Tra il 2018 e il 2022 ho condotto delle indagini in territorio aretino, prevalentemente di natura archeoastronomica e antropologica, che mi hanno portato a individuare una necropoli etrusca[i]. I risultati di questa indagine sono riportati nel mio libro Una vasta necropoli nella Valle delle Piagge[ii], a cui rimando per eventuali approfondimenti. Nel presente lavoro cerco di esporre sinteticamente la parte del libro che si occupa di ideologia funeraria[iii].
Per gli Etruschi, il territorio in cui viviamo e svolgiamo delle attività è sempre uno spazio sacro. Non solo il tempio, sacro per eccellenza, ma tutta la città è concepita come proiezione del cosmo e, come esso, deve essere ordinata, secondo il fondamentale principio di corrispondenza: “ciò che è in basso è come ciò che è in alto”, come recita anche un noto testo sapienziale ermetico[iv]. Sorvolando molti dettagli, possiamo dire che ogni territorio individuato, per edificare una città o anche una necropoli, viene ripartito essenzialmente secondo i fondamentali orientamenti cosmici, che nel terreno si concretizzano con un asse viario Est-Ovest (secondo il percorso del sole) che in seguito i Romani chiameranno “decumano” e un asse viario Nord-Sud (secondo la proiezione dell’asse cosmico Nord-Sud) che i Romani chiameranno “cardo”.
[i] La necropoli individuata si trova in una fascia di confine tra il Comune di Arezzo (Cincelli) e il Comune di Capolona (Pieve San Giovanni).
[ii] G. NOCENTINI, Una vasta necropoli nella Valle delle Piagge, Effigi, Arcidosso (GR), 2022.
[iii] In pratica da pagina 95 a pagina 124.
[iv] Per una spiegazione dettagliata di questo argomento, corredata di citazioni degli autori antichi e contemporanei, rimando al mio libro, citato, pp. 95-98.
Corteo funebre con carro e lettiga – Volterra, Museo Etrusco Guarnacci (G. Nocentini, 2022, p. 85);
Così, nella nostra necropoli, attraverso tratti di strade ancora evidenti, muretti e quant’altro, sono riuscito a ricostruire e riportare in mappa questi assi. Ma la cosa più notevole, ed è quella da cui scaturisce tutta la nostra riflessione, è stata l’avere individuato la strada di ingresso alla necropoli e un tratto della strada del “ritorno” da essa. Qui semplificando molto dico che la strada di ingresso è orientata al tramonto del sole del solstizio d’estate e la strada del ritorno alla levata del sole del solstizio d’inverno. In mappa ho evidenziato queste strade all’interno della necropoli. Tuttavia vorrei sottolineare che anche la strada che dalla città di Arezzo conduce alla necropoli, ancora in uso, è perfettamente rettilinea e orientata al tramonto del solstizio estivo.
La domanda che mi sono rivolto è: perché oltre agli assi che ripartiscono il territorio ci sono queste strade che,
a quanto sembra, segnano un percorso rituale di andata e ritorno e che sono orientate ai solstizi? In particolare mi ha fatto riflettere quella orientata al tramonto del solstizio estivo. Nel primo tomo di un’opera ottocentesca di Francesco Inghirami, in cui si tratta delle urne sepolcrali, egli presenta la concezione degli Etruschi riguardo alla vita e alla morte e lo fa citando un brano di Macrobio: “Scipione il vecchio mostrando a Scipione il giovine la via lattea, di lassù, diceagli, son partite le anime e lassù debbon tornare. Or la via lattea, secondo quanto scrive Macrobio, avviluppa in modo il zodiaco nella obliqua fascia che copre nel cielo, ch’essa lo interseca nei due punti opposti del cancro e del capricorno, dove si trovano i due termini della via che batte il sole chiamati tropici, e che gli antichi han pur nominati porte del sole. Per esse porte, continua l’autore, passano le anime venendo in terra e ritornando nel cielo”[v].
[5] F. INGHIRAMI, Monumenti etruschi o di etrusco nome, Badia Fiesolana, 1821, Tomo I, p. 17. Il passo citato è da Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis, Libro I, cap. XII, p. 61.
Defunta, accompagnata da Vanth , accolta alle Porte dell’Aldilà da Charun – Tarquinia, Necropoli etrusca (G. Nocentini, 2022, p.115);
Innanzi tutto Macrobio presenta una concezione comune a molte civiltà antiche, che cioè l’anima di ogni persona proviene dalla Via Lattea, si incarna, vive nel nostro mondo terreno e al termine della vita lasciando il corpo, ritorna nella Via Lattea. Poi ci dà un’informazione molto interessante: la Via Lattea interseca l’eclittica nei punti estremi del percorso del Sole (solstizio d’estate, solstizio d’inverno), che nell’antichità erano rappresentati dai segni zodiacali rispettivamente del Cancro e del Capricorno (oggi tali segni sono cambiati a causa della precessione degli equinozi). Questi punti di intersecazione erano chiamati “Porte del Sole” e proprio da queste porte, secondo la concezione degli antichi, entravano e uscivano le anime per venire nel mondo e per tornare alla loro origine. Ecco che allora si chiarisce il significato delle vie orientate percorse ritualmente nell’andata e nel ritorno, nella nostra necropoli. Essendo esse orientate l’una al solstizio d’estate, l’altra al solstizio d’inverno, rimandano alle “porte” che le anime devono attraversare per passare da un mondo all’altro.
