Oltre l’arte contemporanea?

da | 22 Feb, 24 | Arti |

Un’ipotesi di superamento nella pratica delle arti visive.

Ormai da decenni nel mondo dell’arte contemporanea si parla di crisi, di esaurimento delle possibilità dei linguaggi, di “morte dell’arte”. Dopo una ricerca cominciata nel 1987, con la pubblicazione del saggio Figura Solare (2011) [1] e il successivo La «Solarità» nella pittura (2015),[2] pongo l’ipotesi che ci troviamo sulla soglia di un passaggio epocale. La mia tesi suppone che alcuni artisti indipendenti del panorama internazionale (affermatisi negli anni Ottanta) hanno raggiunto una forma non più moderna dell’arte, a cui ho attribuito il nome di “solarità”, in cui si fondono in una sintesi originale le istanze di ricerca di una nuova integrità dell’uomo. Facciamo qui un breve sommario di questo percorso teorico alquanto complesso, rimandando ai due testi presentati, di differente livello di approfondimento.

L’arte anticipa i tempi, come sostengono i filosofi, ma un passaggio di tal genere comporta un radicale cambiamento di prospettiva, un modo diverso di cogliere l’espressione artistica al di là dei condizionamenti intellettuali che sono prevalsi nel Novecento.

Già dagli anni Novanta, il filosofo francese Jean Baudrillard a proposito dell’arte contemporanea affermava:

[…] si deve poter prendere coscienza che le cose sono arrivate a una sorta di punto finale, dove però la fine non significa che tutto sia finito. Quella che era la posta in gioco di questa modernità ha trovato la sua fine, che per lo più è alquanto mostruosa e aberrante, ma nella quale tutte le possibilità sono state esperite e consumate, o sono sul punto di esserlo.[3]


[1] N. Vitale, Figura Solare. Un rinnovamento radicale dell’arte, inizio di un’epoca dell’Essere. Pref. M. Mazzocut-Mis, Marietti 1820, Genova-Milano, 2011.
[2] N. Vitale, La “solarità” nella pittura. Da Hopper alle nuove generazioni. Pref. E. Franzini, Ed. Mimesis, Sesto S. Giovanni (MI), 2015.
[3] Le complot de l’art et Entrevues a propos du ‘Complot de l’art’, C. Francblin, J. Baudrillard, Sens & Tonka éditeurs, Paris 1997; trad. it. L. Frausin Guarino, Il complotto dell’arte e interviste sul complotto dell’arte, Pagine d’Arte, Milano 1999, p. 57.

L’arte, oggi, si trova in una situazione di avanzata decadenza, in bilico tra “la morte dell’arte”,[4] profetizzata da Hegel, come esaurimento delle sue possibilità, e il compito reintegrativo affidatogli dai filosofi esistenzialisti, come strumento di riavvicinamento all’essere.

Questo dilemma implica la stessa concezione dell’arte, tuttavia non è possibile chiedersi cos’è l’arte, perché il pensiero razionale non è in grado di uscire dal paradigma concettuale che l’ha posta in crisi.

Occorre dunque prendere la strada dell’analogia, osservando l’espressività artistica alla sua origine, presente tutt’ora delle culture tribali. Qui l’arte appare concepita quale pratica magico religiosa con la funzione di riavvicinamento al mistero primigenio della natura, in un’estasi attuata con l’unificazione ritmica tra gli elementi sensoriali della materia e quelli simbolici della rappresentazione.

La dualità tra pathos ritmico e rappresentazione, che caratterizza l’arte più originaria di tutti i tempi, è stata teorizzata alla fine dell’Ottocento.

Si torna dunque alla filosofia, ma con un carattere decostruttivo, che possa liberare l’arte dai condizionamenti intellettuali. Nietzsche, rifacendosi alla cultura greca, conia le categorie estetiche di apollineo e dionisiaco (il sogno e l’ebbrezza), [2] cogliendo nell’unificazione dei due principi l’essenza dell’arte, mentre nel loro confliggere vede invece la decadenza. Analizzando questi elementi, si chiarirà che l’apollineo è la manifestazione artistica delle facoltà umane di immaginazione e rappresentazione, il dionisiaco è invece la facoltà trascendente che muove dal corpo “danzante” uno stato cosmico contemplativo, espresso nell’arte visiva dai rapporti ritmici di forme e colori, in una coordinazione tra i particolari e il tutto. Le combinazioni di questi due aspetti permettono di cogliere lo sviluppo dell’arte nelle diverse culture ed epoche.


