L’AMOREVOLE CURA DEL MONDO – Riccardo Dalisi

da | 15 Apr, 24 | Arti |

Un Interprete dell’Ecologia Urbana per la Salvaguardia della Terra al tempo della Pandemia.

PREMESSA

L’arte è un rischio da correre, scrive Riccardo Dalisi in Io e Napoli “Itinerari fra design urbano e arte pubblica” (p.17 e segg.).

Non si sa mai quel segno dove porterà, quale strada imboccherà, ma è proprio questo il punto di partenza di quella geometria generativa che ha assunto i tratti dinamici della metafora, segno – linea che germoglia come piccolo seme dalla Terra, di cui segue i ritmi naturali, intimamente legato alla sua origine eppure così nuovo, così pervaso da un impulso creativo a getto, a cascatella, a pulsazione, …che casca ogni tanto e ha bisogno di una stampella (idem)

L’itinerario artistico e personale di Riccardo Dalisi è molto atipico nel panorama italiano. Egli stesso dirà la mia misura potrebbe essere un piccolo rombo di quel cielo azzurrissimo che è sopra di noi come un aquilone agitato dagli appassionati pensieri (Progettare senza pensare, 1998).

Oggetti che appartengono ad un’altra sfera fisica, un altro mondo dentro questo mondo, un’altra fisica governata da altre leggi, da altro motore, il pensiero, la passione. A voler essere sintetici e immediatamente comprensibili un carattere peculiare dell’arte dalisiana si racchiude nella dimensione di poeta-faber della città-mondo. L’anima di Napoli si coniuga nell’anima dell’artista, la sua produzione poetica parte dall’anima originale della città per figurarne il desiderio di bellezza e di senso rinnovato sotto forma di mitografie e cosmogonie sempre attuali.

Se l’arte è un rischio da correre, il percorso umano e artistico di Riccardo Dalisi è tutto rivolto a risollevare il mondo dalla bruttezza, fisica e morale, dal consumismo distruttivo

Un modo di espressione arcaico, prearcaico, preistorico quello di Riccardo Dalisi, che molto ha in comune con i modi di esprimersi del bambino in età prescolare. La sua ricerca artistica assume la forma di un ritorno al passato che prelude non alla fine del presente così com’è, al contrario, introduce un rifiorire delle radici più antiche, un modo d’essere controcorrente.

Dove si affermava Cartesio e la più rigorosa geometria razionale e lineare basata sulla linea retta con punto centrale infinito, ecco balenare la tesi contraria, la linea curva con raggio finito, che si piega alla fantasia del segno simbolico. È la fine del tcomune modo di intendere l’architettura, il design, la scultura, l’arte. È un punto di inizio che si svilupperà per tutto il corso della vita artistica di Dalisi.

E questo modo arcaico e contemporaneo, preistorico e moderno nello stesso tempo, Dalisi lo ha percorso in toto fin da subito. I primi anni come docente all’Università “Federico II” di Napoli furono quelli decisivi. Tra il 71 e il 72 con la sperimentazione al Rione Traiano getta le basi di un’autentica rivoluzione nei modi di progettare, concepire e risolvere i problemi di periferie sempre più degradate, abbandonate, relegate ai bordi della società, problema questo ancora di grande attualità specie per l’intensificarsi delle immigrazioni, della marginalità dei poveri, per la direzione presa dalla cultura della globalizzazione a base tecnocratica. Per questo, e molto altro ancora, l’esperienza artistica di Dalisi va approfondita, conosciuta e diffusa per la sua peculiartà e la sua pregnanza nel sempre più contraddittorio mondo contemporaneo.

Un’ interessante conferma ci proviene dai numerosi studi pubblicati nel corso del ‘900 dallo psicologo James Hillman, allievo di C.G. Jung, nato ad Atlantic City (1926- 2011), da cui possiamo estrapolare questa affermazione “Se ti trovi nelle circostanze in cui non ci sono uomini, sforzati di essere uomo” carica di verità sconvolgente.

Questa frase, oggi più che mai, diventa il verbo del dialogo interno a un nuovo Umanesimo a cui la società è Richiamata a credere fermamente, affinchè si allontani sempre più, relegato in una dimensione inoffensiva, lo spettro dell’individualismo estremo appaiato al consumismo postindustriale, che mina la convivenza sociale e civile a livello planetario.

