In occasione della prossima pubblicazione del libro intitolato «La cosmogonia orfica: il filo rosso che passando attraverso il neoplatonismo, collega Pitagora con la psicologia archetipica.», anticipiamo su Progetto Montecristo, la metodologia da noi adottata per l’allegoresi [1] dei testi orfici.
In questa terza parte proseguiamo con la presentazione della metodologia adottata in particolare soffermandoci su due punti chiave, ovvero sveleremo il ruolo importante che svolge l’analisi etimologica fatta in un determinato modo e la ritraduzione dei testi antichi.
Avremo modi di presentare l’analisi che ci ha permesso di arricchire da un punto di vista “psicoarchetipico” la rilettura dei miti, che consiste nell’analizzare le piante e le erbe che vengono citate all’interno dei racconti mitologici.
3.4 Analisi etimologica dei nomi dei protagonisti dei racconti
«L’etimologia è la psicologia del linguaggio, il modo di penetrare l’anima delle parole. Una mente etimologica trae infiniti godimenti dalle parole, i quali sono ignorati da coloro che non considerano le parole se non come suoni convenzionali; così come una mente psicologica trae infiniti godimenti dalla frequentazione degli uomini, i quali sono ignorati da coloro che considerano l’uomo se non come una forma parlante e semovente.»
Alberto Savinio: il Mito Rivisitato – Marco Gregori
In base alle analisi da noi effettuate, abbiamo potuto verificare in prima persona, che anche per i nomi degli dei e dei personaggi che popolano le avventure epiche, valesse il detto latino «nomen omen».
In altre parole, se pensiamo ai nomi propri come Zeus, Ares, Afrodite ma anche per esempio ad Orfeo, Euridice, Eracle o Tifone, a noi cittadini del XXI secolo, non sono più in grado di restituire alcun significato, né di evocare emozioni di alcun tipo.
Quello che invece che ci permette di comprendere allusioni al mondo della psiche che si sono rilevati essenziali nel corso dei nostri studi e che probabilmente facevano parte integrante nella comprensione di quei messaggi che arrivavano in maniera inconscia all’ascoltatore dell’antica Grecia, è stato possibile grazie anche all’analisi etimologica.
Le allusioni presenti nei racconti antichi, oggi sono andate completamente perdute a causa della trasposizione nelle lingue moderne, lingue, che aggiungiamo noi, tendono ad evitare il più possibile equivoci e fraintendimenti, doppi sensi e richiami ad ambiti che non sono strettamente connessi all’oggetto di discussione.
L’analisi etimologica pertanto, costituisce lo strumento chiave che permette di rievocare, se possibile come allora, quelle immagini che a loro volta diventano un indispensabile indizio per risalire agli archetipi incarnati dai protagonisti delle storie classiche.
Dobbiamo però precisare, che il nostro approccio ed orientamento di base, è diverso da quello del filologo di scuola semiotica che vede nei nomi dei “mithoi” dei segni.
Noi invece, guidati dall’etimologia, similmente a come ce la descrive Platone nel Cratilo e sospinti dall’esplicito intento di andare oltre il significato letterale, ci accostiamo ai nomi, ai sostantivi ed ai verbi che incontriamo, praticando l’associazione libera di idee, la ricerca di eventuali assonanze che intercorrono tra diversi termini o la loro eventuale relazione omofonica.[2]

Anatole Bailly (1833-1911) grecista francese autore del Dictionnaire grec-français che per ogni lemma presenta il suo significato etimologico
Un indizio concreto su come intraprendere il nostro lavoro, ci viene da Hillman in persona.