[4] Cfr. G.W.F. Hegel, Estetica, Einaudi, Torino 1967, 1997.
[5] F. Nietzsche, La nascita della Tragedia dallo spirito della musica, tr. it. S. Giametta, Adelphi, Milano 1972.

Per avere dunque una visione più completa occorre ripercorrere la storia dell’arte occidentale alla luce del binomio apollineo-dionisiaco, cogliendo le fasi in cui i due principi estetici configgono o si conciliano. Sin dalle origini si evidenzia come nelle varie epoche si riproducono le stesse dinamiche, per cui da una prima coltivazione dell’unità dei due principi, progressivamente si privilegia l’aspetto analitico della rappresentazione apollinea, come è successo nell’Ellenismo greco e nel Manierismo cinquecentesco, portando l’arte alla crisi. Scopriamo che la stessa decadenza dell’arte contemporanea è dovuta al medesimo processo, per cui da circa metà del Novecento la critica e gli stessi artisti si sono concentrati sull’analisi del linguaggio, tralasciando la forza dionisiaca dell’immagine, che trascende le rappresentazioni.

Ma la scissione tra apollineo e dionisiaco che caratterizza la crisi dell’arte di oggi è il riflesso della scissione della coscienza dell’uomo occidentale. Il compositore austriaco Arnold Schoenberg interpreta in chiave simbolica tale scissione nella sua opera Mosè e Aronne,[6] figure che non coincidono con quelle di Dioniso e Apollo, infatti non sono dei ma uomini. Mosè ha la facoltà di parlare con Dio ma non con gli uomini: rappresenta la sensibilità interiore, che perso il contatto con l’aspetto razionale, ma anche con quello espressivo, non riesce a comunicare il sentimento del divino, che rimane chiuso in sè stesso. Aronne viceversa rappresenta la fiducia ottimistica nella razionalità espressa dalla parola e dall’azione, che scissa dalla vitalità dionisiaca e dall’interiorità porterà all’errore e all’idolatria.

Tale scissione determina nell’arte dell’età moderna continue crisi, sin dal Manierismo cinquecentesco, per giungere con l’arte del secondo Novecento a precludere ogni possibile rinnovamento. Il principio dionisiaco, non più coltivato come elemento unificatore e trascendente, emerge come volontà distruttiva, portando alla violenta tragicità dei nostri tempi, in cui vige la provocazione fine a sè stessa.

L’impossibilità dell’arte attuale di proseguire nell’innovazione o di ritornare alla tradizione offre uno spunto di riflessione. Scopriamo che l’arte moderna alle sue origini da una parte è innovativa, con la ricerca di un’autonoma stilizzazione, dall’altra ritrova invece elementi delle più antiche tradizioni: orientale, africana, greca pre-ellenica e pre-classica, ecc. Emergono così due concezioni di tradizione: l’una coglie la temporalità dell’arte, l’altra l’eternità. La tradizione decade quando si passa alla sola temporalità colta nelle elaborazioni della rappresentazione (apollineo) con la raffigurazione esteriore del naturalismo o il moltiplicarsi delle stilizzazioni come vediamo nella decadenza dell’arte moderna. Viceversa l’eternità dell’arte, peculiare delle tradizioni sacre, è coltivata in origine grazie ai canoni arcaici nei quali sono privilegiati i rapporti ritmici. Gli artisti della prima modernità estrapolano dalle antiche tradizioni quelle tensioni, ritrovando il valore eterno delle immagini, liberato tuttavia dai precetti dogmatici delle varie culture, espresse dai modelli canonici. Saranno così uniti e trascesi i concetti di tradizione e innovazione.

