Tavola-disegno-5-copia-8@8x-100-scaled
Tavola-disegno-5-copia-8@8x-100-scaled
previous arrow
next arrow

Tavola-disegno-5-copia-8@8x-100-scaled
Tavola-disegno-5-copia-8@8x-100-scaled
previous arrow
next arrow

Tavola-disegno-5-copia-8@8x-100-scaled
Tavola-disegno-5-copia-8@8x-100-scaled
previous arrow
next arrow

Memorie dall’epoca del grande disordine – L’agenda”

da | 22 Lug, 25 | Letteratura |

L’agenda

Esistevano le agende ed era come se non me ne fossi mai accorto. La mia era rilegata in pelle, custodita in un astuccio di cuoio, dalle pagine bordate di rosso e profumate di tipografia, pur essendo un saldo di fine aprile. Sulla copertina color testa di moro spiccava in caratteri dorati l’anno in corso, 1977, poi ripetuto in grassetto rosso sul frontespizio. Sotto la cifra dell’anno, mi si chiedeva in quattro lingue di trascrivere il mio nome, il mio indirizzo, il codice fiscale, la partita Iva, il numero della carta d’identità, del passaporto, della patente, del bancomat, della targa dell’automobile, e del gruppo sanguigno.

Io compilai accuratamente l’intera scheda, compiacendomi di fare il punto almeno sulla mia identità civile. Quante volte ne avevo smarrito la testimonianza più importante, la vecchia e consunta tessera d’identità, poi ritrovata logora e stropicciata nel fondo di qualche vecchia tasca di pantaloni passati in lavatrice. E quella mattina che mi avevano convocato all’unità sanitaria per richiedere il codice fiscale, non ricordavo più le ultime due cifre e avevo scomodato mia madre in interurbana per chiederle di frugare in qualche cassetto del vecchio studio e cercarvi un pezzo di Scottex su cui anni prima l’avevo trascritto.

Bisognava partire dalle generalità più elementari per ricostruire un mondo ordinato intorno a me e conoscere almeno dove avrei potuto d’ora in poi ritrovare il numero della patente, se l’avessi perduta la terza volta, e quanti bollini mancassero al mio passaporto. Soltanto il gruppo sanguigno restava per me un mistero d’infanzia, mentre il bancomat era un lusso che mi sarei potuto concedere esclusivamente se il mio conto avesse ospitato più delle solite centottantamilalire medie annue.

Le pagine successive presentavano il dettagliato calendario dell’anno 1977, con tutte le festività segnate in rosso, i nomi dei santi per ciascun giorno e le lune piene, vuote, calanti, ridotte a spicchi. Quindi appariva l’elenco delle distanze nazionali e internazionali fra le città, i prefissi telefonici italiani, europei, mondiali, e finalmente la prima vera pagina vuota dell’agenda, con la cifra 01 del mese di gennaio ripetuto anche in arabo e giapponese e il nome di Santa Maria in fondo.

Tutte le pagine dei primi tre mesi dell’anno sarebbero rimaste bianche, perchè quella che mi importava figurava sotto la cifra del 29 aprile 1977, giorno successivo al grigio anniversario della mia nascita. Mi presi la testa fra le mani, seduto davanti al traballante tavolino da spiaggia che usavo in cucina. Avevo sotto i miei occhi lo spazio bianco del 29 aprile e, a cinque centimetri dall’agenda. l’ultima fetta di torta al pan di spagna del mio compleanno, sulla quale la sera prima avevo piantato un mozzicone di cera fumigante. L’unica telefonata che aveva interrotto la mia festa solitaria, e la mia cena davanti alla televisione, era stata quella degli auguri di mia madre.

Adesso erano le quattro del pomeriggio. Nello specchio appeso al muro le mie tempie brillavano di piccole gocce di sudore. Una lunga striscia di sole filtrava dai vetri senza tendine della finestra, velati dalla patina di unto prodotta dal vapore di mille pasti consumati nella solitudine della cucina. Sopra la finestra, dal cassone dell’avvolgibile, pendeva una ragnatela triangolare come una vela rovesciata, i cui estremi fili andavano a perdersi nel pulviscolo solare. Dalla canna del lavello, l’eterno filo d’acqua ticchettava sul marmo, scandendo secondi più lenti di quelli che scattavano nel quadrante della radiosveglia.