Leonardo Magini parla diffusamente di questa concezione e, oltre agli scritti degli autori classici, riferisce molti dettagli di una importante festa in onore di Fors Fortuna che si svolgeva nell’Antica Roma, nei giorni del solstizio d’estate: le maschere tipiche delle schiere dei morti, indossate dai partecipanti, la difficoltà deambulatoria propria di chi va nell’aldilà, la navigazione notturna del Tevere in barca, la contemplazione delle stelle e il dialogo con esse (la costellazione di Orione presso la Via Lattea). Poi, l’autore cita e commenta quattro versetti dell’Odissea di Omero: “Qui scorrono acque perenni, due porte vi sono, una volta a Borea, che è la discesa per gli uomini, l’altra, invece, che si volge a Noto, è per gli dei e non la varcano gli uomini, ma è il cammino degli immortali” (Omero, Odissea 13.102-12).
Qui si descrive chiaramente il percorso delle anime degli uomini che compiono un ciclo perpetuo: alla nascita scendono sulla terra dalla porta Borea – o Porta del Cancro – e alla morte risalgono in cielo per la porta di Noto – o Porta del Capricorno[vi].
[vi] L. MAGINI, La dea bendata. Lo sciamanesimo nell’antica Roma, Diabasis, Parma, 2008, p. 208.
Urna etrusca in cui è rappresentata la Porta dell’Aldilà tra due cipressi – Chiusi, Museo Nazionale Etrusco (G. Nocentini, 2022, p. 115)
Il lavoro di Magini, è molto importante perché oltre alle fonti scritte, abbiamo anche una testimonianza concreta (la festa di Fors Fortuna) di come è vissuta e trasmessa, nel mondo antico, la concezione delle anime che si incarnano e passano da un mondo all’altro, attraverso le “porte” celesti, le quali sono in coincidenza di precisi momenti astronomici e fanno parte di una ideologia religiosa, ben lungi dall’essere costruzione della fantasia dei nostri antichi antenati.
Dobbiamo fare un’ulteriore precisazione. Macrobio e la sua tradizione affermano che per la porta del Cancro (solstizio d’estate) discendono le anime per incarnarsi nel mondo terreno e per la porta del Capricorno (solstizio d’inverno) esse ritornano alla Via Lattea dopo aver lasciato il corpo alla morte. Invece nella tradizione indù (orientale) il discorso è ben più complesso, come riferisce René Guenon. La porta del Cancro è utilizzata dalle anime sia per incarnarsi che per fare ritorno alla Via Lattea qualora esse non abbiano raggiunto un sufficiente grado di elevazione spirituale e debbano di nuovo incarnarsi. Mentre la porta del Capricorno è attraversata solo dalle anime che hanno compiuto il loro percorso definitivo e non hanno più bisogno di reincarnarsi[vii]. Infatti, ciò collima con quanto recita l’Odissea: la porta del Capricorno (o di Noto) “è per gli dèi e non la varcano gli uomini, ma è il cammino degli immortali”. La porta degli dèi non possono varcarla gli uomini, ma fa parte del “cammino degli immortali”. Possono cioè varcarla gli dèi e le anime “immortali”, cioè quelle che abbiano compiuto un definitivo percorso di purificazione, si siano liberate completamente dalla materialità e abbiano raggiunto la loro “completezza”.
Dallo studio della nostra necropoli, si evince chiaramente che la via normalmente percorsa dagli Etruschi per accompagnare il defunto (ma anche per motivi rituali in vari momenti dell’anno) era quella con orientamento verso il tramonto del solstizio estivo, quindi verso la “Porta del Cancro” (o “Porta degli uomini”). Tutto ciò sta a significare che al tramonto della vita si accompagnava il defunto nella via che lo avrebbe condotto alla Porta del Cancro per tornare alla Via Lattea, in vista di una futura reincarnazione. Dovevano essere rari, infatti, i casi in cui l’anima del defunto non aveva più bisogno di reincarnarsi e avrebbe quindi utilizzato la “Porta del Capricorno”.
È curioso come questa “ideologia funeraria” sia così marcata in quanto essi accompagnavano il defunto, già dalla città e poi all’interno della necropoli, sempre seguendo rigorosamente la stessa direzione, quella del tramonto del sole al solstizio d’estate.