Nel Novecento alcuni artisti hanno saputo unire nella loro opera tradizione e innovazione come descritto; tra questi Edward Hopper e Balthus hanno raggiunto una personale sintesi delle due tendenze, ma l’interpretazione univoca corrente ne ha frainteso l’opera. Cercando di superare il fraintendimento scopriamo, con l’aiuto di un testo critico del figlio di Balthus,[7] il sussistere nell’opera dei due artisti di valori espressivi inconsueti nella tradizione occidentale, per cui, attraverso un particolare uso delle forme, i contenuti paiono in contraddizione tra loro: desolata solitudine e vitalità interiore (in Hopper), perversa sensualità e purezza (in Balthus) dando luogo a un nuovo ed enigmatico senso espressivo in cui si conciliano gli opposti, e dove si cela una concezione radicalmente diversa dell’arte.


[6] CMoses und Aron, opera lirica di Arnold Schönberg, composta tra1930 ed il 1932, fu lasciata incompiuta, e rappresentata solo nel 1957 a Zurigo. Schönberg scrisse il testo in tre atti e un intermezzo, di cui musicò solo i primi due. Il soggetto è tratto dal II e IV libro della Bibbia (Esodo e i Numeri) inerenti le storie di Mosè.
[7] Cfr. S. Klossowski de Rola, Balthus. Dipinti, cit., pp. 5, 6.

Il mistero che avvolge l’opera di Hopper e Balthus è da riferirsi all’applicazione in pittura dell’antica Alchimia. Pratica sapienziale dalle origini ancestrali che accompagna sotterraneamente la cultura occidentale sin dalle origini, affiorando solo a tratti in alcuni aspetti della conoscenza e dell’arte. È il modo di raggiungere un senso esistenziale profondo nella congiunzione degli opposti. Tuttavia ciò è avvenuto nell’arte occidentale solo in modo parziale, dove prevale anziché l’effettiva realizzazione di tale unità, un simbolismo intellettuale. Hopper e Balthus riconquistano invece il processo alchemico dell’arte nel modo più autentico e concreto, si pongono come precursori di un senso espressivo ed esistenziale rinnovato a partire dalle origini più profonde. Anche Marcel Duchamp sembra utilizzare processi alchemici nelle sue elaborazioni, ma ciò avviene sul un piano immateriale del pensiero che porta alla dissoluzione dell’arte.

Questa via alchemica della pittura, intesa più che applicazione di specifiche regole come particolare istinto creativo nella congiunzione degli opposti, sembra rispondere a una nuova esigenza profonda dell’espressività contemporanea. La ritroviamo infatti tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80 del Novecento, quando alcuni artisti europei riprendono a dipingere in modo “tradizionale” avvicinandosi alla conoscenza diretta dalla pittura degli antichi maestri, tuttavia rinnovandone radicalmente i presupposti; sono Salvo, Jan Knap, Milan Kunc, Peter Angermann, Luigi Ontani, Helgi Fridjonsson, Lorenzo Bonechi, David Bowes. Successivamente si aggiungono nuove generazioni, ma anche artisti meno giovani ma con uno spirito di rinnovamento che li rende rilevanti da tale punto di vista, il più noto dei quali è David Hockney, instancabile ricercatore, che negli anni 2000 approda a una concezione dell’arte consonante con la solarità. Anche Nicolas Party, appartenente alle generazioni più recenti, conquista notorietà internazionale con un lavoro vicino ad artisti meno giovani: G. Truffa, G. Abate, E. Forese, Kazumasa (Mizokami), A. M. Bossi, A. Heimer, CM Lundberg, F. Mendini, A. Rementer, così come il mio impegno espressivo verte nella medesima direzione.

Questi artisti, valorizzando anche la lezione dell’astrattismo, enfatizzano le tensioni di forme e colori, impiegando però tali mezzi per la realizzazione di immagini figurative particolarmente vive, che sembrano attingere a temi e forme degli stereotipi popolari o illustrazioni per l’infanzia.

