La Meccanica Quantistica è la scienza dell’infinitamente piccolo, ideata da un gruppo di menti geniali nel corso di una trentina d’anni, dal 1900 al 1932[1]. In questo periodo, anche in risposta ad alcuni problemi insoluti della Fisica Classica, vennero costruite le fondamenta della teoria scientifica di maggior successo di sempre – almeno in termini di accordo tra previsione teorica e risultati sperimentali.

Fu subito chiaro che questa nuova scienza, che sarebbe più appropriato chiamare genericamente Fisica Quantistica, diceva qualcosa di profondo e fondamentale sulla natura della materia. Prima di tutto, essa spiegava in modo esaustivo la stabilità e le caratteristiche delle strutture atomiche[2]. Inoltre essa permetteva di affrontare alcuni dei problemi della “nuova” emergente fisica del tempo: la radioattività, le reazioni nucleari, la fisica delle particelle elementari e la fisica dello stato solido, a cui dobbiamo tra l’altro molto del progresso tecnologico che è seguito.

Infine, la Fisica Quantistica ha anche aspetti filosofici ed epistemologici di grande rilevanza e quindi un impatto considerevole – e tuttora in fase di studio – sulla nostra visione del mondo.

Ma prima di tutto iniziamo precisando meglio cosa sia la prima versione di questa teoria, ovvero la Meccanica Quantistica non relativistica (Non-Relativistic Quantum Mechanics, NRQM


[1] Il 1900 è l’anno della prima ipotesi “quantistica” formulata da Max Planck, mentre il 1932 è l’anno della scoperta della prima antiparticelle (il positrone), prevista dalla teoria quantistica e relativistica di Paul Dirac.
[2] Secondo l’Elettromagnetismo Classico, l’atomo non avrebbe neanche potuto esistere, in quanto instabile.

Cosa è la Meccanica Quantistica non relativistica

Senza alcuna pretesa di rivedere in modo completo la sua affascinante storia, possiamo innanzitutto dire che la NRQM è una teoria formale, che fa uso di un linguaggio matematico astratto. Gli oggetti di questa teoria non sono, come nel caso della Fisica Classica, quantità che possiamo mutuare dall’uso nella vita comune come masse, accelerazioni, correnti elettriche o forze. Bensì, sono enti che “vivono” in opportuni spazi matematici; questo fatto ha contribuito certamente a formare attorno a questa teoria un’aura di mistero, forse anche eccessiva.

In realtà non sembrano esistere motivi profondi per cui una teoria fisica debba essere conforme alla nostra intuizione o al senso comune; oltretutto la fisica quantistica riguarda principalmente la natura dell’atomo – un sistema che ha dimensioni inferiori al decimillesimo di micron, molto lontano dalla portata dei nostri sensi e dalla nostra esperienza quotidiana.

Nella NRQM il sistema (la particella) è descritto con una funzione ambientata in uno spazio astratto. Si tratta della funzione d’onda che dipende sia dalle coordinate spaziali che dagli altri gradi di libertà quantistici; essa si evolve nello spazio matematico[3] e rappresenta il sistema quantistico. Siamo in una situazione ben diversa da quella della Fisica Classica, perché la funzione d’onda non dà l’informazione certa su dove si trovi la particella in un certo momento o dove stia andando. Ed infatti la NRQM ha caratteristiche abbastanza lontane dal nostro senso comune, soprattutto in due aspetti: nella sua struttura intrinsecamente probabilistica e nel correlato Principio di Indeterminazione.

La struttura intrinsecamente probabilistica della teoria si rivela nel fatto che un sistema, preparato molte volte nello stesso identico stato iniziale, può evolversi in modi diversi tra loro. Questo fatto non ci è familiare: secondo la nostra esperienza quotidiana un pallone da basket lanciato sempre nello stesso modo, finirà a canestro nella stessa identica maniera. Se davvero ripetiamo tante volte i nostri lanci, ognuno precisamente uguale all’altro, il pallone entrerà sempre nel canestro. Diversamente, un elettrone “preparato” in un certo stato potrà invece evolversi in stati diversi, diciamo A e B, senza che noi possiamo prevedere con certezza, volta per volta, in quale dei due. Però noi saremo in grado di dire, grazie alla teoria, che lo stato A possiede (poniamo) il 30% di probabilità e lo stato B il 70% di probabilità di verificarsi[4]. Questa impossibilità di prevedere l’evento singolo (il nostro elettrone andrà in A oppure in B?) è il motivo per cui si dice che nella teoria è intrinsecamente presente un aspetto statistico.

