La Pieve di Sant’Antonino a Socana si trova nel Comune di Castel Focognano, Provincia di Arezzo. È una pieve romanica, risalente al sec. XIII a tre navate con una sola abside centrale e sostituisce una più antica di simili dimensioni ma con tre absidi, edifica nel sec. X. In seguito a lavori di restauro furono condotti degli scavi dal 1966 al 1972 e presso la parte absidale della pieve venne alla luce una splendida Ara etrusca, unica nel suo genere per l’eleganza delle modanature e per lo stato di conservazione. È stata datata al V sec. a.C., ma secondo la mia convinzione essa è edificata sopra un’altra più antica, di cui ha mantenuto l’allineamento. Il manufatto è a pianta rettangolare, misura m. 4,99×3,75 ed è alto circa un metro da terra.
Durante gli stessi lavori, sotto al pavimento della chiesa, nell’angolo Sud-Est è stata rinvenuta una porzione della scalinata di accesso ad un tempio etrusco, testimonianza del fatto che esso viene a trovarsi sotto l’edificio cristiano, tempio a oggi non indagato. Nei dintorni, tra la chiesa e l’Ara sono stati rinvenuti frammenti di antefisse, tra cui una bella testa femminile, inoltre della ceramica di V sec a.C. e tre dischi votivi in pietra fetida con incisioni in caratteri etruschi.
Il tempio in questione, per i pochi elementi emergenti, risponde ai caratteri dell’ordine templare tuscanico descritto da Vitruvio nell’opera De architectura. Infatti, un podio rialzato a cui si accedeva tramite una scalinata era la struttura di base dell’edificio sacro. L’alzato era in legno ed era costituito da tre celle che ospitavano le statue delle divinità ed un pronao con quattro colonne. Le divinità classiche ivi ubicate erano: Tin, Uni e Menerva, le stesse che poi con i Romani andranno a formare la Triade Capitolina (Giove, Giunone, Minerva). La copertura a due spioventi era in legno e laterizi, ornata da antefisse in terracotta e figure di divinità.
L’altare, o Ara, era distaccato dal tempio e posizionato a Est di esso ed era il luogo in cui venivano effettuale le cerimonie in presenza del popolo che vi partecipava. Queste cerimonie erano complesse: poteva trattarsi di offerte alla, o alle divinità, di sacrifici rituali costituiti da animali bruciati o cotti sull’altare, o anche di sacrifici con funzione divinatoria espletata tramite l’analisi delle viscere e degli organi interni delle vittime (aruspicina). Sul lato destro dell’Ara di Pieve a Socana “erano ancora presenti rivoli di grasso attaccati alla pietra […] Durante gli scavi sono stati trovati denti di cinghiale, di capretto, di agnello e molte ossa di animali e con molta probabilità questi erano gli animali che venivano sacrificati alla divinità sopra l’Ara”[1].
Tutto ciò ci fa comprendere nel complesso il contesto cultuale del luogo in questione. Geograficamente, il sito si trova molto vicino alla confluenza del Torrente Soliggine con il fiume Arno (in riva destra). Appena più a Nord nella sponda opposta si trova oggi l’abitato di Rassina. Il toponimo richiama l’appellativo Rasna o Rasenna, termine con cui gli Etruschi definivano sè stessi. Infatti Rassina si trova alla confluenza dell’omonimo torrente con il fiume Arno (in riva sinistra). Molti altri toponimi della zona, che non sto ad elencare, derivano da termini etruschi; lo stesso toponimo Socana sembra che derivi dalla parola etrusca Sacni che significa “luogo sacro, tempio”[2].
Altra caratteristica geografica degna di nota è la viabilità della zona: infatti il nostro sito si trovava in un nodo viario molto articolato e importante. Da qui transitava la Via Maior, la quale verso Sud si dirigeva ad Arezzo e da lì verso l’Etruria Meridionale e la costa tirrenica; verso Nord, passando per il Monte Falterona, il Lago degli Idoli, si dirigeva nel Mugello, in Val di Sieve e poi in direzione di Marzabotto e Spina. Un’altra direttrice verso Nord-Est raggiungeva la Romagna attraverso il Passo Serra. Ancora, poco a Nord di Pieve a Socana, un’importante strada verso Nord-Ovest, attraverso il Passo della Consuma, raggiungeva Fiesole (altra importante città etrusca). Varie altre vie secondarie raggiungevano anche il Valdarno attraverso le colline a Ovest del nostro sito (Ornina, Salutio, Talla, Gello Biscardo).
