OM MANI PADME AUM, OM MANI PANI – parole sacre, note e ipotesi

da | 18 Apr, 24 | Scienza dello Spirito |

Dedica

Dedicato ad Alexandra David Néel, i cui libri mi hanno introdotto a Tibet e India, terre dalle memorie antichissime, argomento di studio per molte generazioni.

Sintesi

Proponiamo che le quattro parole, sacre per i buddisti, Om mani padme aum, note per vari significati simbolici, derivino da tre più antiche parole, Om mani pani, diffuse nella valle dell’Indo fra Kashmir e Tibet. Per queste tre parole proponiamo il significato di Lode all’uomo saggio (Noè), navigatore delle acque (del diluvio).

1. Om mani padme aum, quattro parole speciali

Nel mondo buddista, e non solo, vedasi Tourniac (1979) per tali parole iscritte su un orologio in una cattedrale armena, quattro parole, corrispondenti a sei sillabe, sono particolarmente sacre, e ripetute dai fedeli anche migliaia di volte, direttamente o tramite le cosiddette ruote di preghiera:

Om Mani Padme Aum

Sul significato di tali parole, considerate di lingua sanscrita, esistono interpretazioni anche assai differenti, vedasi le centinaia di libri ed articoli che ne trattano, o anche internet dove, al momento in cui scrivo, Google ha 165.000 voci…  Qui ci limitiamo ad alcune interpretazioni.  In Klaproth (1835), il significato è:

Oh! Il gioiello nel loto, Amen

Stesso significato in Huc (1854), autore di uno dei primi libri di viaggio di occidentali in Tibet.    Numerosissime le varianti, soprattutto nel Tibet dove la formula sarebbe arrivata con il buddismo nel settimo secolo AD, portata da Padmasambhava. Prima di allora la religione in Tibet era quella magico-sciamanica detta Bön, che oggi sopravvive in aree limitate ed in forma modificata. Era ancora recentemente la religione della tribù Ngolok, nomadi, banditi e guerrieri. Gli Ngolok, vedasi Clark (1996), abitavano la regione del massiccio Anye Machen, presso le sorgenti del Fiume Giallo, a nord ovest del fiume Ser (da cui l’origine del nome Seri?), fino al quale si estendeva il potere cinese, che mai li controllò completamente. Gli Ngolok resistettero l’occupazione dei comunisti cinesi, venendo sterminati quasi completamente.

Fra le varianti nell’interpretazione delle quattro parole ne citiamo alcune.  Hopkirk (2008), dà essenzialmente l’interpretazione di Klaproth

Salve gioiello nel fiore di loto

dichiarandola di significato ignoto. In Angelini (2008), appare con il significato, certo diverso

Saluto, grande lama dal fiore di loto

Ancora più diversa è l’interpretazione del famoso guru Osho, vedasi Google, 3-10-2012, ovvero

Il suono del silenzio, il diamante nel fiore di loto.

Evans-Wentz (1989) la associa a Manjushri, nato dal fiore di loto senza padre e madre (in questo simile a Melchisedek…). Manjushri, patrono buddista di Cina e Nepal, è un essere divino di complesse e varie caratteristiche, associabili a quanto descritto nelle quattro sacre parole, vedasi il trattato di Blofeld (1948) sul gioiello nel loto. Quando i testi sacri dell’umanità sono affrontati in modo essenzialmente simbolico o metaforico, allora le interpretazioni possibili sono praticamente illimitate, frutto dell’opinione personale e della fantasia di chi li studia.

Non è compito di questo articolo fare una rassegna estesa delle interpretazioni della quattro parole. Nella sezione seguente presentiamo tre parole simili ma ignorate, il cui significato affrontiamo, nel nostro approccio usuale, non dal punto di vista simbolico, ma con riferimento preciso, storico e geografico, a eventi speciali sul nostro pianeta. Tre parole forse collegate e forse alla origine delle quattro parole famosissime di cui sopra, ora solo interpretate in modo simbolico.