Il Principio di Indeterminazione, altra caratteristica tipica della Fisica Quantistica, denota il fatto che certe quantità non possono, di principio, essere misurate con precisione arbitraria insieme. Ad esempio, non possiamo conoscere bene – simultaneamente – posizione e velocità[5] di una particella quantistica. Questo è ancora una volta diverso dal caso classico del pallone da basket o da calcio. Siamo infatti certi che quando battiamo un calcio di rigore, sappiamo sia dove si trovi il pallone (sul dischetto) e conosciamo anche la sua velocità (pari a zero). Questo tipo di conoscenza è impossibile in Fisica Quantistica: o conosciamo bene la posizione (e la velocità sarà incerta), oppure conosciamo bene la velocità (e la posizione sarà mal conosciuta).

Nella teoria vi sono infatti coppie di quantità che non possono essere misurate in modo arbitrariamente preciso[6]. Il miglioramento della misura di una grandezza (ad esempio velocità di una particella) determina il peggioramento di quella associata all’altra grandezza (posizione della stessa particella). Le incertezze sulla conoscenza di posizione e velocità sono determinate dal valore della costante di Planck h, che caratterizza la scala di grandezze del mondo quantistico.

A causa di questo fatto non possiamo realmente dire che il nostro elettrone abbia una traiettoria. Per avere una traiettoria è infatti necessario avere (in ogni istante!) una posizione e una velocità.

Questo aspetto ci fa’ apparire ulteriormente strana questa teoria: siamo abituati a pensare che il pallone da basket segua una traiettoria – che vediamo bene in televisione – prima di entrare nel canestro. Ma non è così per una particella elementare: non possiamo mai “vederne la traiettoria”.

Di fatto potremmo in qualche modo invertire l’argomentazione; se vogliamo, la “magia” della Meccanica Quantistica è proprio questa: pur partendo da limitazioni di principio della conoscenza (quali quelle appena viste), essa è in grado di fornire le previsioni più accurate mai formulate dall’umana conoscenza. E questo lo possiamo in fondo attribuire alla generalità della sua visione, alla capacità di integrare due concetti originariamente lontani e contrapposti: quello di onda e quello di corpuscolo[7]. In tal senso si tratta di una teoria che penetra l’interno della materia in modo straordinario.

Queste caratteristiche della teoria la rendono unica nella Fisica Moderna e pongono in modo particolarmente chiaro il problema della sua interpretazione.


[3] Si tratta generalmente di una classe di enti matematici chiamati “Spazi di Hilbert”.
[4] Non solo queste probabilità saranno conosciute con precisione straordinaria, ma conosceremo molto bene anche la loro evoluzione nel tempo, dando così ragione di quanto sia predittiva la teoria.
[5] A rigore, non la velocità bensì il momento.
[6] Nemmeno se possedessimo strumenti di misura “perfetti”. Si tratta di una incertezza “di principio”.
[7] Si tratta del ben noto “dualismo onda-corpuscolo” che caratterizza la teoria, formalizzato da De Broglie nel 1923.

Interpretazioni della Meccanica Quantistica

Prima di tutto è importante ricordare che ogni teoria fisica è soggetta ad interpretazione, in quanto essa propone implicitamente una visione del mondo: oltre all’essenziale aspetto predittivo per cui si giudica primariamente il valore della teoria[8], ci si confronta necessariamente anche con l’aspetto descrittivo: cosa dice la teoria sul mondo? Quale visione del mondo viene proposta?

Nel caso della Fisica Classica questa visione è quella di un mondo deterministico e materiale, ove gli elementi in gioco sono quantità intuitivamente chiare, meccaniche, ottiche, acustiche o fluidodinamiche, in buon accordo con le nostre esperienze spazio-temporali e il nostro “senso comune”. Risulta invece meno immediato rispondere alla domanda su quale sia la visione del mondo proposta dalla Meccanica Quantistica, visto che essa fa abbondante uso di elementi lontani dalla nostra esperienza – come il concetto di funzione d’onda. E di fronte a questo problema, in linea generale, sono emerse due scuole di pensiero.

La linea di pensiero principale – genericamente chiamata “Scuola di Copenhagen” per via del ruolo giocato da Niels Bohr – considera che lo scopo della teoria sia essenzialmente quello di fare previsioni sui risultati degli esperimenti, senza pretendere di avere una visione del mondo che sia indipendente dalle nostre misure, quindi privilegiando l’aspetto predittivo rispetto a quello descrittivo. In questo approccio, di taglio indubbiamente positivista, in un certo senso si rinuncia in gran parte proprio all’aspetto descrittivo del mondo. O lo si limita al caso in cui il mondo interagisce con noi tramite il processo di misura. Questo è apparso insoddisfacente a molti fisici – tra cui alcuni illustri fondatori della teoria stessa.