L’archeologia post-processuale si sta occupando molto di ideologia funeraria degli Etruschi, logicamente con il concorso di altre discipline, in particolare dell’antropologia: partendo dalla lettura dei fenomeni legati al rituale funerario, mediante un attento studio dei contesti tombali, dell’architettura funeraria, dei reperti ceramici, dei corredi e quant’altro, si cerca di ricostruire l’ideologia funeraria delle civiltà che hanno lasciato tracce della loro presenza. Secondo Valentino Nizzo, infatti, l’archeologia e l’antropologia hanno condotto negli anni a individuare un approccio di tipo semiotico nell’analisi delle problematiche interpretative legate alla morte. Egli afferma: “All’evento morte in sé si è andata in tal modo progressivamente affiancando una maggiore sensibilità per le problematiche storiche e antropologiche connesse alla comprensione dell’idea della morte in una data società e, di pari passo, alla definizione nel tempo della sua evoluzione concettuale e delle ramificazioni che essa può avere nella sfera del sacro e del religioso”[vii]. Perciò, Nizzo auspica una feconda collaborazione tra queste due discipline in vista di un necessario ampliamento di prospettiva su questa tematica così complessa: “È ferma convinzione di chi scrive che solo da un proficuo confronto fra le principali acquisizioni teoriche delle due branche citate [archeologia e antropologia] possa scaturire una riflessione metodologica in grado di suggerirci gli strumenti più adeguati per misurare l’incommensurabile e tentare di penetrare le soglie ambigue della rappresentazione funeraria, nelle sue dinamiche storiche, psicologiche, simboliche, sociologiche e, più in generale, ideologiche”[ix].
Addirittura Henri Duday, citando Louis Vincent Thomas[x], invoca il concorso di tutti i saperi filosofici, teologici e soprattutto scientifici, per affrontare bene la tematica di cui stiamo parlando. Non solo occorre prendere in considerazione i temi della morte e del “morire” con tutte le dinamiche connesse, ma anche del “dopo morte”: «L’aprèsmort, c’est-à-dire: les techniques de gestion du cadavre (inhumation, crémation, manducation partielle, abandon rituel); les rites funéraires avec leur cortège de symboles; les actes de commémoration; les pratiques du deuil; enfin, l’eschatologie: mort définitive, résurrection, réincarnation, ancestralité»[xi].
[vii] R. GUÉNON, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 1975-1997, pp. 203-204.
[vii] V. NIZZO, Archeologia a antropologia della morte: storia di un’idea. La semiologia e l’ideologia funeraria delle società di livello protostorico nella riflessione teorica tra antropologia e archeologia, Edipuglia, Bari, 2015, p. 14.
[ix] V. NIZZO, Op. cit., p. 27.
[x] L.-V. THOMAS, La Mort, Paris, 1988.
[xi] H. DUDAY, L’Archéothanatologie, un moyen possible d’accéderà l’idéologie funéraire, in M. ARIZZA (a cura di), Società e pratiche funerarie a Veio. Dalle origini alla conquista romana, Atti della giornata di studi, Roma, 7 giugno 2018, Sapienza Università Editrice, Roma, 2019, p. 179.
Tomba dei Rilievi, Necropoli della Banditaccia, Cerveteri (da Wikipedia). L’interno della tomba è concepito come l’interno di una abitazione
E, giustamente nel “dopo-morte” oltre ai riti funerari con tutta la simbologia connessa agli atti di commemorazione, è compresa l’escatologia, cioè tutto il pensiero teologico sull’aldilà, del popolo che onora il defunto.
Nel portare avanti lo studio della necropoli ho indagato senza riferirmi a reperti ceramici né corredi funerari, perché nel territorio in oggetto non sono mai stati fatti scavi sistematici. Inoltre abbiamo documentazione di ripetuti scavi abusivi nella zona, soprattutto tra fine ‘800 e inizi ‘900[xii], per cui quello che è emerso si è disperso in vari modi, non ultimo il commercio clandestino. In definitiva, lo smantellamento e il depredamento delle sepolture tra Sette-Ottocento e Novecento hanno privato questo territorio di tali reperti; inoltre l’abbandono delle campagne dagli anni ’50 del Novecento, il conseguente frazionamento dei terreni con la costruzione di capanne agricole, ma soprattutto le pesanti attività agricole mediante l’uso dei trattori e dei nuovi mezzi meccanici invasivi, hanno cancellato quelle poche tracce archeologiche che potevano restare.
Per questi motivi mi sono accostato a questo sito con il dovuto rispetto svolgendo indagini di superficie, senza toccare nulla di materiale, ma solo osservando e fotografando. Ho invece svolto indagini archeoastronomiche e antropologiche, direi approfondite, che mi hanno fatto guardare agli Etruschi con ampia prospettiva, cercando di cogliere la loro spiritualità e il senso che essi danno alla vita.