2. Om Mani Pani, tre parole speciali

Nel 1860 due ufficiali dell’esercito inglese nell’India, dai nomi non certi o non dati, per motivi forse di segretezza militare (ho trovato sia Edward Frederick, che William Henry), partirono dalla loro caserma a Kanpur diretti al Kashmir. Tale regione afferente all’Himalaya ed al Karakorum era allora autonoma, governata da un Maharaja (alla cui famiglia afferisce il fisico e matematico Subhash Kak, con cui sono da anni in contatto, autore anche di importanti studi sull’India antica). La loro spedizione è dichiarata nel libro come viaggio turistico culturale, ma doveva essere in realtà finalizzata a raccogliere informazioni di interesse militare. Dopo un mese passato nella bellissima zona di Srinagar (allora detta Sirinugger, città del sole), i due si avviarono verso la chiusa frontiera tibetana seguendo la valle del fiume Indo, passando dalle due province del Piccolo Tibet e Ladakh. L’Indo è detto in Tibet Senge (fiume del leone…. forse un riferimento al gigantesco e scomparso leone himalayano, forse la mitica manticora, citata nell’ Indikà di Ctesia); in Pakistan è detto Sundh; nella poco nota Cosmographia di Pseudo Aethicus, tradotta e commentata da questo autore, Spedicato (2013), e in un frammento di Nearco, è detto Eufrate. Eufrate, associabile a Bharat = India, è il nome probabilmente originario, prima delle invasioni ariane. Fu trasferito dai Sumeri originanti da est della regione dell’omonimo fiume del Medio Oriente, dove si stabilirono, nel terzo millennio avanti Cristo (dopo il diluvio noachide, databile al 3161 AC, vedi Spedicato (2016c)) sviluppando una civiltà che durò un millennio (sino al diluvio di Tifone – Apophis, periodo delle invasioni Kassite ed Elamite); l’Eufrate del Medio Oriente è inferiore all’Indo in lunghezza (2800 km contro 3180 oggi) e portata (circa 800 contro 6600, oggi, dato certamente variabile nei secoli).

Il percorso lungo la valle dell’Indo, per una strada accidentata, ma non troppo difficile, e usata da tempo immemorabile, portò i due ufficiali vicino al confine del proibito Tibet; viaggiarono durante l’estate e tornarono con la prima neve. La valle era ricca di albicocche, prugne, uva, pesche, melograni, fragoline, more di gelso…. di grano, orzo, piselli, fagioli, e molti ovini. Villaggi in pietra, monasteri buddisti, l’ultimo e il più importante, con una quarantina di monaci, quello di Hemis. Tale monastero è noto per il racconto, falso ma ampiamente diffuso e creduto, del viaggiatore Nicolas Notovitch. Costui, nel 1894, avrebbe appreso dal lama capo di una visita di Gesù in quella zona. Notovitch ammise anni dopo di avere inventato tutto. Falso simile a quelli nel libro Il terzo occhio, scritto dal preteso lama Rampa Lobsang. Costui era un mercante inglese, ignorante della lingua tibetana, come accertò Heinrich Harrer, conquistatore della parete nord dell’Eiger e maestro del Dalai Lama.

Al ritorno i due ufficiali passarono da Uri, cittadina sul fiume Jhelum ricco di acque e nota un tempo per uno speciale bosco di cedro deodara. Uri è nome derivabile dal sanscrito Ur = acqua, dove il riferimento è ad una acqua speciale, come le acque cosmiche associabili alla costellazione di Orione, vedasi Spedicato (2016), o l’acqua prodotta dal corpo umano come urina, utilizzata in India nella urino-terapia ed in altri modi. In Spedicato (2016b) si argomenta che tale Uri del Kashmir sia la Ur in Genesi, da cui è originario Abramo… e ricordiamo che per vari studiosi greci gli ebrei provengono dai sapienti dell’India. Ricordiamo anche che il litigio di Abramo con il padre Terach, Thara nella Settanta, non è spiegato né da Genesi né dal Talmud; la spiegazione appare nel libro sacro dei Mandei, Ginza, ovvero il rifiuto di Terach di consacrare il figlio Abramo come sacerdote mandaico, avendo il figlio un difetto fisico. Si ricordi che l’integrità fisica è stata requisito irrinunciabile anche per la chiesa cattolica, sino a tempi recentissimi.