Di conseguenza sono nate correnti di pensiero in cui si ritiene che la Meccanica Quantistica (oltre a prevedere correttamente i risultati degli esperimenti) dovrebbe dare anche una visione del mondo in un certo senso “più completa”, in particolare meno dipendente dal ruolo delle misurazioni e dell’osservatore. Secondo questi studiosi la descrizione del mondo “alla Copenhagen” è insoddisfacente in quanto sussiste un grande squilibrio tra la straordinaria potenza predittiva della teoria e la sua povera descrizione del mondo. In genere i pensatori in accordo con questa linea tendono a ritenere che l’indeterminazione quantistica ne segnali l’incompletezza e che in qualche modo esistano degli ulteriori gradi di libertà non ancora identificati (ad esempio le variabili nascoste), noti i quali la descrizione sarebbe completa, soddisfacente – ed in particolare deterministica. Al riguardo, famosa e significativa l’affermazione di Einstein “Dio non gioca a dadi[9]”, ad indicare l’idea che la natura profonda del mondo fisico dovrebbe essere deterministica.

Ma intanto, ed indipendentemente dagli sforzi interpretativi, la teoria si evolveva affrontando il problema dell’invarianza relativistica.


[8] Quali risultati vengono previsti per i vari esperimenti e quanto si avvicinano alle osservazioni.
[9] Letteralmente: der Alte würfelt nicht. Il Vecchio non gioca a dadi

Dalla NRQM alla Meccanica Quantistica relativistica

La quantità di successi ottenuti da questa teoria fin dalla sua nascita fu notevolissima. Iniziando con le previsioni dei risultati dei primi esperimenti di fisica nucleare, sullo spin dell’elettrone e la struttura energetica dell’atomo di idrogeno.

La prima versione della teoria, la NRQM, fu portata a compimento con la dimostrazione dell’equivalenza del formalismo matriciale di Heisenberg con quello ondulatorio di Schrödinger. E con l’interpretazione probabilistica di Born della funzione d’onda. La base formale della NRQM è l’Equazione di Schrödinger del 1926, che definisce proprio l’evoluzione della funzione d’onda, dell’entità matematica rappresentativa di un sistema quantistico.

Tuttavia a questo stadio di evoluzione la teoria mostrava ancora delle piccole discrepanze con i risultati degli esperimenti più precisi, discrepanze dovute principalmente al fatto di essere una teoria non-relativistica. In una teoria non relativistica l’interazione fra differenti particelle si propaga con velocità infinita (azione a distanza), in contraddizione con la Relatività, secondo la quale niente in natura può propagarsi con velocità superiore a quella della luce.

La prima formulazione di una Meccanica Quantistica di tipo relativistico è dovuta a Paul Dirac che nel 1928 elaborò una equazione relativisticamente invariante ed al tempo stesso quantistica. In questo modo si realizzava la fusione tra due teorie fondamentali della fisica moderna: Fisica Quantistica e Relatività (Speciale). Le conseguenze di questa unificazione furono spettacolari.

Prima di tutto, essa richiedeva di ambientare la matematica della teoria in uno spazio più “vasto”, ovvero richiedendo una rappresentazione più estesa. Ed il fattore rimarchevole fu che questa estensione consentiva di prevedere le due proprietà dello spin e della presenza di antiparticelle.

Bisogna infatti ricordare che lo spin era una realtà sperimentale – appena scoperta. Ma che non aveva una necessità di esistere nella teoria non-relativistica. Era proprio la nuova equazione di Dirac a richiedere questa caratteristica come “emergente” dalle proprietà di invarianza della teoria stessa.

Ma non solo: l’equazione di Dirac suggeriva anche l’esistenza di antiparticelle, richiedeva ad esempio che oltre all’elettrone (di carica negativa), esistesse anche un anti-elettrone di massa uguale ma di carica positiva[10]. Questo antielettrone (chiamato positrone) venne effettivamente scoperto a breve distanza di tempo dalla formulazione della teoria di Dirac, nel 1932. Questa scoperta ad opera di Anderson e Neddermeyer, sancì uno dei maggiori trionfi della Fisica di tutti i tempi.

Questa predizione sperimentale, formulata sulla base dell’armonizzazione di Fisica Quantistica e Relatività Speciale aveva permesso la scoperta di una nuova intera classe di particelle; si trattava di uno dei tanti esempi della potenza della teoria, in apparente contraddizione con l’aspetto estremamente astratto della stessa. Un fatto che non mancò di suscitare grande stupore anche in alcuni dei protagonisti di questa rivoluzione[11].


[10] Stiamo saltando qualche pezzo di storia, ed in particolare la “teoria del mare di Dirac”, che avrebbe avuto vita breve e sarebbe stata superata con la scoperta del positrone
[11] Eugene Wigner scrisse a riguardo un libro dal titolo significativo: “L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”.