Voglio fare un esempio di come ho lavorato. Gli archeologi si accostano alle necropoli con i parametri dell’uomo di oggi e, ad esempio, in genere essi dicono che gli Etruschi costruiscono le tombe e vi portano oggetti della loro quotidianità perché nelle tombe essi tendono a riprodurre la casa. Dunque, i nostri studiosi attribuiscono agli Etruschi il pensiero che il morto sopravviva con modalità di vita simili a quelle della vita mortale e che perciò abbia bisogno di una dimora con oggetti di uso quotidiano come nella precedente esistenza. Lo studio attento della necropoli situata nella Valle delle Piagge mi ha dato tuttavia ben altri insegnamenti sugli Etruschi. La via orientata al tramonto del solstizio d’estate riferisce in maniera esplicita che il loro pensiero è rivolto là, dove si compie il grande mistero del passaggio dalla dimensione terrena alla dimensione ultraterrena, attraverso l’unica possibilità di comunicazione tra le due dimensioni e cioè il solstizio estivo, punto di incrocio tra la Via Lattea e l’eclittica del Sole, come abbiamo spiegato. Punto che nel loro pensiero diviene un “portale energetico” attraverso cui l’anima separata dal corpo (ormai disgregato), può passare dalla dimensione terrena alla dimensione ultraterrena a cui essa è destinata.
Ciò risponde ad un concetto della vita e della morte di fondamentale importanza per il mondo orientale in genere e quindi anche per il popolo etrusco. Il “breve” arco della vita terrena non è altro che una delle tante incarnazioni dell’anima, che servono per fare un’esperienza, per purificarsi ed elevarsi. Le anime provengono dalla Via Lattea, la nostra galassia, che è, in realtà, una grande spirale con alto potenziale energetico, secondo i popoli antichi, sede della Vita e paragonata ad un grande grembo materno, ad una Grande Madre cosmica. È dalla Via Lattea, come da una Grande Madre, che proviene la Vita, in tutte le sue forme. Dunque, le anime, come abbiamo detto, provengono dalla Via Lattea, attraversano il “portale” del Cancro (solstizio d’estate) e raggiungono la dimensione terrena dove si incarnano prendendo un corpo umano e vivendo per un certo periodo sulla terra. Con la morte fisica, al termine della vita terrena, il corpo si disgrega, l’anima a poco a poco, liberandosi dal corpo, resta in attesa di tornare alla Via Lattea da dove proveniva. Per compiere questa fase occorre un tempo lungo, che non possiamo conoscere; potrebbe trattarsi di pochi mesi come di alcuni anni, di molti anni, o addirittura di qualche secolo, a seconda del grado di purificazione raggiunto. Inoltre, per varcare quella porta solstiziale, bisogna aspettare, appunto, un solstizio d’estate, se l’anima non ha completato la sua purificazione, o un solstizio d’inverno, se l’anima ha raggiunto la sua necessaria elevazione e non ha più bisogno di incarnarsi.
In ogni caso, come viene gestito questo tempo di attesa? Ecco, quindi che si spiega la funzione della necropoli. La necropoli, in cui sono presenti tante tombe atte ad accogliere altrettanti resti di defunti (siano essi inumati o cremati), rappresenterebbe, secondo la visione presentata, una sorta di “limbo” in cui il defunto sosterebbe in maniera provvisoria, in attesa che l’anima possa lasciare il corpo serenamente, senza i traumi e con i tempi necessari. In questo senso potrebbero avere ragione gli archeologi, i quali, come poc’anzi dicevo, ipotizzano che gli Etruschi tendano a riprodurre la casa nella tomba, con gli abituali oggetti della quotidianità. Possiamo essere d’accordo, ma dobbiamo pensare che gli Etruschi facevano tutto questo, non per preparare il defunto ad una situazione definitiva (non avrebbe senso tra l’altro una vita nell’oltretomba simile alla nostra), ma con la consapevolezza di aiutare il defunto in questo tempo provvisorio di attesa. In definitiva, la tomba che riproduce la casa è per far sentire a proprio agio il defunto fino a che si compia questo distacco e si giunga al momento della dipartita della sua anima per il viaggio ultraterreno.
[xii] Cfr. G. NOCENTINI, Una vasta necropoli… cit., pp. 46-48; F. DALL’ARA, Popolo di Cincelli. Per una storia del territorio di Cincelli e Ponte a Buriano, Arezzo, 2020, pp. 89-92.
Autore: Giovanni Nocentini
Complimenti
Grazie per la condivisione
Le siamo grati per aver apprezzato il lavoro del dott. Nocentini e per aver lasciato un commento.
La redazione di Progetto Montecristo