«Il lavoro con l’immagine richiede familiarità con i miti e con i simboli, come anche una cultura estetica in generale per valutare l’universalità delle immagini; e richiede inoltre una serie di ‛mosse tattiche’ (v. Hillman e Berry, 1977), spesso di natura linguistica (v. Sardello e altri, Ensouling language, 1978; v. Severson, 1979; v. Kugler, The alchemy…, 1979) ed etimologica (v. Lockart, 1978; v. Kugelman, 1980), come anche sperimentazioni grammaticali e sintattiche (v. Ritsema, 1976; v. Hillman, Further notes…, 1978). Berry (v., 1974) ha descritto altre mosse tattiche che riguardano l’emozione, il contesto, le ripetizioni, i rovesciamenti e le ‛rienunciazioni’ (restatements)»
Tratto dalla voce “psicologia archetipica” scritta da J. Hillman per Treccani.
https://www.treccani.it/enciclopedia/psicologia-archetipica_(Enciclopedia-del-Novecento)/
Pertanto si tratta di un’arte interpretativa che mira al recupero del significato allegorico che è andato perduto col tempo, facendo ricorso a strumenti di vario tipo.
[1] Per allegoresi si intende «un’esegesi di miti (o oggetti) considerati sacri o notevoli, idonei ad essere condotta in maniera sistematica ad una interpretazione razionale».
Per ulteriori approfondimenti invitiamo il lettore a leggere quella che probabilmente è l’analisi più approfondita ed esaustiva riguardo a queste tematiche che viene affrontata dal prof. Roberto Radice all’interno del libro intitolato «I nomi che parlano – L’allegoria filosofica dalle origini al II secolo d.c.» – Morcelliana 2020. Ricordiamo inoltre, che il termine allegoresi è un neologismo coniato dal Radice che sta per «esegesi di miti (o oggetti) considerati sacri o notevoli, idonei ad essere condotta in maniera sistematica ad una interpretazione razionale» – cit. p.10
[2] Per omofonia l’enciclopedia Treccani on-line riporta: «Caratteristica di: a) segni grafici (lettere, gruppi di lettere, ideogrammi) diversi che rappresentano lo stesso suono: per es., in ital. il c- di cuore e il q- di quota; b) parole che, pur avendo significato ed etimo diversi, sono uguali come suono (omonime, quindi, in senso stretto), abbiano o no grafia diversa: per es., le parole fiera «belva» e fiera «mercato», in lingua francese cent «cento» e sang «sangue»; c) gruppi di parole, o frasi intere, che pur avendo diversa composizione sono uguali come suono: per es., «la morale» e «l’amorale».
3.5 Presenza di erbe e piante nei racconti
Partendo dalla convinzione, suffragata che all’interno dei racconti della mitologia dell’antica Grecia “nulla è casuale e tutto è allegorico”, abbiamo sovente notato la menzione di piante.
Presenza confermata anche all’interno di rappresentazioni artistiche e nei manufatti artigianali dell’antichità.
Ci stiamo riferendo in particolare ai cosiddetti Krateri, ovvero vasi per mescolare acqua e vino, che sono stati ritrovati ancora intatti od in buone condizioni negli scavi archeologici e che spesso contengono riferimenti a episodi mitologici.
Partendo dall’ipotesi che gli antichi si curassero con le erbe, peraltro confermata da diverse fonti, abbiamo scoperto che quando ci relazioniamo alla flora come se essa possedesse proprietà fitoterapiche, siamo stati in grado di arricchire la nostra ricerca sugli archetipi grazie agli ulteriori ed illuminati indizi ottenuti da essi
Infatti, secondo questa branca della farmacologia, all’interno degli organismi vegetali in genere, si troverebbero delle sostanze che possiedono la caratteristica di guarire alcune malattie, agendo più o meno direttamente, sugli organi malati.
