfuggente, come una vipera in cerca di un nascondiglio. Finirò per impazzire.”.

“Come preferite. Io vi ho avvisata.”.

Ursula fissò i miei occhi quasi volesse penetrarli per intrufolarsi nella mente. Prese le mie mani tra le sue e abbassò le palpebre, mentre le labbra rinsecchite bisbigliarono parole incomprensibili. Forse era in trance. Infine pronunciò la sentenza.

“Il filtro d’amore farà il suo effetto, ma il tuo ventre non partorirà figli maschi. La sorte ti sarà avversa nel breve periodo di una vita. Dio ti permetterà di scontare sulla terra i peccati di cui ti sei macchiata. Tu li conosci e sai che meriterebbero le fiamme dell’inferno. Ma non c’è solo buio nel destino: tua figlia Elisabetta rappresenta la rivincita. La sua grandezza oscurerà la fama degli avi e la sua gloria scavalcherà i confini dell’Inghilterra.”.

Calò il silenzio. Il mondo si era fermato, come i battiti del mio cuore. Ursula teneva gli occhi chiusi. La fronte era corrugata come se stesse cacciando un’orda di pensieri infausti. In lontananza il rombo di un tuono scosse la terra e rotolò dietro l’orizzonte.

“Perdonatemi, mia regina. Non posso mentire, non sarebbe onesto.”.

“Capisco e vi ringrazio. E poi potreste aver sbagliato, no?”.

“Sì, potrei. Andate serena.”.

Era tempo di riprendere il cammino. Indossai il mantello, ringraziai Ursula e uscii dalla spelonca.

“Attenta al pozzo,” – disse, ferma sulla porta – “le sue acque sono torbide e pesanti. Chi ci cade dentro non riesce più a muoversi, come se le membra si trasformassero in pietre.”.

Imboccai il sentiero del ritorno. Ripensai alle parole che avevo ascoltato, grevi come macigni. Cercai di consolarmi pensando che la veggente poteva aver sbagliato. Nessuno è infallibile, – pensai – tantomeno una fattucchiera.

Oggi so che era tutto vero. Dalla finestra vedo il prato illuminato dalla pallida luce dell’alba. I corvi saltellano ignari intorno al ceppo. Il loro gracchiare è assordante. Fra qualche ora si ciberanno del mio sangue. Ho trascorso la notte insonne, ripensando alla mia vita, agli errori e alla mia tenera bambina. Ursula, o meglio Madre Shipton come viene chiamata, aveva ragione, il mio cuore lo sapeva. La mente però cercava appigli per illudermi che mio marito sarebbe tornato da me.

A dispetto di tutto, la pozione si dimostrò miracolosa. Il desiderio di Enrico si riaccese come in passato, anche se il suo vigore si smorzava in fretta. Riuscì a ingravidarmi di nuovo, ma quando sentii un liquido caldo e appiccicoso bagnarmi le cosce, il pronostico di Ursula riaffiorò dal fondo della memoria. Sul marmo del pavimento vidi una chiazza rossastra e quello che restava di un feto grinzoso. Capii che era tutto perduto. Il matrimonio, la corona e la vita. Il processo fu una farsa, ma serviva al re per liberare il trono della regina dalla mia scomoda presenza. I giudici mi condannarono per tradimento e stregoneria. Il destino si era inesorabilmente compiuto e la mia stella si era spenta.

Mi sono macchiata di molte colpe, lo riconosco, ma tra qualche ora la scure laverà i miei peccati. Mi rammarico di non vedere la gloria di mia figlia, secondo la profezia di Ursula. Chissà, forse mi trasformerò in un’ombra e potrò starle vicina.

*-*-*

Sapevo che si trattava di una testa coronata, ma non ero certa fosse proprio quella della regina. Desiderava incontrarmi da tempo, ma non era facile prendere la decisione di inoltrarsi nella foresta per cercare una veggente, o una strega, come i miei detrattori mi definiscono.

Quella mattina ero certa che avrei visto una giovane sbucare dal folto degli alberi. E così fu.

Era una donna bellissima, la pelle diafana e i capelli neri come una notte senza luna. Era inquieta. I lati oscuri adombravano la luce della sua anima, celando una dolce fragilità. L’ambizione è stata la sua rovina, un desiderio insaziabile di fama e potere.

Quando tolse il cappuccio del mantello, i suoi occhi mi svelarono il terribile destino che l’attendeva. Era pallida e spaventata, cercava risposte, ma nel contempo era terrorizzata da quello che avrei potuto svelarle. Quando si avvicinò, avvertii i fremiti della morte. Aveva imboccato una strada senza uscita, lastricata di dolore e delusione. In parte aveva lei stessa aveva plasmato la sua sorte, come si fa con la creta. Aveva calpestato la saggezza di uomini buoni, invece di farne tesoro. Aveva abusato del suo fascino per ottenere favori e ricchezze.

Mi capita di rado di provare commiserazione, se lo facessi sarei annientata dai tormenti che chi varca la mia soglia mi rovescia addosso. Ma quel giorno dimenticai il necessario distacco e presi le sue mani tra le mie.

È stata giustiziata ieri. La sua testa è stata recisa come un delicato fiore durante la tempesta. Vedo i lucidi capelli imbrattati di sangue e il viso illividito dal terrore. Stanotte pregherò perché la sua anima trovi pace.

Le protagoniste del racconto sono figure storiche, Anna Bolena e Madre Shipton, anche se l’esistenza della seconda affonda parte delle sue radici nel mito. L’incontro tra le due donne è invece frutto di fantasia. Potrebbe essere avvenuto, ma non esistono evidenze. Mi appello alla libertà concessa agli scrittori di riempire con l’immaginazione i buchi della storia.

 

Autore: Virginia Coral

Autore

  • Coral Virginia

    L’autrice da molti anni lavora nel campo della sperimentazione sui farmaci e coltiva, in parallelo, la passione per i viaggi e la scrittura. I primi forniscono spunti ed emozioni che, lasciati decantare, riempiono le pagine bianche. Un corso di scrittura creativa, frequentato quasi per caso, le ha fornito gli strumenti per ridurre la fantasia a un flusso organico di parole. E il coraggio di esporsi al giudizio del pubblico con lo pseudonimo di Virginia Coral. Il primo racconto, pubblicato nella WMI 18, parla di Buenos Aires e della sua musica seducente, il tango. Il secondo racconto è uscito nel volume “365 Racconti erotici”, seguito da altri inseriti in volumi di diversi editori, fino alla pubblicazione del libro “Agata e l’isola del vento”, nelle Edizioni Montag. Invia regolarmente scritti a #brevestoriafelice, il primo concorso letterario “social”, che organizza ogni due mesi un contest di flash-fiction. Negli ultimi anni si è immersa nella vita di Enrico VIII, con l’entusiasmo e la perseveranza di un investigatore, scoprendone luci e ombre, debolezze e ambiguità. Ne è nato così un romanzo storico sulle vicende umane di questo grande re, intrecciate con i destini delle sue sei mogli.

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