Si tratta di un capovolgimento di orizzonte in cui i contenuti “bassi” sono trasfigurati e sublimati dall’energia dionisiaca, riabilitandone in modo tutto particolare la spontanea vitalità, allontanata e rimossa dalla cultura alta intellettualizzata. Questi elementi riemergono spontaneamente nel mercato come gioco popolare di intrattenimento (vignette, pupazzetti, peluche, ecc.) che denota un bisogno profondo dell’uomo contemporaneo di una sorta di regressione terapeutica vitalizzante, proiettata in una particolare forma di immaginario. Ma nella rielaborazione di questi artisti giocano anche elementi drammatici e aberrazioni, il cui contenuto negativo è neutralizzato e reintegrato nel processo, insieme a conoscenze razionali filtrate in particolari strutture formali.

L’analisi dell’opera di questi artisti rivela un nuovo modo di concepire l’espressione estetica, che lascia intuire un modo di essere e di affrontare l’esistenza radicalmente rinnovato, dove è valorizzata l’unità della coscienza, in cui si fondono una gioiosa giocosità a torbidi contenuti e a sofisticate conoscenze proprie della nostra epoca, trascesi e trasfigurati nello splendore delle immagini. In tutto ciò possiamo intravedere un nuovo Mito? È forse il mito di Ermes, il briccone, il fanciullo divino, che sempre ritorna rinnovato? [8]


[8] Hermes, messaggero degli dei, dio delle metamorfosi, dell’astuzia, degli espedienti ingegnosi, dominatore dei sogni, guidava nell’ade le anime dei morti.

Questa “poetica”, che abbiamo chiamato “solarità”, individuata nell’opera di alcuni artisti attuali, non avrebbe potuto emergere che dall’esperienza diretta della pittura, in quanto non si tratta di un’ideologia predeterminata, ma del risultato di un lungo lavoro di ricerca pratica, in sintonia con profonde elaborazioni interiori. Tale esperienza mette in evidenza le difficoltà di un progressivo riappropriarsi di alcuni aspetti fondamentali dell’esperienza estetica originaria, dimenticata nella seconda metà del Novecento. Tuttavia nell’ambito della ricerca artistica si tende a confondere questo aspetto estetico profondo, in cui si cerca l’atemporalità dell’arte, con quello linguistico della sperimentazione proiettato invece nel divenire; orizzonti opposti che determinano altrettanti opposti orientamenti esistenziali.

Per cogliere tutto ciò in modo più radicato è indispensabile cercare di collocare gli esiti espressivi di questo nuovo orizzonte dell’arte nel panorama filosofico dell’occidente. Considerazioni preliminari fanno emergere come il pensiero metafisico dei filosofi non riesce a percepire il senso profondo dell’arte che si avvicina all’origine: l’arte simbolica e sacra delle grandi civiltà come quella egizia, persiana, greca arcaica, bizantina, eccetera. È la scissione netta, caratteristica dell’occidente, tra l’espressione originaria dell’unità della coscienza e la razionalità, tra la cultura del soggetto, perseguita nelle pratiche artistiche e rituali originari, e quella dell’oggetto, perseguita dalle Scienze Umane e dalla Filosofia, che negli ultimi secoli ha prevalso influendo anche sull’arte. Nelle opere di questi artisti sembra riemergere una organica essenzialità e splendore che le accomuna per un certo verso all’arte sacra di tutti i tempi. Si pone l’ipotesi che questa struttura espressiva sia la matrice estetica del sacro, la cui percezione sfugge alla conoscenza razionale. E’ questo il fondamento dell’arte visiva, la quale tuttavia costantemente se ne allontana, ma che ogni vero rinnovamento deve riconquistare.

Per affrontare questa discrepanza è importante acquisire la consapevolezza che esistono ragioni e percezioni diverse della coscienza che devono conservare una propria autonomia. Nietzsche ritiene necessario educare negli uomini un “doppio cervello”, cioè tenere opportunamente separate una cultura razionale dell’oggetto e una cultura pratica della sensibilità del soggetto: entrambe esprimono una propria conoscenza, compresenza degli opposti che garantisce la salute di una cultura superiore.

