Il Dolore delle mani, la nuova creatura noir dello scrittore Salvo Ales, richiama immediatamente la parte del corpo umano la cui ricchezza semiologica appare più spesso nella simbologia del mito occidentale e dell’iconografia induista e buddhista, nel rito delle danze dell’Asia del sud, nella tradizione occidentale biblica e cristiana. La mano, nei suoi molteplici significati, è il simbolo per eccellenza dell’esoterismo e dei segreti che si imprimono nelle linee del palmo, come segni indecifrabili del destino di ogni singola vita.
Nel racconto di Salvo Ales le mani dei protagonisti sono segnate da dolori atavici e dalle tragiche sofferenze rimaste prigioniere negli abissi ghiacciati del corpo e dell’anima. I suoi personaggi si muovono senza volto e senza nome, nello spazio di una casa che è un contenitore vuoto, dove porte e finestre sono monadi indivisibili e incomunicabili. Il leitmotiv delle mani diventa, nel racconto dello scrittore, sintomo ossessivo che travolge la protagonista a ritrarre e immortalare, ora mani rugose, ora mani raggrinzite, ora “mute”, ora “nervose”, ora “inerti”, ora “agili”, per riscrivere la storia segnata nel corpo da un agito ancestrale e da un linguaggio spezzato nelle diverse e autentiche espressioni verbali ed esperienziali dell’amore.
Le mani abitano la vita interiore ed esteriore della protagonista, schiudono i suoi silenzi che non disegnano sogni e scivolano nelle terre desertiche di tutte le pieghe del corpo. Lo scrittore ci accompagna nelle enigmatiche mani che accarezzano e riscaldano le notti gelide, per dimenticare il passato di cocci e sparsi frammenti che dilaniano corpi abbandonati, alla deriva di una vita lacerata dalla follia e dalla diafana perversione. Mani che amano, mani che odiano, mani che uccidono, mani che eccitano, mani che violentano: la loro potenza è inesauribile.
Quale dolore raccontano, quindi, le mani dei protagonisti dello scrittore Salvo Ales? E qual è la differenza tra le mani che vivono la luce del giorno e quelle che si muovono nel buio della notte? Dove si svolge il teatro della vita psichica dei personaggi? Quali sono gli ambienti in cui ciascuno danza la vita, spesso vivendo in uno stato di povertà e in un mito, che dimentico dell’autentico e sacro spirito religioso, rimane prigioniero delle follie che si trasformano in psicopatologie? Domande che nascono dalla lettura del noir ed intrigano il lettore a una riflessione, in cui i personaggi non sono solo i protagonisti della narrazione biblica di Lot e del mito greco ma, anche, della realtà che si incontra e si annida tra le mura domestiche della nostra contemporaneità.
Dolore e trauma raccontati da Salvo Ales ci accompagnano in un romanzo nero che diventa thriller psicologico, in cui la violenza incisa nella brutale ed insaziabile follia del padre, nel male di vivere della madre, si condensa nelle mani ritratte da ossessivi scatti fotografici della protagonista. L’arte della fotografia non è una semplice equazione e, davanti al volto di un pittore, le mani della protagonista scoprono l’Amore che, come un fievole riflesso di un raggio di sole, illumina una indicibile speranza di aver trovato una sorgente d’acqua, una lanterna o una fiammella, in modo da poter conferire una sfumatura inattesa verso un nuovo viaggio nell’oceano della vita. L’arte dell’uno si congiunge alla creatività dell’altro, si ammanta di stelle, unisce due solitudini, mescola immagini di desiderio al sentimento di un amore irraggiungibile e poco salvifico, punito dagli dèi per aver infranto il patto della promessa. Lo scrittore, abilmente, tenendo il lettore in suspense, traccia le mani che si agitano e muoiono ogni volta che il padre incide, nel corpo della protagonista, segni che tracciano il destino di un’anima straziata ancor prima di nascere e la cui destinazione si dibatte, giorno dopo giorno, nel mistero della vita, della morte e del mortifero intrecciati gli uni con gli altri.
La fiamma dell’amore e l’alchimia del desiderio portano al cuore la speranza di poter risalire una corrente del fiume, in cui i detriti sono depositati negli antri più profondi della psiche e capaci di suscitare ulteriori gesti estremi. Poi l’incanto finisce come la magia del cielo stellato. Il corpo e l’anima, abbandonati da quei bagliori che avevano consumato i giorni più leggeri della vita, lasciati al loro crudele destino si annidano nei pertugi dell’oscurità, in cui rimane la notte dove poter naufragare sogni avvinti da foto sbiadite e sparse in ogni angolo della casa. Il Dolore delle mani è un romanzo che va letto, meditato, raccontato e presentato in tutte le occasioni in cui le mani prendono un libro e raccontano qualcosa di noi, della comunità, della collettività con le sue radici e modelli istintuali, che possono essere riportati alla luce di un archetipo mai lontano dalla psiche che, in alcune circostanze, può condurre negli abissi melmosi e nei gorghi oscuri della vita.
Autrice: Mapi Barraco
0 commenti