Nel corso del viaggio Night osserva lungo la strada, o presso cumuli di pietre simili ai chörten tibetani (dove notano a volte immagini di pavoni…per la cui interpretazione usando la teogonia yezida rimandiamo ad altro lavoro), o sulle mura di monasteri, iscrizioni in una scrittura a lui sconosciuta, vedi l’immagine in fondo all’articolo. Chiedendo informazioni ai locali abitanti, in particolare ai monaci, le iscrizioni sono lette come le seguenti tre parole (Night (1984), pag. 161)

UM-OM MANI PANEE

parole che sente ripetute in continuazione da un grasso lama. Night osserva: such were the quantities of the inscribed stones… that in one long wall I estimated there must have been upwards of 3000 and this in a country where inhabitants of any sort are few and far between, and where none appear who seem at all capable of executing such inscriptions.

Tali tre parole ricordano immediatamente le prime tre delle quattro sacre parole dei buddisti, con la variante da PADME a PANI. Night (pag.171) osserva poi, sulla base d’informazione avuta dal gopa o capo del villaggio di Kulchee (sito in una oasi di albicocche e noci, con produzione di cereali e latte, una quindicina di capanne), che le tre parole possono apparire in tre scritture diverse. La scrittura più comune ed usata in tempi recenti è detta Romeeque; un’altra a caratteri squadrati, obsoleta, è chiamata Lantza; la terza, della quale il gopa era più esperto, ma che non appariva nelle pietre locali iscritte, è il Tyeeque. Forse tre diverse scritture della lingua sanscrita, che un tempo variava fra le diverse province della grande India. Ricordiamo che, stando a Daniélou (2016), nell’India antica, più estesa di quella odierna, esistevano tante scritture del sanscrito quante le province. Buddha divenne famoso per la sua cultura quando da giovane mostrò di conoscere, vedasi Hérold (1926), le 64 scritture… forse quelle del sanscrito in 64 province dell’India di un tempo, estesa da Iran a Tailandia, da Tibet a Sri Lanka? Il sanscrito è oggi usato nella scrittura standard associabile al grande studioso Panini, forse del tempo di Alessandro Magno, autore di una grammatica di 3959 regole.

Possiamo spiegare le tre parole dando loro un contenuto storico che ne spiega la presenza nella valle dell’Indo.

OM ha lo stesso significato che nelle 4 parole, nel senso di lode, celebrazione…, corrispondendo all’arabo Hamma, all’ebraico Amen

MANI è interpretabile come una delle tante varianti dove le consonanti sono M, N e possono variare le vocali associate, con aggiunta a volte di una ulteriore consonante per motivi non semantici, delle parole MAN, MENS, MANU, MANNU, MINOS, MANAS, MENES, MINIAS…, dove il significato, ben noto, è di intelligenza, saggezza, sapienza….

PANI è interpretabile in due modi importanti ed associabili:

  • come naviganti, nome di uno dei due grandi gruppi di naviganti dell’India antica, i Pani Tirani, due parole significanti i potenti navigatori, vedasi Sahai (2002) e Spedicato (2014). Tali naviganti avevano i loro porti nell’India sud occidentale, da cui sfruttando i monsoni raggiungevano l’Egitto e potevano circumnavigare l’Africa. Potevano raggiungere anche la costa atlantica dell’America usando la corrente che dalle isole Gorgonidi, ora del Capo Verde, porta verso Caraibi e Guyana. Potevano forse anche raggiungere la costa orientale dell’America meridionale, viaggio assai più lungo ma di cui esistono indizi, e praticato anche forse più spesso dai cinesi, vedasi Gallez (2006). Dai Pani Tirani, padroni del Mar Rosso corrispondente un tempo a tutto l’Oceano Indiano, discendono i Fenici, leggasi di Erodoto la prima pagina delle Storie. Probabili fondatori di città portuali nel Mediterraneo (Tiro, Tirinto, Taranto, Tharsis), poi associate ai Fenici; raggiungevano il Mediterraneo dal Mar Rosso, entrando in Egitto via terra per lo Uadi Hammamet e poi discendendo il Nilo. Probabili loro porti nel Mar Rosso attuale, Safaga, Marsa Gawasis…  forse il più importante è quello che nel libro dell’Esodo appare come Baal Sefon. Tale porto, il cui nome è interpretabile come Signore Shiva, è identificato in Spedicato (2014) con l’attuale Ras Muhammad, vicino a Sharm el Shaik, presso la punta meridionale del Sinai. La costa orientale dell’India era sede dei navigatori tamil detti Maya. Il loro porto principale era la grande città di Puhar, sede di epiche tamil, distrutta verso l’epoca di Alessandro Magno da un grande tsunami. Sono ipotizzabili contatti fra i naviganti Maya e l’America da tempi assai antichi, con apporti alla civiltà mesoamericana dei Maya, vedi Flavio Barbiero (2016), in Spedicato (2016c).