In sintesi, il nostro luogo sacro è incastonato tra l’Arno, le colline e la catena appenninica che da lì in poi, verso Nord, si erge sempre più imponente. Potremmo dire che la nostra Ara rappresenta una “porta” di ingresso nell’Alto Casentino, dove il paesaggio è montuoso e il clima severo: in questo senso il sito si può ben definire un “santuario di confine”.
[1] A. SCARINI, Pieve a Socana: arte storia e sacralità, Calosci, Cortona, 1996, p. 21.
[2] Cfr, A. SCARINI, Op. cit., p. 10.
Lo studio archeoastronomico
Sul sito che stiamo esaminando non esiste alcuno studio sistematico, ma solo una documentazione sparsa. Segnalo in proposito il libro Pieve a Socana: arte storia e sacralità di don Alfio Scarini[3] che è stato parroco di Pieve a Socana dal 1966 al 2015 ed ha seguito con passione tutti i lavori. Nel libro raccoglie tutte le informazioni possibili sulla pieve e il suo contesto in generale ed in particolare per quanto riguarda la parte etrusca e lo scavo di cui si è parlato.
Fermo restando le valide spiegazioni che dà l’archeologia, con questo contributo ci proponiamo di analizzare la funzione specifica dell’Ara in questione in relazione al luogo in cui essa è ubicata e lo facciamo attraverso l’archeoastronomia. L’Ara è orientata a Est, però occorre più puntualmente misurare i gradi precisi dell’Azimut. Nel nostro caso l’Azimut è l’angolo tra il Nord e la posizione del Sole alla sua levata, misurato dalla nostra Ara.
Risparmio al lettore i noiosi calcoli ed il metodo di rilevamento astronomico adottato e vengo subito al risultato. Il sole sorge in allineamento con il lato più lungo dell’Ara di Pieve a Socana esattamente il giorno 1° Novembre, con Azimut di 109° 30’ circa; ed è proprio questo risultato che ci interessa per la nostra indagine. Est è a 90°, il solstizio di inverno a 123°, quindi l’orientamento dell’Ara è a metà tra l’Est e il Sud-Est, solstizio invernale.
Appurato dunque questo orientamento astronomico cerchiamo ora di capirne il significato. Dal 1° Novembre il punto di levata del Sole si sposta ogni mattina sempre più a Sud verso il solstizio invernale, per poi tornare indietro, verso Nord, fino al solstizio estivo. Calcolando con un programma di simulazione astronomica ho individuato che la levata del Sole ritorna allineata con la nostra ara la mattina del 9 Febbraio.
A questo punto osserviamo il grafico del calendario celtico, conosciuto anche come la “Ruota dell’Anno”, che è quello maggiormente usato in molte culture antiche, compresa quella romana. In esso è rappresentato il ciclo delle stagioni punteggiato da otto feste riportate simbolicamente.
Il grafico riporta in schema i solstizi, estivo in alto, invernale in basso e gli equinozi, primavera a sinistra, autunno a destra; in tutto 4 punti dell’anno disposti a croce. Sono inoltre evidenziati anche i punti intermedi in cui ricorrono delle feste molto celebrate. In totale abbiamo 8 momenti dell’anno di estrema importanza[4]. Da questo grafico vediamo benissimo che la data del 1° Novembre si trova a metà tra l’equinozio d’autunno e il solstizio d’inverno; e la data del 9 Febbraio si trova tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera. Possiamo concludere che il Sole allineandosi con la nostra Ara, prima il 1° Novembre, poi di nuovo il 9 Febbraio, delimita il periodo più freddo dell’anno compreso tra queste due date.
Figura 11 Calendario celtico con indicazione delle date rilevate
Possiamo notare che questi due giorni fanno parte di un naturale ciclo del Sole: il 1° Novembre cade esattamente 50 giorni prima del solstizio di inverno e il 9 Febbraio 50 giorni dopo. È dunque logico che in queste due date il Sole si trovi nella stessa posizione perché situato in punti equidistanti dal solstizio invernale. Voglio anche sottolineare che il 1° Novembre in tutte le antiche culture (ed anche in quelle di oggi) si celebra una festa di grande significato (Samhain per i Celti). E nei giorni subito dopo il 9 Febbraio nell’Antica Roma, per esempio, si celebravano i Parentalia (culti degli Antenati) e i Lupercalia (culti di purificazione). La funzione di queste feste era evidentemente quella di delimitare lo spazio temporale intercorrente tra il 1° Novembre e il 9 Febbraio, in modo da contenere in un preciso periodo gli effetti del solstizio invernale caratterizzati da condizioni climatiche estreme.
[3] Il libro è citato già in nota 1.
[4] Per eventuali approfondimenti sull’argomento rimando a studi specifici poiché in questa sede non abbiamo spazio per dilungarci in dettagliate spiegazioni.
Autore: Giovanni Nocentini
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