Una nuova quantizzazione

Ma nonostante questi sensazionali progressi, nella nuova Meccanica Quantistica relativistica rimaneva qualche difficoltà. Una classe importante di problemi era dovuta alla nozione di causalità, ed erano correlati al fatto di descrivere il sistema fisico con la funzione d’onda. Questa funzione (sia nella teoria di Schrödinger che in quella di Dirac) è legata alla probabilità di presenza di una particella: la cosiddetta interpretazione di Born. Si tratta quindi di una descrizione “a particella singola”, e questo fatto causava ancora delle inconsistenze.

Queste difficoltà vennero superate con l’introduzione di una teoria ancora più astratta, sempre di carattere quantistico ma che considerasse, al posto della funzione d’onda di particella, una quantità più “generale” ed estesa a tutto lo spaziotempo: il campo. Naturalmente, un campo quantizzato. Le particelle, in questa nuova visione, sono rappresentate da eccitazioni del campo stesso, in un formalismo che rispetta la causalità relativistica[12] e che consente in modo naturale la creazione e distruzione sia di particelle che di antiparticelle (materia e antimateria). Ad esempio la teoria rende conto di come i processi di collisione trasformino l’energia di un urto, ad esempio in una coppia particella/antiparticella – come previsto dall’equazione relativistica E = mc2.

Questi processi di creazione e distruzione di particelle ed antiparticelle avvengono nelle modalità consentite dalla Fisica Quantistica e possono essere sia “reali” (effettiva produzione di particelle dal vuoto) che “virtuali” (fluttuazioni compatibili col Principio di Indeterminazione). In questa ottica, la nuova quantizzazione “ci obbliga” ad attribuire delle proprietà dinamiche al vuoto, alla struttura stessa dello spaziotempo. Si tratta di un cambiamento molto importante di prospettiva: restringendoci al campo della Fisica, questo è il cambiamento da uno spaziotempo solamente geometrico a un vuoto dinamico capace di autentici effetti fisici.  Fatto confermato anche in modo diretto dall’osservazione dell’Effetto Casimir, per il quale due piastre metalliche parallele poste vicine si attraggono per effetto delle interazioni elettromagnetiche causate dalle fluttuazioni quantistiche del vuoto.

Questa nuova visione della Fisica Quantistica, la più moderna che abbiamo, viene in genere chiamata “seconda quantizzazione”, mentre si riserva il termine “quantizzazione” (o anche “prima quantizzazione”) alla NRQM o alla teoria di Dirac.

La Fisica Quantistica in questa versione viene chiamata Teoria Quantistica di Campo (Quantum Field Theory, QFT) ed è la visione più accurata che abbiamo del mondo atomico, subatomico e nucleare. In forma semplificata e schematica, il rapporto tra le varie teorie quantistiche è mostrato in figura 1.


[12] Ovvero il concetto per cui due campi non possono influenzarsi l’un l’altro in punti dello spaziotempo al di fuori del rispettivo “cono di luce”. Questo traduce il fatto che nessuna interazione fisica può essere trasmessa in modo superluminale in Relatività Speciale.

 

Figura 1. Caratteristiche di varie forme di teorie fisiche. La più moderna è la QFT, ottenuta quantizzando una teoria di campo classica e relativistica, in un processo chiamato “seconda quantizzazione”.

La Teoria Quantistica dei Campi (QFT)

Una Teoria Quantistica di Campo parte dalla definizione dei campi che scegliamo e ne quantizza la natura in modo relativistico, comprendendo così la possibilità di creazione e distruzione di particelle ed antiparticelle. Il formalismo permette anche di descrivere in modo naturale lo spin e la relazione tra spin e statistica, quello che in Fisica Atomica è noto come principio di esclusione di Pauli: particelle con spin ½, dette fermioni, si respingono[13], il che determina la solidità della materia. Inoltre, come già detto, la teoria conferisce al vuoto un nuovo speciale stato dinamico: il vuoto è da considerarsi “riempito” dai campi quantistici fondamentali che, fluttuando (in accordo col Principio di Indeterminazione), possono produrre coppie di particelle e antiparticelle[14].

Inoltre la QFT è profondamente legata a principi di simmetria, sia quelli già presenti nella teoria dei campi classica (Teorema di Noether) che quelli tipicamente relativistici (invarianza rispetto alle trasformazioni della Relatività Ristretta, ovvero rispetto al Gruppo di Lorentz) ed anche permette la descrizione delle simmetrie discrete C,P,T[15].

Questi sviluppi vanno a evidenziare il sempre maggiore ruolo dei principi di simmetria in Fisica. Secondo una famosa frase di Frank Wilczek, una simmetria è, in un certo senso, una differenza che non fa differenza. Questo principio diviene particolarmente visibile con l’Invarianza di Gauge, riguardante la nuova entità pienamente relativistica che è il campo. Questa proprietà richiede che la dinamica di una QFT risulti invariante per cambiamenti che ridefiniscono in un certo modo i campi della teoria stessa, secondo trasformazioni appunto dette “di gauge”.