Avevo l’agenda aperta spalancata davanti a me e non sapevo davvero da dove cominciare. Sapevo solo che era il 29 aprile e che faceva caldo, un caldo insolito per questa primavera da poco iniziata. La sirena di un’ambulanza fischiava sul sottofondo continuo del traffico. Porte sbattevano dalle scale del condominio, citofoni ronzavano e telefoni squillavano da qualche parte. Sotto la finestra si incrociavano scalpiccii dal ritmo disuguale, voci diluite nella calura dell’aria, un rotolare di tricicli e qualche pianto di bambino.

Continuai a guardarmi intorno per vedere o ricordare che cosa ci fosse da fare e da annotare sotto la data del 29 aprile. Il mio sguardo scivolò sui quattro fornelli carbonizzati del cucinotto portatile che una volta ricordavo lucente di smalto bianco; poi sulla fila di bottiglie vuote allineate in cima all’armadio, insieme ai libri dell’università vestiti dalla polvere caduta dal soffitto. Sul pavimento, due volumi mai letti, ‘Il nome della rosa’ e ‘Orcinus Orca’, rimpiazzavano il piede sinistro dell’armadio, saltato durante un trasloco. E poi lo sguardo cadde sulla cuccia di Teddy, il mio barboncino morto la primavera scorsa, che continuavo a tenere lì, incastrata tra frigo e parete, e utilizzavo da un anno come pattumiera, infilandovi attraverso la porticina i sacchetti dell’immondizia.

La mia attenzione fu alla fine attratta dal lampeggiare dell’ora sul quadrante della radiosveglia, forse per un’interruzione di corrente di cui non mi ero accorto. Ecco, mi dissi allora, la prima cosa da fare è regolare l’orario della radiosveglia, perchè è il solo orologio di cui disponga in casa e non si può vivere, non si può programmare nulla, se non si conosce precisamente l’ora attuale. E proprio mentre scrivevo sulla prima riga della pagina “Numero uno: regolare la radiosveglia sull’orario della Sip”, nell’alone del mio sguardo guizzò fulminea una macchia nera. Riconobbi, fermo presso la mattonella più sconnessa del pavimento, il solito scarafaggio. Trascinava sul dorso nero una pallottolina di maionese, cibo di cui sapevo andare matto, e che trovava in abbondanza ogni qualvolta calpestavo inavvertitamente il tubetto caduto dalla porta difettosa del frigo. Ora teneva stretto fra zampine e mascelle una mollica del mio pan di spagna e vibrava tutto dal piacere di poter mescolare due prelibatezze così assortite.

“Numero due, scrissi sul secondo rigo, andare a comprare lo spray contro gli scarafaggi e spargerlo sotto tutti i mobili della cucina- entro domani mattina.”

Intanto, però, la voglia di trasformare lo scarafaggio in una silhouette di coleottero sul pavimento, con una semplice ciabattata, solleticava il mio istinto di pulizia e di vendetta. Spostai silenziosamente la seggiola di vimini, vecchia occasione d’antiquariato, dove trascorrevo la gran parte delle mie ore di studio, e mi apprestai a sfilarmi la ciabatta dal piede. Il colpo, secco e fragoroso, fece saltare una forchetta finita chi sa come sul pavimento, ma sfiorò appena lo scarafaggio, che fuggì sotto il mucchio di buste e depliant pubblicitari rovesciatisi dal cestello sbilenco della posta. Fissai disgustato la riga di maionese che svelava il percorso della blatta e il suo momentaneo rifugio, un plico dell’Euronova, e rinviai un istante la vendetta per trascrivere al punto 3 della mia agenda “Rimettere il chiodo al cestello della posta- entro stasera”. Ma quando mi riavvicinai al mucchio delle carte, notai che la pista della maionese si era allungata di un altro tratto e faceva ora capo a una bolletta della Sip a forma di capanna, dalla scadenza ben visibile, 30 aprile 1977.

“Numero quattro”, andai ad aggiungere sulla mia agenda, pagare agli uffici postali la bolletta Sip, entro domani mattina.”

Ecco, pensavo, come le cose vengono da sè. Un impegno si succede all’altro, una scadenza segue un’altra, a catena, ed anche un ripugnante scarafaggio impastato di maionese mi può indicare la via dell’ordine e della corretta amministrazione dei miei affari. Basta annotare tutto, in maniera puntuale e precisa, con pazienza, tanta pazienza, e senza fretta, per non lasciarsi sorprendere. Se avessi appuntato su un pezzo di carta, quel torrido pomeriggio a Serifoss, “controllare la suoneria della radiosveglia prima della pennichella”, probabilmente ora la piccola Rosy sarebbe con me qui, a Milano, a parlarmi d’amore nell’inglese di Oxford.