Partendo dalla psicologia hillmaniana basata sulla circolarità di storia, arte e mito, ora credo che sia giunto il momento di riflettere sull’idea di bellezza e di verità. Per i greci antichi non vi era differenza tra questi due termini. Platone dice infatti che La Bellezza splendeva come l’Essere, quaggiù sulla terra noi la vediamo con gli occhi, solo la bellezza si può godere con gli occhi; bellezza e verità sono espressi con la parola greca Kalosagathos. John Keats affermerà con la sua vita e la sua poesia che la Bellezza è Verità, la Verità è Bellezza, concetto ampiamente ripreso anche dalla scrittrice Emily Dickens e poi da Oscar Wilde.

J.H., filosofo e psicologo contemporaneo, non smetterà mai di sollecitare l’opportunità per l’uomo di coltivare ambiti psicologici che lo rimettano in connessione con le sue radici culturali antiche, per certi versi arcaiche. Queste radici ataviche, perse nel corso della storia dei secoli, sono gli archetipi.

La parola archetipo deriva dal greco antico ὰρχέτῦπος che significa immagine originale, forma preesistente e primitiva di un pensiero.

L’archetipo, non è un’intuizione di Hillman, deriva direttamente dalla psicoanalisi junghiana. Jung infatti aveva individuato negli archetipi le forme primarie della esperienza vissuta dall’umanità nello sviluppo della coscienza. Forme condivise dall’umanità e sedimentate nell’inconscio collettivo.

La novità introdotta da Hillman, davvero rivoluzionaria per la psicologia, è stata liberare l’analisi dalla coercizione del rapporto chiuso psicanalista – paziente e scegliere di spostare l’attenzione psicoanalitica su due nuovi elementi: l’archetipo e l’anima. L’archetipo considerato come elemento di un alfabeto universale o significante, l’anima come recettore-trasmettitore di significati.

Gli archetipi sono alla radice del mito. E i miti sono le figure nelle quali si esprime l’energia dell’anima, delle singole anime viventi.

L’anima individuale che partecipa dell’anima universale, il tutto e la singola parte non sono entità a sé stanti, sono invece intimamente connesse come i grani del melograno o i frattali nella geometria di Benoit Maldenbrot, oggetti della natura che si ripetono all’infinito nella realtà, autosimili.

Nel caos ordinato dei numeri c’è la natura di tutte le cose.

La natura polisegnica del mito greco è stata silenziata nel tempo e soppiantata da altre figure della cristianità, in questo spostamento alcune figure sono state adattate e rimodulate, altre sono diventate incomprensibili o non più significanti, schiacciate dal corso della storia.

Con la psicologia hillmaniana si ha un ribaltamento di valori  << (…) “Una regressione peculiarmente greca”. Un repentino ritorno alla natura, vicino alla madre terra e a noi stessi, evitando mediazioni ideologiche e riscoprendo il valore immediato dell’immagine. Forse non è un caso che la forma di comunicazione più archetipale sia quella ideografica, i marinai di tutto il mondo la utilizzano ancora oggi per parlarsi sul mare. E il mare è antico, per molti versi, terribilmente originale.>>

Riccardo Dalisi in compagnia di Anna Laetitia Candelise

Autore: Anna Letizia Candelise

Autore

  • Anna Letizia Candelise

    Anna Letizia Candelise Nasce a Rogliano (CS), compie i suoi studi a Cosenza e nel 1979 si laurea con lode in Architettura a Napoli. Dopo una prima esperienza professionale, si dedica all’insegnamento della Storia dell’Arte nei licei. È sposata e ha tre figli. Fin dagli anni universitari è attratta dagli studi di mitologia, che approfondirà anche attraverso dipinti che esegue intorno ai temi come Orfeo e Demetra-Kore. Dal 1990 si trasferisce a Castrovillari dove insegna nel Liceo Artistico. Nel 2006 pubblica il suo primo saggio dal titolo “Il Trono Ludovisi tra cultura pitagorica e riti misterici” ed. Maremmi-Fi. Si appassiona agli studi di archeologia che, a pochi km dalla sua città, nel sito enotrio di Francavilla Marittima, custodisce i resti della stratificazione storica risalente ai secoli tra l’eneolitico e il VI secolo a.C., e in tale ambito, realizza con gli allievi del liceo, un plastico dell’intera collina in cui Paola Zancani Montuoro scoprì negli anni ’60 i primi reperti classificandoli come precedenti alla seconda colonizzazione greca, e ricadenti nell’area sibarita. Ha partecipato a mostre collettive a Roma, Venezia, Bologna, Milano, e itineranti in Europa. Concepisce la scrittura e l’arte come strumenti per rinsaldare e rinnovare la memoria storica di quanti vivono nel mezzogiorno d’Europa e ignorano di essere eredi di una cultura plurimillenaria

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