Questa simmetria ha un significato dinamico profondo: partendo infatti da una teoria che gode dell’invarianza di gauge più semplice (quella “globale”) è possibile arricchire la dinamica del sistema con nuove interazioni semplicemente richiedendo la versione più restrittiva (“locale”) della simmetria. La presenza di interazioni fisiche viene così introdotta nella teoria in seguito alla richiesta di invarianza di gauge locale.

Questo legame tra dinamica e simmetria è una delle innovazioni concettuali più importanti della Fisica Moderna e questo modo di “generare” interazioni fisiche fondamentali in QFT utilizzando il Principio di Gauge è diventato ormai un vero e proprio metodo paradigmatico, rendendo così questa invarianza una caratteristica quasi imprescindibile delle teorie quantistiche[16].

Vi sono diverse forme possibili di QFT, e quella di maggiore interesse comprende i campi che sono stati effettivamente osservati negli esperimenti di fisica nucleare e delle particelle: si tratta dei due campi delle Interazioni Nucleari Forti (detto anche QCD da Quantum Chromodynamics) e delle Interazioni Elettrodeboli, i quali descrivono con successo la dinamica che ha luogo tra i mattoni costituenti più fondamentali della materia conosciuta: quark e leptoni[17].

Alla particolare forma di QFT che descrive le interazioni tra quark e leptoni nei termini delle due teorie di Interazioni Nucleari Forti (QCD) ed Interazioni Elettrodeboli si conferisce il nome di Modello Standard delle Particelle Elementari. Una costruzione intellettuale strabiliante, opera della fatica di moltissimi ricercatori nel corso di quasi un secolo.

Questa visione nasce anche tra l’altro da un grande successo, schematizzato nella figura 2: l’unificazione tra i campi di Elettromagnetismo Quantistico (QED, Quantum Electrodynamics) da un lato e teoria di Fermi delle Interazioni Nucleari Deboli dall’altro. Questa unificazione della QED con la teoria di Fermi viene infatti chiamata Unificazione Elettrodebole.


[13] Si dovrebbe più correttamente dire che particelle a spin ½ non possono condividere lo stesso stato quantico.
[14] Questa creazione non viola la conservazione dell’energia perché una delle forme del Principio di Heisenberg lega tra loro Energia e Tempo. Inoltre le coppie particella-antiparticella hanno numeri quantici opposti: ad esempio un elettrone (negativo) viene prodotto insieme a un positrone positivo rispettando così la conservazione della carica.
[15] Inversione di carica C, inversione spaziale P ed inversione temporale T.
[16] Per completezza, andrebbe detto che le teorie di gauge in genere garantiscono l’importante proprietà della rinormalizzabilità – che permette di gestire matematicamente quantità infinite che a volte compaiono nella teoria.
[17] Nel caso dell’atomo, i quark sono i costituenti di protoni e neutroni, mentre tra i leptoni figura l’elettrone.

L’Unificazione Elettrodebole

Il processo teorico-sperimentale che avrebbe portato all’Unificazione Elettrodebole iniziò negli anni ‘1960 e attraversò un momento decisivo nel 1973 con la definizione del modello GSW (dai nomi degli autori Glashow, Salam e Weinberg) per poi culminare con la scoperta delle particelle W e Z al CERN[18] di Ginevra nel 1984, ottenuta dagli esperimenti UA1 (guidato da Carlo Rubbia) e UA2. Nel frattempo t’Hooft e Veltman dimostrarono la fondatezza matematica del nuovo campo quantistico Elettrodebole, provandone la rinormalizzabilità.

Si tratta indubbiamente di uno dei maggiori successi della conoscenza moderna: la QED di Feynman, Schwinger e Tomonaga e l’Interazione Nucleare Debole di Fermi vengono riconosciute come manifestazioni del campo “più fondamentale” Elettrodebole. Ad alte energie, questo campo è manifestamente presente ma quando l’energia è inferiore[19], le Interazioni Elettrodeboli si suddividono nelle Interazioni Nucleari Deboli e nella QED. Quindi i tre campi fondamentali (Gravitazione, QCD e campo Elettrodebole) a bassa energia si manifestano come quattro (figura 2).

Figura 2. I campi fondamentali della Fisica Moderna, con l’unificazione avvenuta tra il 1973 e il 1984. Oggi si pensa che vi siano tre campi fondamentali: l’interazione nucleare forte, l’interazione elettrodebole e la gravitazione. Tutti i campi di questa figura sono campi di tipo QFT, eccetto la gravitazione che è rappresentata da una teoria classica (la Relatività Generale).

Non è la prima volta che questo avviene in Fisica: una unificazione di campi nota a tutti è quella tra Magnetismo ed Elettrostatica – a formare l’Elettromagnetismo Classico di Faraday e Maxwell nel corso del XIX secolo. Ma vi sono molti altri esempi.