Informazioni sugli artisti

David Hockney è uno dei più noti artisti a livello internazionale, nato a Bradford, nel Regno Unito nel 1937. Noto sin dagli anni Sessanta per i suoi dipinti singolari di un realismo metafisico con una vaga ascendenza Pop. Nei decenni successivi ha sperimentato linguaggi espressivi sondando varianti e ibridazioni dell’arte moderna delle avanguardie storiche, nonché addentrandosi in analisi delle possibilità del linguaggio espressivo. Dagli anni 2000 approda a una pittura di paesaggio a cui si aggiungono presto figure e ritratti, ritrovando il gusto di dipingere dal vero, ma con una particolarissima sintesi espressiva che fa tesoro delle esperienze precedenti. Una intensità e raffinatezza dei rapporti cromatici che da alle sue opere uno splendore e freschezza che le rende inconfondibili.
Salvo (Salvatore Mangione) è nato nel 1947 a Leonfonte, nella provincia siciliana di Enna, ed è morto a Torino nel 2015. Ha raggiunto notorietà internazionale già negli anni settanta, con mostre in importanti gallerie e musei in Italia, Francia, Germania, Olanda e Stati Uniti, così come gli sono state dedicate diverse mostre antologiche in Europa. È stato invitato alle edizioni del 1976 e 1984 della Biennale di Venezia e nel 1972 alla rassegna Documenta 5 di Cassel. Nel 2007 un’importante retrospettiva al GAM di Torino (Galleria Civica di Arte Moderna). È oggi uno dei più noti pittori italiani.
Jan Knap è nato nel 1949 a Chrudim nell’odierna Repubblica Ceca, trasferitosi in Germania nei primi anni Settanta, frequenta l’accademia di Düsseldorf sotto l’insegnamento di Gerhard Richter. Nel 1979 fonda con Milan Kunc e Peter Angermann il Gruppo Normal. Partecipa alla XI Biennale di Parigi. Negli anni ottanta espone con gallerie di rilievo in Germania, Italia e Stati Uniti. Gli sono state dedicate mostre antologiche in Europa. Oggi è un artista riconosciuto a livello internazionale.
Milan Kunc è nato a Praga nel 1944, dove tuttora vive, si trasferisce nel 68 in Germania per seguire le lezioni di Joseph Beuys e Gerhard Richter all’Accademia di Dusseldorf. Sono gli anni del Gruppo Normal con Knap e Angermann. Partecipa alla XI Biennale di Parigi. Negli anni 80 raggiunge notorietà internazionale esponendo in note gallerie in Germania, Olanda, Stati Uniti e Italia. La sua opera è presente in importanti musei europei.
Peter Angermann, nato nel 1945 a Rehau in Baviera, terzo componente del gruppo Normal, ha condiviso con Knap e Kunc negli anni Settanta l’esperienza all’accademia di Dusseldorf sotto l’insegnamento di Joseph Boys. Da metà degli anni settanta espone prevalentemente in Europa. I suoi dipinti sono in permanenza in musei in Germania e in Italia. Dal 1996 al 2002 ha insegnato pittura alla Städelschule di Francoforte, e dal 2002 al 2010 all’Academy of Fine Arts di Norimberga.
Luigi Ontani è nato nel 1943 vicino a Vergato, un paese della provincia bolognese in Italia. Il suo lavoro, versatile e poliedrico, spazia in tutte le modalità espressive dell’arte visiva. Artista noto in Italia e all’estero, da più di trent’anni espone assiduamente in gallerie private e spazi pubblici di rilievo, così come gli sono state dedicate diverse mostre antologiche. La sua opera è in permanenza in musei di rilievo internazionale. È stato invitato alla Biennale di Venezia nelle edizioni del 1972, 1978, 1984, 1986 e del 2004, e in importanti rassegne internazionali.
Helgi Friðjónsson è nato nel 1953 a Budardalur, un paese nel nord ovest dell’Islanda, Partecipa alla XLIV Biennale di Venezia del 1990, Padiglione Islandese. Espone in mostre personali e collettive in vari paesi europei. La sua opera è presente in diversi musei del Nord Europa. Nel 2005 il National Museum of Iceland di Reykjavik gli ha dedicato una grande retrospettiva.
Lorenzo Bonechi nasce nel 1955 a Figline in Valdarno, frazione della provincia di Firenze, e scompare prematuramente nel 1994, all’età di trentanove anni. Raggiunge notorietà negli anni 80 in Italia e a New York, dove espone alla Galleria Sperone Westwater. I suoi dipinti sono stati presentati alla XLVI Biennale di Venezia del 1995. Nel 2005 è stata realizzata a Palazzo Strozzi a Firenze una grande esposizione di tutta l’opera.