Ora, secondo la teoria esposta nel libro “Malattia e destino-Il valore ed il messaggio della malattia” degli psicoanalisti junghiani Thorwald Dethlefsen e Rüdiger Dahlke, gli organi all’interno del nostro corpo rappresenterebbero da un punto di vista simbolico l’«espressione e la realizzazione della coscienza e quindi anche di tutti i processi ed i mutamenti che avvengono in essa [3]»
Dunque, al netto della nostra semplificazione, per questo motivo invitiamo alla lettura del testo citato in bibliografia, ogni malattia, non sarebbe altro che una sorta di spia che ci informa di un disagio, di un disequilibrio od un conflitto all’interno della nostra anima, (ψυχή – psychè in greco antico) e che si manifesterebbe sul piano materiale tramite un ben determinato organo del nostro corpo.
Di conseguenza, le piante o le erbe, non sarebbero altro, secondo questa chiave di lettura, dei simboli che rimandano ad organi specifici, i quali, a loro volta, fungerebbero da riferimento indiretto al mondo della psiche ed in particolare agli archetipi che vi agiscono.
[3] Passo estratto dal libro «Malattia e destino – Il valore ed il messaggio della malattia» vedere Bibliografia.
3.6 Consultazione dei testi originali
Un’altra peculiarità della nostra analisi, consiste nel risalire ai testi originali e dove questo non sia possibile, riferirci a traduzioni che siano il più possibile aderenti all’originale. Anche a costo di rivolgerci a testi in lingua inglese o tedesca, preferibilmente in prosa [4].
Infatti, quando si consultano e si confrontano vocabolari diversi, in bibliografia il lettore troverà i testi da cui abbiamo attinto; essi presentano un ventaglio di significati assai discordanti l’uno dall’altro.
Il motivo di ciò è giustificato dalla
natura polisemica del greco antico [5],
ovvero una lingua che all’univocità del significato attribuito al segno, predilige la sfumatura, l’allusione, il sottinteso, il riferimento a qualcos’altro, apportando inevitabilmente ambiguità nell’attribuzione di significato e che finisce per porre seri dilemmi e disorientamento ai linguisti ed a coloro che devono tradurre i passi scritti in greco antico.
In base alle analisi da noi effettuate e tenuto conto della polisemia che caratterizza la lingua di Omero, siamo giunti alla conclusione che, all’interno delle storie che raccontano di dei ormai scomparsi,
il lemma faccia le veci del simbolo.
In tal modo è come se «con parecchi secoli di anticipo il lettore avesse a disposizione un ipertesto dotato di più livelli di significanza e di una chiave di accesso.» [6]
Ecco perché la trasposizione nelle lingue moderne è sempre problematica e risente dell’obiettivo che ha in mente il traduttore.
Infatti, quando quest’ultimo si trova davanti a un testo che contiene, per esempio, dei riferimenti al mondo della filosofia, egli, all’interno della moltitudine di significati rinvenuti, ne sceglie uno solo, tra quelli il cui significato ricade all’interno del suo ambito di studio.
Noi opereremo in maniera diversa, perché diverso è il nostro contesto. Ma ci sono altri due fattori che non vanno trascurati, anche quando ci si sforza di comprenderne il contenuto, si pone la questione sul simbolo in sé.
Per esempio, ci riferiamo a coloro che nel periodo neoclassico della seconda metà del ‘700 che, a seguito della scoperta di nuovi siti archeologici, presero posizioni antitetiche riguardo il modo di guardare ai popoli antichi ed alle loro tradizioni.
[4] Argomenteremo più approfonditamente il motivo al capitolo 2.2
La traduzione con idea, in particolare, sarebbe una forzatura avvenuta in tempi più recenti che rischia, senza le dovute cautele e le adeguate premesse, di fuorviare dal significato inteso da Platone e dai neoplatonici.
[5] A tal proposito invitiamo a chi fosse interessato a approfondire il tema, a leggere il saggio intitolato «La lingua greca e il ruolo dell’Antico nell’opera di Carlo Michelstaedter» di Alessandto Miorelli e Federico Premi (op. cit. in bibliografia)
[6] Passo estratto dal libro intitolato: «I nomi che parlano – L’allegoria filosofica dalle origini al II secolo d.C:» – Roberto Radice Morcelliana 2020

Friedrich Creuzer filologo e archeologo tedesco.