In definitiva i campi fondamentali sono tre, ovvero la Gravitazione e due campi quantistici: la QCD e il campo Elettrodebole[20]. Come abbiamo detto, il tipo di QFT che considera i quark e i leptoni interagenti tramite la QCD e il campo Elettrodebole è il cosiddetto Modello Standard della Fisica delle Particelle: una teoria dal successo strepitoso, capace di spiegare decenni e decenni di risultati sperimentali ottenuti con l’ausilio dei grandi acceleratori come quelli del Fermilab di Chicago o del CERN di Ginevra – ma anche risultati ottenuti nella fisica delle particelle provenienti dal Cosmo. La potenza di questa versione della Fisica Quantistica moderna è tale che il suo formalismo deve essere utilizzato anche in Cosmologia – per comprendere correttamente la dinamica dei primi istanti di vita dell’Universo. Per comprendere il Big Bang.

In definitiva la QFT è parte decisiva e fondamentale di quella che è la nostra visione dell’universo: due campi quantistici fondamentali che si evolvono in uno spaziotempo descritto dalla Relatività Generale. Fin dall’inizio dei tempi.


[18] Centro Europeo Ricerche Nucleari, dotato dell’acceleratore più potente al mondo, il Large Hadron Collider (LHC).
[19] Energia inferiore rispetto alla massa dei bosoni W,Z. Ovvero più piccola di 100 GeV circa.
[20] Non abbiamo ancora una teoria quantistica della Gravitazione, come verrà chiarito tra poco.

L’Unificazione con la Gravità

Il percorso delle moderne teorie quantistiche ci porta direttamente al cospetto di nuove sfide, e naturalmente di fronte alla possibilità di nuove unificazioni. La prossima plausibile sembra quella tra i campi Elettrodebole e di QCD, una possibilità che potrebbe (o meglio dovrebbe) verificarsi ad energie molto più alte rispetto a quelle raggiunte dagli acceleratori contemporanei.

Tale tipo di unificazione viene a volte chiamata “grande unificazione” e le teorie che la riguardano vengono chiamate GUT (Gran Unification Theories).

Una teoria GUT è quindi una teoria di campo quantistica relativistica che descrivererebbe con una unica entità (il campo “GUT”) tutte le interazioni quantistiche fondamentali. Tale campo darebbe poi luogo alle differenti forme di interazione nel limite di “basse energie”, ovvero alle energie accessibili nei laboratori. Si tratta di un argomento di ricerca avanzato e sul quale si ripone una fiducia forse anche eccessiva – tuttavia questa unificazione pare plausibile[21]. E facendo l’atto di fede che sia effettivamente verificata, la ricerca spesso si concentra sullo scopo “ultimo” di unificare tutta la fisica quantistica con quella gravitazionale. Il passo successivo.

Indubbiamente si potrebbe obbiettare, a questo punto, sul senso di un passo “successivo” quando non si sia ancora risolto il caso precedente. A riguardo però ricordiamo che spesso è proprio per mezzo di un approccio più generale che si riescono a risolvere anche i problemi “minori”. Ed il passo successivo all’Unificazione GUT ha un senso concettuale diverso e più profondo; si tratterebbe di armonizzare l’intera fisica, unificando dei quantistici con uno classico: la Gravitazione – la grande teoria esclusa dalla rivoluzione quantistica.

Questa la sfida finale, il “Sacro Graal” della ricerca moderna: comprendere la gravità dal punto di vista quantistico. Riuscire a formulare correttamente la cosiddetta Quantum Gravity. La gravitazione è infatti l’unica interazione fondamentale a essere ancora descritta da una teoria di tipo classico[22], la Relatività Generale, e la sua unificazione con le altre forze appare un traguardo assai impegnativo – nonostante sia al centro degli sforzi di tanti studiosi contemporanei.

Questa ricerca viene affrontata principalmente per mezzo delle Teorie di Stringa, genericamente ambientate in spazi a molte dimensioni. Ma vi sono anche altri approcci, ancora più speculativi e audaci, come ad esempio la Loop Quantum Gravity o le teorie di quantizzazione della geometria (Fuzzy Geometry). Questa famiglia di teorie offre un incredibile caleidoscopio di metodi e strumenti inventati dall’ingegno umano: dagli spazi a moltissime dimensioni alla trattazione di integrali divergenti. Dalle procedure di regolarizzazione alla compattificazione delle extra-dimensioni per “ricadere” poi nel nostro mondo a tre dimensioni spaziali e una temporale.

Lo studio sperimentale di questa fisica richiede energie molto più grandi di quelle raggiungibili con gli odierni acceleratori. Ma forse l’Universo ci viene in aiuto: fenomeni come le coalescenze di Buchi Neri (che generano Onde Gravitazionali) o i Buchi Neri Supermassivi (milioni di masse solari) potrebbero fornire preziose informazioni su aspetti quantistici della gravitazione. Sistemi di questo tipo, scoperti recentemente, sono in grado di concentrare una energia gravitazionale talmente elevata da generare forti curvature di spaziotempo, e possibili effetti quantistici.