 

Si aggiungono artisti meno noti ma di rilievo: David Bowes, Giampaolo Truffa, Gianantonio Abate, Enzo Forese, Kazumasa (Mizokami), Alda Maria Bossi, Andrea Heimer, Carl Michael Lundberg, Fulvia Mendini, Andy Rementer, Nicolas Party

Autore: Nicola Vitale

Autore

  • Nicola Vitale

    Nicola Vitale, Milano 1956, è pittore, poeta e saggista. Dal 1987 espone i suoi dipinti in mostre personali e collettive in gallerie private e spazi pubblici, in Italia e all’estero. Nel 1992 il critico francese Pierre Restany si interessa alla sua pittura, presentando l’artista in diverse occasioni, tra cui si ricorda la mostra alla New York University nel 1994. Nel 2010 il Comune di Milano gli dedica una grande personale a Palazzo Sormani: Animali da let-tura, dove è antologizzata una delle tematiche principali del suo lavoro pittorico, quella degli animali (presentazione di E. Pontiggia). Nel 2011 è invitato alla 54° edizione della Biennale di Venezia (Padiglione Italia). Sue opere sono in permanenza nella National Gallery of Art di Reykjavik (Islanda). Dal 1993 pubblica raccolte di poesia prevalentemente con Mondadori (1998, 2008, 2017), è presente nell’antologia Poeti Italiani del Secondo Novecento, a cura di M. Cucchi e S. Giovanardi (Mondadori, 2004), nell’Antologia: Braci, La Poesia italiana contemporanea, a cura di A. Colasanti (Bompiani, 2021). Nel 2009 con il libro Condomino delle sorprese (Mondadori, 2008) vince i premi Laurentum e Reghium Julii. Ha pubblicato saggi sull’arte visiva con Marietti 1820, Moretti e Vitali e Mimesis. Collabora come relatore con la Casa della Cultura di Milano e Fondazione Corrente, con le riviste di estetica dell’Università degli Studi di Milano, Itinera e Materiali di Estetica. Collabora inoltre con la rivista di arte contemporanea Exibart. Saggi pubblicati: N. Vitale, Figura Solare - Un rinnovamento radicale dell’arte, inizio di un’epoca dell’Essere, Marietti 1820, Genova - Milano, 2011. Prefazione di M. Mazzocut - Mis (Docente di Esteti-ca, Università degli Studi di Milano). Patrocinio: Fondazione Per Leggere, Biblioteche Sud Ovest Milano. N. Vitale, La "solarità" nella pittura. Da Hopper alle nuove generazioni, Ed. Mimesis, Sesto S. Giovanni (MI), 2015, Prefazione di Elio Franzini (Docente di estetica e Rettore dell’Università degli Studi di Milano). Secondo classificato per la saggistica premio Scri-viamo insieme (Roma, 2016). English Translation: N. Vitale, Sunniness on painting. From Hopper to David Hockney. Eng. trans. J. Hodgson, pref. E. Franzini, Mimesis International, Sesto S. Giovanni, 2015. Tesi di Laurea: Università degli Studi di Milano, Corso di Laurea in Filosofia. Dalla Nascita della Tragedia, una "configurazione esplicita" del dualismo Apollineo e Dio-nisiaco in un'interpretazione attuale. (Dal saggio: Figura Solare di Nicola Vitale). Relatore: Chiar.mo Prof. P. E. Giordanetti. Elaborato Finale di G. M. Bevacqua. Matr. n. 790481. Anno Accademico 2013/2014.

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