Pensiamo in particolare a Friedrich Creuzer (1771-1858) ed al già citato “Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders der Griechen”, il quale trova più interessante focalizzare la sua attenzione di studioso sui simboli, in quanto, secondo lui, portatori di messaggi religiosi, piuttosto che sul mito in sé.
All’opposto troviamo, il quasi coetaneo filosofo tedesco Schelling (1775-1854), che essendo più vicino alle istanze romantiche e ritenendo che il mito contenesse unicamente messaggi religiosi, respingeva in toto la lettura simbolica proposta dal Creuzer.
Schelling, sosteneva infatti che i racconti invece, andassero presi testualmente così come sono, tanto da creare una massima da lui stesso coniata che diceva:
«ogni cosa significa esattamente ciò che dice, né bisogna immaginarsi che voglia dire e significare qualcosa di diverso da ciò che dice. La mitologia non è allegorica, ma tautegorica [7]». p118
Friedrich W. J. Schelling, Filosofia della mitologia. Introduzione storico- critica. Lezioni (1842), cit., pp. 309-310.
«[Sulle divinità di Samotracia.], il filosofo definirà la mitologia come tautegorica. «Dal punto di vista della mitologia, gli dei sono esseri [Wesen] realmente esistenti, non sono qualcosa di diverso, né significano [bedeuten] qualcosa di diverso, bensì significano solo ed esclusivamente ciò che essi sono»
Friedrich Schelling Sämtliche Werke, in 14 voll., Stuttgart-Augsburg, Cotta, 1856-1861. , II/1, p. 196
tratto da https://books.openedition.org/res/1126?lang=it#notes
La differenza tra i due studiosi tedeschi risiede principalmente nel significato da attribuire al simbolo.
Dove il primo ci vede in esso un’allusione a qualcos’altro, il secondo ritiene che esso sia unicamente un riferimento alle divinità di una religione politeista.
Fatte queste premesse, l’approccio da noi usato per la rilettura dei miti, fa sue le istanze di Creuzer [8] ed in particolare la posizione assunta da Jung.
«attraverso i miei studi dal 1910 al 1912 avevo acquisito una certa penetrazione della psicologia dell’antichità classica: i due modi principali per acquisire una conoscenza dell’inconscio collettivo sono rispettivamente lo studio dei casi clinici individuali e lo studio dei miti, cioè la psiche personale e la psiche come anima del mondo i cui modelli sono rappresentati nei miti (il platonismo non ha mal fatto una netta distinzione tra la vostra e la mia anima personale e l’anima in generale, proprio come la psicologia archetipica non può fare una distinzione netta tra inconscio personale e collettivo, dal momento che dentro ogni complesso della psiche personale c’è una potenza archetipica). In questo senso mitologia o psicologia e l’analisi del mito a la Creuzer è veramente un’analisi delle forme archetipiche del comportamento psicologico.
Carl Jung – tratto da Gerhard Adler – Aspetti della personalità e dell’opera di Jung, 197
Il secondo fattore che, in accordo con la nostra chiave di lettura, influenza e rende più complicato il lavoro di interpretazione “a là Creuzer”, si ha quando ci troviamo di fronte a poesie già trasposte in italiano.
Il traduttore, che si è trovato di fronte a una lingua morta, è stato costretto, oltre a far i conti con la polisemia del greco antico, a dover scegliere tra i significati possibili, quelli che in accordo con la metrica da lui adottata, gli permettano di rispettare sia la lunghezza dei versi, che lo schema ritmico.
Ecco spiegato il motivo perché oggi certe chiavi di lettura siano andate del tutto perse [9].
Infatti, le traduzioni in italiano più note, quelle che da un punto di vista poetico e letterario sono di tale livello da meritarsi il riconoscimento e l’ammirazione unanime, adottando una prospettiva “tautegorica” del mito, finiscono inevitabilmente per trascurare i riferimenti al mondo della psyché.