Indubbiamente, le sfide della conoscenza non finiscono mai.


[21] Si deve però sottolineare che non è stata dimostrata, nonostante affermazioni ottimistiche che spesso si incontrano nella letteratura divulgativa.
[22] Qui intendiamo “classico” nel senso di “non quantistico” e NON “classico” in senso di “non-relativistico”. La Relatività Generale è (ovviamente) relativistica.

Una visione del mondo

L’innovazione più radicale di ogni nuova forma di conoscenza è probabilmente quella di incidere sulla nostra visione del mondo, di cambiarla in qualche senso. Ed è questo certamente il caso della Fisica Quantistica. I successi di questa teoria sono talmente eclatanti che possiamo oggi definirla una “meta-teoria”, elevandola così al ruolo di “modalità di costruzione di teorie”. Nel senso che una teoria o un modello fisico specifico viene migliorata proprio se elaborata tenendo conto degli effetti quantistici, ovvero in modalità pienamente quantistica. In altre parole, l’essere “quantistico” di una teoria, ne rappresenta un miglioramento, un modo di essere più pieno e fondamentale. Insomma, un modo per “mettere il turbo” al nostro modello fisico.

Come era prevedibile, vi sono aspetti della QFT che hanno implicazioni epistemologiche di rilievo, naturalmente a riguardo della sua interpretazione. Ma cosa è l’interpretazione di una teoria fisica? In parole semplici, abbiamo visto che è la risposta alla domanda “Cosa ci dice la teoria sul mondo?” Ed ogni teoria fisica di grande respiro “deve” dirci qualcosa sul mondo[23]. Si tratta di quello che in precedenza abbiamo chiamato l’aspetto descrittivo della teoria.

Nel caso della Fisica Quantistica la risposta è da considerarsi oltremodo delicata, perché essa ci dice simultaneamente qualcosa “sul mondo” ma anche su noi stessi in relazione al mondo. Ed è per questo che la sua interpretazione è ancora oggi oggetto di discussione tra gli esperti, sia fisici che filosofi della scienza. Ma anche tra gli appassionati di ogni tipo.

Questa discussione, è bene notarlo, inizia fin da subito. Inizia con l’emergere della prima versione della teoria, la NRQM: nasce immediatamente un dibattito intenso che coinvolge i fisici stessi fondatori della teoria e i filosofi (ad esempio del Circolo di Vienna). E il cui culmine più noto è il famosissimo “dibattito tra Bohr ed Einstein”.

La conseguenza più rilevante della teoria riguarda proprio il rapporto tra noi e il mondo, tra osservatore e sistema osservato. Tra soggetto e oggetto. Questo anche perché in alcuni esperimenti chiave della Meccanica Quantistica si viene a mettere in seria difficoltà l’idea che i fisici avevano assunto implicitamente fin dai tempi di Galileo e Newton: quella del realismo.

Il realismo in fisica parte generalmente dall’assunzione che un qualsiasi sistema possa essere studiato senza disturbarlo, o riducendo al minimo (idealmente riducendo a zero) la perturbazione provocata dalla misura. La visione realista prevede infatti che esso si evolva indipendentemente dalle nostre intenzioni, indipendentemente dal fatto se decidiamo o no di osservarlo: tutte le grandezze fisiche del sistema esistono e si evolvono a prescindere che vengano misurate. Ne segue che la misurazione rappresenta una semplice “registrazione” di fatti riguardo ai quali l’osservatore è (almeno in linea teorica) ininfluente. Tutto questo non vale invece per un elettrone o per un qualche altro sistema dove gli effetti quantistici siano importanti.

In Fisica Quantistica invece non si riesce a concepire un sistema fisico come rigorosamente distinto dalle operazioni che facciamo per studiarlo: il sistema sarà sempre influenzato dalla nostra misura e addirittura, in un certo senso “esso esiste” solo quando noi lo misuriamo. Senza la misura non potremmo, a rigore, neanche parlare delle sue proprietà come “esistenti”. Questa è una condizione estremamente diversa da quella di un sistema “classico” (non quantistico): nella fisica classica nessuno dubita che un pallone da calcio tirato con forza abbia una certa velocità – indipendentemente dal modo in cui la velocità venga misurata. O indipendentemente dal fatto stesso che venga misurata. Ma per un elettrone è diverso.

Per un elettrone, il valore del risultato della misura è determinato dalla misura stessa e dalle sue modalità: ad un certo livello quantistico, le sue proprietà sono inscindibili dal processo stesso di misurazione. Osservatore e osservato diventano legati in modo inestricabile, soggetto ed oggetto non si riescono a distinguere pienamente. Ed è questa la sfida che la Fisica Quantistica pone all’intera conoscenza umana. Alla sua visione del mondo.