3. Una interpretazione di Om Mani Pani

In questa sezione proponiamo una interpretazione delle tre parole Om mani pani, presenti nella valle dell’Indo (e forse altrove, probabilmente nella valle del Sutlej). L’interpretazione è di natura storica, collegata con la spiegazione, sviluppata in un prossimo articolo, dell’episodio, in Genesi ed in altri testi antichi, del Diluvio Universale.

Om mani pani è interpretabile dalla precedente sezione come Lode all’uomo sapiente navigante sulle acque. Tale uomo è identificabile naturalmente con il Noè biblico, ben distinto dallo Ziusudra o Utnapishtim della tradizione sumerica o accadica, vedasi Spedicato (2001a,b), dove è data una nuova analisi del viaggio di Gilgamesh. Si argomenta che Ziusudra sopravvisse in luogo distinto da quello di Noè, ovvero nella regione ora cinese del massiccio montuoso Anye Machen, il Mashu sumerico, circondato da tre lati dal Fiume Giallo presso le sue origini. Territorio controllato sino a metà Novecento dai citati Ngolok.

Con tale interpretazione le tre parole ottengono il seguente significato:

Lode a Noè, l’uomo sapiente, navigante sulle acque (del Diluvio).

Rimandando per l’approfondimento all’articolo previsto, sintetizziamo la nostra analisi del Diluvio. Notiamo che i dati di Genesi sono in accordo con altri testi antichi, quali Enoch etiopico, e con esplorazioni anche recenti nella regione proposta:

  • 112 anni prima del Diluvio, Noè incontra Enoch da cui acquisisce informazioni sull’evento catastrofico atteso, e probabilmente su come sopravvivere, vedi Tretti (2007). Tale data ha un particolare significato nel contesto del nuovo paradigma VAS, di cui a Velikovsky, Ackerman e Spedicato, vedasi Spedicato (2016). Corrisponde al penultimo dei passaggi ravvicinati, ogni 56 anni, di Marte presso la Terra (dopo il diluvio, ogni 54 anni). Si noti che dopo l’incontro con Noè, Enoch sparisce dai testi della tradizione ebraica. È tuttavia improbabile che muoia, essendo allora di anni 365 anni, relativamente pochi rispetto agli anni vissuti dai patriarchi prediluviani. Come possa avere speso gli anni successivi sarà oggetto di un previsto articolo… Si noti anche come il 365 si riferisca al diluvio noachide, quando la durata dell’anno passò da 360 a 365 giorni…
  • Nel 3161 AC, il 17 di Nissan, mese d’inizio primavera, arriva il Diluvio, caratterizzato da acque dal basso e dall’alto. Le acque dal basso corrispondono a piogge prodotte dal magma emerso nei ridges oceanici; le acque dall’alto derivano dagli oceani di Marte, perduti definitivamente in tale passaggio. L’interazione con Marte porta probabilmente ad una inversione dell’asse di rotazione terrestre, con passaggio dalla primavera all’autunno, e modifica della durata dell’anno da 360 a 365 giorni; Noè attendeva dopo la fine dei 40 giorni di pioggia l’arrivo dell’estate, ma si ritrova con l’inverno. L’interazione fra Terra e Marte potrebbe essere spiegata dalla tradizione di Khima, oggetto che appare descrivere una orbita a cappio… un tipo di orbita questa solo da poco scoperta in osservazioni e oggetto di analisi teoriche.
  • Noè costruisce in 112 anni l’Arca lavorando su una delle sponde del lago Manasarovar, nome significante Lago dell’uomo sapiente. Tale lago sta in Tibet, a circa 4600 metri di altezza, a sud del sacro monte Kailash (il Meru terrestre). Le sue acque scaricano nel fiume Sutlej, uno dei 5 fiumi che definiscono il Penjab arrivando all’oceano come Indo. Sta inoltre in una regione ricca di miniere di oro, di cui Salomone importò grande quantità, vedasi Spedicato (2012). La scelta del Manasarovar come luogo dove costruire l’arca è basata non solo sulla lontananza dalle pericolose coste continentali oggetto di fortissimi tsunami, ma sulla presenza di sorgenti calde. Queste, nonostante l’altitudine, impediscono alle acque di ghiacciare, anche in pieno inverno con quasi 50 gradi sottozero
  • La nostra localizzazione dell’arca differisce da quelle usuali in Anatolia o Medio Oriente, ma si accorda con Nicola di Damasco, forse il massimo storico di ogni tempo. Nicola scrisse che l’arca fu costruita nella Terra di Minias e approdò sul monte Baris. Omettendo qui la spiegazione di Baris, notiamo che Urartu in Genesi è un nome non sumerico (Giovanni Pettinato, comunicazione personale) e non semitico (Elio Jucci, idem), interpretabile come luogo con acque ricche di oro, significato compatibile con la zona del Manasarovar. Ricordiamo anche il testo siriaco Caverna del tesoro, vedasi Albrile (2009), sul viaggio dei tre Magi. Questi avrebbero visitato la zona del Tura Nud, monte dove si sarebbe fermata l’arca, nome interpretabile, da Tur = potente in sanscrito (e in etrusco), come il monte del forte Noè.
  • L’arca fu costruita usando il legno del cedro deodara, albero sacro in tutta l’Asia, unico ammesso nei templi e per le statue, in grado di resistere a 300 anni di immersione nell’acqua senza deteriorarsi. Il cedro deodara ha il migliore areale nel Kashmir, in particolare presso la ricordata cittadina di Uri, ma si trova, con esemplari un tempo giganteschi, anche in Tibet sino oltre 4000 metri. Il suo legno ha profumo delizioso. L’arca fu bitumata per protezione, e sorgenti di bitume sono note in valli che portano alla regione del Manasarovar.
  • Noè stando a Genesi portò nell’arca almeno una coppia di tutti gli animali. Frase che è accettabile se riferita agli animali della zona dove l’arca fu costruita, presso il Manasarovar. Qui le specie di animali sono poche, non sappiamo quante nel 3161 AC, ma oggi poche decine. Si noti che nella zona del Manasarovar non si trovano insetti. Si noti anche una tradizione di Noè ferito da un leone che era nell’arca; forse una varietà del leone dell’Himalaya, avvistato sino a un paio di secoli fa, e sopra citato con riferimento al nome Senge dell’Indo in Tibet.
  • La zona del lago Manasarovar è speciale per la sua sacralità nonché per la sua bellezza e ricchezza di oro ed altri minerali. Può essere raggiunta dall’India via la valle dell’Indo, che ha le sorgenti presso il Kailas, oppure via la valle del Sutlej, che origina dal Manasarovar; con percorsi meno agevoli, via le valli del Brahamaputra, che nasce dal Kailas, e della Karnali, considerata sacra sorgente del Gange, originante a sud del Manasarovar. L’accesso più semplice e più usato in passato dovrebbe essere quello via Indo. Accesso più lungo di quello via Sutlej, ma meno difficoltoso. Si noti che queste valli sono spesso dei canyon con passaggio difficile e pareti franose. La maggiore facilità di accesso via Indo spiegherebbe l’abbondanza dei riferimenti a Noè.
  • Noè secondo tradizioni avrebbe viaggiato dopo il diluvio, raggiungendo l’Italia dove morì; possibile quindi che, lasciato il Manasarovar, passò per la valle dell’Indo. Il luogo dove l’arca approdò deve essere stato meta di pellegrinaggi, le cui tracce potrebbero trovarsi in tradizioni bön e zhang-zhung. L’arca, in legno di cedro deodara dal bel colore, e profumato, con il tempo si deteriorò, o forse fu tagliata a piccoli pezzi asportati dai pellegrini. Uno studio del fondo del lago Manasarovar, e del suo vicino Rakhasa, potrebbe dare interessanti risultati.