Ma il nasino di Rosy, obiettò una voce dentro di me, non avrebbe mai tollerato quel tanfo di groviera inacidita che proveniva dal mio frigo difettoso, mescolato alle esalazioni di tutti i formaggi che stipavano da mesi, mai avvolti nella carta, il vassoio di vetro. Perchè se avessi vuotato sul tavolo il vassoio dell’intero suo putridume, vi avrei trovato le scorze secche di grana e pecorino mescolate alle carte ancora unte di gorgonzola, crescenza e robiola, insieme agli ultimi cubi duri come sassi di provola e caciocavallo, a striscioline di emmenthal e asiago velate di muffa, il tutto appiccicato a un sottobosco di mozzarelle filamentose e sottilette sfatte come colla.

E mentre lo scarafaggio fuggiva nel buco sottostante il termosifone, inutilmente tamponato da quotidiani appallottolati, io trascrissi il quinto importante ordine, concernente “il controllo e la catalogazione di tutti i formaggi freschi e non freschi, con segnalazione delle relative scadenze”. Questo proposito, così dettagliatamente fissato, mi permetteva di prendere un po’ fiato e posare momentaneamente la penna. Ma lo specchio appeso alla parete, di fronte a me, e che io tenevo in cucina per farmi la barba masticando la colazione, per guadagnare tempo, mi suggeriva un nuovo impegno, essendo attraversato da una brutta fenditura vecchia di anni, a a cui mai prima d’ora avevo dato importanza. Invece anche le piccole cose dovevano avere il loro diritto di presenza sulla mia agenda, compreso quel maccherone crudo che ora scricchiolava sotto la mia scarpa, a causa dell’antico vizio di non centrare mai pienamente l’apertura della pentola in ebollizione quando gettavo la pasta.

“Numero sei, sostituire il vetro dello specchio entro domani sera. Numero sette, rimuovere tutti i frammenti di pasta caduta dal pavimento, entro oggi…” Ma non si trattava solo di pasta, cioè di fili di spaghetti finiti sotto la cuccia di Teddy o di penne, tortellini, bucatini, fusilli e trenette mai raggiunti dalla scopa sotto l’armadio. Occorreva catalogare e ripulire dai bordi del pavimento, nei pressi dello zoccolo di legno semischiodato, ogni tipo di reperto gastronomico, di carattere vegetale o animale, che la mia distrazione aveva lasciato marcire da più stagioni. Così sulla pagina del 27 aprile del 1977 ebbero diritto di asilo, grazie alla mia nuova pignoleria che mi infiammava di orgoglio, il torso di carciofo lesso ritrovato sotto il frigo, la piccola carota nera caduta presso la cuccia da qualche sacchetto, una poltiglia leguminosa fatta di lenticchie cotte e qualche fagiolo sfarinatosi in un angolo dietro il lavello, uno stinco di pollo non del tutto ripulito accanto al piede dell’armadio, e infine un cucchiaino ancora giallo di maionese nascosto dietro l’asse dello zoccolo schiodato, accanto a un vecchio spazzolino a setole speciali che non trovavo più da un paio d’anni.

Pensando al frigorifero, e alla porta difettosa che costituiva il nono o decimo degli impegni da fissare, ricordai che, a parte l’ecatombe dei formaggi e una lattuga satura di terra, avevo frigo e dispensa più vuote delle celle di un obitorio, e dovevo affrettarmi a comprare qualcosa prima della chiusura dei negozi, ormai imminente. Decisi di portare l’agenda con me, per tenerla sempre d’occhio anche nel caso mi spuntasse qualche nuova idea, e la gettai nel portabagagli della macchina. Per strada fu proprio al portabagagli che pensai e al suo babelico aspetto di ricettacolo di tutto quanto da anni non usavo più, libri fradici di umidità, manici d’ombrelli, penne biro storte dal calore, radioline sfasciate e senza pile, calzettoni spaiati, scarpe da montagna, mele risecchite.

Davanti alle saracinesche semiabbassate del supermarket che stava per chiudere, mi riservai di scrivere appena possibile, al rigo 12 dell’agenda: “Ripulire quella discarica fetente del portabagagli, entro… Appena puoi.”

Autore: Roberto Caracci

Autore

Condividi questo articolo

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

3 × due =

Categorie

Archivi

💬 Ciao come possiamo aiutarti?