Per evidenziare questi effetti occorre eseguire esperimenti in cui la natura quantistica del sistema venga messa particolarmente in luce. I risultati di questa classe di esperimenti sono ormai numerosissimi ed incontrovertibili[24]. E ci portano ad una nuova visione del mondo. E di noi stessi nel mondo.

Tuttavia, è importante notare che la riflessione scientifica e filosofica viene ancora condotta quasi esclusivamente considerando la prima versione della teoria quantistica, la NRQM. Questa è, in gran parte, l’unica versione della teoria che è stata diffusa, resa popolare e ampiamente nota ai filosofi. Ed in questa forma[25] la teoria ha dato questa straordinaria lezione epistemologica.

Esistono però altre forme, più moderne, della Fisica Quantistica, come soprattutto la QFT. Ed è proprio nel campo della QFT che la riflessione filosofica è iniziata da poco, con risvolti davvero nuovi e interessanti[26], che vede coinvolti sia filosofi della scienza che fisici appassionati agli aspetti epistemologici.

La QFT infatti è una teoria piuttosto diversa dalla Meccanica Quantistica dei primi decenni del secolo scorso, e presenta aspetti concettuali nuovi – pur mantenendo alcune delle caratteristiche iniziali. Come abbiamo visto, nella QFT le entità fondamentali sono i campi quantistici, da cui deriva la possibilità di creazione di particelle e antiparticelle e la struttura dinamica del vuoto. Non è quindi sorprendente che la QFT abbia anche portato a un linguaggio nuovo, del quale l’esempio più evidente è quello dei diagrammi di Feyman, che compaiono in molti dei suoi aspetti[27].

E tale linguaggio, inevitabilmente, cambia ancora una volta la nostra visione del mondo.


[23] Il caso della Gravitazione di Newton è un esempio lampante.
[24] Si tratta in genere di esperimenti in cui è formulabile una disuguaglianza del tipo “di Bell”, ed è possibile eseguire un esperimento del tipo dello storico esperimento di Aspect e collaboratori.
[25] Per la verità dovremmo dire per completezza che anche nella forma particolare di Ottica Quantistica (anch’essa relativistica), la teoria ha dato lo stesso tipo di risposte alle domande epistemologiche cui abbiamo accennato.
[26] Si veda ad esempio: D.J. Baker – The Philosophy of Quantum Field Theory – The Oxford Handbook of Topics in Philosophy, 2014. https://doi.org/10.1093/oxfordhb/9780199935314.013.33.
[27] In particolare in quelli che riguardano i calcoli perturbativi.

Autore: Marco Giammarchi e Marco Torri

Autori

  • Marco G. Giammarchi

    Marco Giammarchi è Primo Ricercatore all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, abilitato Professore Ordinario di Fisica delle Interazioni Fondamentali. È' titolare del corso di Fisica delle Particelle all'Università degli Studi di Milano ed è stato Guest Scientist al Fermilab negli USA e all'Albert Einstein Center di Berna. Ha partecipato a esperimenti al Fermilab, al Laboratorio del Gran Sasso, in Belgio, in Argentina e al CERN di Ginevra. È' tra i fondatori di Borexino, esperimento che ha dimostrato il funzionamento del centro del Sole con i neutrini e nel 2015 ha fondato l'esperimento QUPLAS che ha osservato per la prima volta l'interferometria quantistica di antimateria. I suoi interessi vanno dalla fisica astro-particellare e del neutrino alla fisica quantistica e alla gravitazione con antimateria. È autore di 300 pubblicazioni su riviste internazionali e di 50 interventi a conferenze internazionali. Interessato alla spiritualità orientale, da oltre dieci anni collabora con Filosofi della Scienza su temi epistemologici e di filosofia teoretica.

  • Marco Danilo Claudio Torri

    Laureato presso il Dipartimento di Fisica “A. Pontremoli” (Università degli Studi di Milano), tesi di Fisica teorica sulla geometria spinoriale. Dottorato presso lo stesso istituto, tesi su modelli di gravità quantistica e astrofisica multi-messenger. Vincitore di una borsa post-doc finanziata dalla Fondazione Confalonieri - Milano, dedicata ad indagare il modello originale di gravità quantistica sviluppato (HMSR). Borsista post-doc presso il Dipartimento di Fisica “E. Pancini” (Università Federico II - Napoli), membro della COST Action 18108 “Quantum Gravity multi-messenger”. Attualmente: assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Fisica “A. Pontremoli” - fenomenologia delle astroparticelle e ricerca di effetti esotici nella fisica del neutrino (esperimento JUNO). Topic editor delle riviste scientifiche “Universe” e “Symmetry” (MDPI).

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