4. Osservazioni finali

In questo lavoro, partendo dalla poco nota scoperta nella valle dell’Indo di iscrizioni con tre parole sacre, Om mani pani, abbiamo interpretato tali tre parole come lode a Noè, sopravvissuto alle acque del Diluvio, nella zona del lago Manasarovar, vicino alle sorgenti del fiume Indo-Senge.  Una interpretazione di tipo geografico, diversa da quelle simboliche riferite alle quattro sacre parole Om mani padme aum. Consideriamo quindi tali quattro parole una variante delle tre altre, risalente forse a dopo il tempo di Buddha, circa 2400 anni fa, contro gli oltre 5000 delle tre parole, se sia corretta a nostra ipotesi.

Ulteriore studio dovrebbe valutare la presenza delle tre parole in altri luoghi di accesso al Manasarovar, e studiare se nelle tradizioni tibetane e indiane, del Kashmir in particolare, esistano riferimenti ad un saggio sopravvissuto al diluvio in tale regione.

Seguono immagini delle tre parole dal libro di Night e carta della zona del Piccolo Tibet e Ladakh dal Lowry’s Table Atlas, proprietà di chi scrive, di Chapman e Hall, Londra, edizione del 1850, tempo del viaggio descritto da Night.

Infine notiamo che il libro da cui è partita questa analisi, acquistato dalla libreria Rossello di Parma specializzata in libri orientali, è una edizione indiana fac simile della prima inglese del 1863. Ho poi avuto da Rossello una nuova versione, Diary of a Pedestrian in Cashmere and Thibet, della Hard Press, stampata in Gran Bretagna da Amazon.co.uk. Libro senza data, senza nome del curatore, senza le immagini della versione originaria, senza divisione in capitoli, in font più piccolo, 148 pagine contro le 385 della versione indiana; il testo, non tutto controllato da me, dovrebbe essere lo stesso. Un lavoro, come spesso oggi avviene, da scannerizzazione per ebook.

Bibliografia:

  • Albrile E., La caverna dell’esilio, Orientalia Christiana Periodica 1, 2009
  • Angelini P., Tibet, mito e storia, Stampa alternativa, 2008
  • Barbiero F., The roots of Mesoamerican civilisation, in Spedicato (2016b), vedi sotto
  • Daniélou A., La via del labirinto, Casadeilibri, 2016
  • Blofeld J.E., The jewel in the lotus, an outline of present day Buddhism in China, Sidgwick & Jackson, 1948
  • Clark L., Alle sorgenti del Fiume Giallo, EDT, 1996
  • Evans-Wentz W.Y., Cuchama and sacred mountains, Swallow Press, 1989
  • Gallez P., La coda del drago, Liutprand, 2006
  • Herold F., La vie du Buddha, Editions d’ Art, 1926
  • Hopkirk, P., Alla conquista di Lhasa, Adelphi, 2008
  • Huc E., Souvenirs d’un voyage dans la Tartarie, le Thibet et la Chine pendant les années 1844, 1856 et 1846, LeClère & Co., 1850
  • Heinrich Klaproth, Nouveau Journal Asiatique, 1835
  • Night J., Kashmir and Tibet, Mittal Publications, Dehli, 1984 (reprinted from 1863 first edition)
  • Notovitch N., La vie inconnue de Jésus Christ, Ollendorff, 1894
  • Spedicato E., Geography of Gilgamesh travels part I, the route to the mountain of cedars, Migration & Diffusion, I, 6, 2001a
  • Spedicato E., Geography of Gilgamesh travels part II, the route to the mountain of cedars, the route to mount Mashu,  Migration & Diffusion, I, 7, 2001b
  • Spedicato, Ophir, a proposal for its location, Quaderni asiatici 99, 103-120, 2012
  • Spedicato E., Pseudo Aethicus, Cosmographia, traduzione e commento, Aracne, 2013
  • Spedicato, New astronomic hypothesis in cosmogonies of Solar System evolution, Actual problems of aviation and aerospace systems, 43, 21, 1-12 in inglese, 13-26 in russo, 2016a
  • Spedicato E., On hypothetical model of Mankind development in astronomical scenario of Earth evolution, Problems of nonlinear analysis in engineering systems, Kazan, 22, 1(45), 64-83 in inglese, 84-106 in russo, 2016b
  • Spedicato E., In Pre-Columbian contacts between America and other continents, FCOIAA, 2016c
  • Tourniac J., Lumière d’orient, Dervy livres, 1979
  • Tretti C., Enoch e la sapienza celeste, Giuntina, 2007

Sotto le tre parole nel libro di Night.

Autore: Emilio Spedicato

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