Similmente, nel caso della prosa, le traduzioni che abbiamo reperito, pensiamo a quelle provenienti dal mondo anglosassone che useremo spesso nei nostri studi [10], pur essendo lessicalmente ineccepibili, attribuiscono, alle varie parti del discorso [11] significati che rimandano prevalentemente al piano religioso o filosofico, trascurando la chiave di lettura che invece è stata fatta propria dagli studiosi rinascimentali, da Jung, da Hillman.
Per questo motivo, soprattutto di fronte a passaggi che riteniamo degni di approfondimento, ci rivolgiamo direttamente alle trascrizioni dei testi originali e procediamo a ritradurli parola per parola. [12]
Inoltre, siccome il nostro scopo è quello di evocare nel lettore immagini, auspicabilmente simili a quelle che venivano evocate nella mente degli antichi, allorquando essi ascoltavano determinate parole, invece di fornire al lettore un solo significato, menzioniamo i termini rinvenuti ad uno ad uno, limitandoci ovviamente, a quelli che fanno riferimento al mondo dei sentimenti e delle emozioni.
In questo modo, se da un lato è inevitabile smarrire il pathos che contraddistingue i versi epici, dall’altro, non solo siamo in grado di raggiungere una percezione più articolata del concetto sottostante e quindi del simbolo usato dall’autore, e, inoltre, riusciamo a “raffigurare” mentalmente in maniera più poliedrica, le innumerevoli sfumature che contraddistinguono il mondo dell’anima.
[7] Tautegorico è un neologismo creato dal filosofo tedesco Friedrich Schelling (1775 – 1854), il quale sosteneva, contrariamente dal Creuzer, che “I miti sono “tautegorici” non allegorici”. Mediante questo neologismo da lui coniato, intendeva dire che « [..] nelle figure mitologiche sussiste identità tra essere e significato; tali figure non sono cioè mere rappresentazioni» di qualcosa che si distingue da esse, ma sono realmente ciò che significano: «La mitologia non è allegorica, ma tautegorica. […] gli dèi […] significano solo ed esclusivamente ciò che essi sono». Definizione di Ingrid Marina Basso tratta dall’abstract https://publires.unicatt.it/it/publications/tautegoria-9
[8] Questa scelta non è stata fatta da noi intenzionalmente in base a criteri arbitrari ma risale alla scelta fatta a suo tempo da Carl Jung e da James Hillman, che sono i nostri studiosi di riferimento per quanto riguarda la rilettura dei miti in chiave psico-archetipica.
[9] La cosa è altrettanto vera anche per altre lingue, come l’inglese od il tedesco.
[10] La scelta di adoperare testi tradotti prevalentemente in inglese, ma anche in tedesco, è stata presa dopo un periodo di confronti eseguiti partendo dal medesimo testo originale, perché abbiamo notato che la traduzione anglosassone è solitamente meno “epica” ed “ampollosa” di quella che solitamente di reperisce in lingua italiana. Inizialmente, infatti, siamo interessati ad una comprensione letterale, perché il nostro scopo è quello di ottenere una visione di insieme. Solo in un secondo momento, ritraduciamo i passi oggetto di studio, in linea con la nostra visione.
[11] https://www.treccani.it/enciclopedia/parti-del-discorso_(Enciclopedia-dell’Italiano)/
[12] Come il lettore avrà modo di comprendere al Capitolo 7 – parte seconda, per compiere fino in fondo il nostro lavoro, abbiamo dovuto avvalerci anche dell’analisi grammaticale dei passi oggetto di studio.
Leggi:
Modello teorico a supporto della rilettura in trasparenza dei miti dell’antica dell’antica Grecia e dei testi orfici – parte 1
Modello teorico a supporto della rilettura in trasparenza dei miti dell’antica dell’antica Grecia e dei testi orfici – parte 2
Autore: Massimo Biecher
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