Le capacità creative, delle energie del pensiero collettivo odierno, giungono alla genesi di una indotta psicopatologia d’impasto masochistico del bene comune. Tutto è molto pregno di obnubilante missione autolitica. Non interviene più alcuna ricerca della funzione autopoietica, fondata sulla valente autoctisi, per un contributo individuale di euristico vantaggio. Si sta intromettendo un esuberante offuscamento intellettuale con concezione aberrata del mondo reale.
Una ingombrante uniformità di pensiero sociale, indirizzato verso un vuoto di fiducia nei valori, poiché si annega in un Sistema che privilegia una soggiogante ignoranza generale, proiettatasi conformisticamente.
La defraudata capacità analitica oggettiva e le semplici deduzioni logiche non sanno più favorire quella venerabile efficacia che possa comprendere l’emersione di un incongruente processo litico della mente umana, contro le tetiche valenze del bagaglio intellettivo.
Valenze e valori che hanno permesso lo sviluppo della civiltà di magnifico grado raggiunto nella metà del XX secolo. Degna notazione diventava il riconoscersi compartecipe di una identità sociale affinata.
La valenza di appartenere ad una identità sociale è una forte necessità dello spirito umano. L’identità sociale è infatti definibile come “quella parte dell’immagine che un individuo si fa di se stesso, derivante dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale o gruppi, o ampia comunità, unita al valore e al significato emotivo attribuito a tale appartenenza”.
Gli approfondimenti sociologici ci insegnano che: il gruppo sociale tende a persistere creando un “sistema sociale” e questo sistema è l’insieme degli individui che rimane coeso in funzione della reciproca interazione tra loro. Un mutamento in un elemento dell’insieme si riflette su tutti gli elementi appartenenti allo insieme stesso. Ma se ogni gruppo sociale è caratterizzato da una propria cultura, cosa accade se questo entra in contatto con un altro gruppo sociale di differente cultura? Precisiamo che per cultura intendiamo quell’insieme di: conoscenze, stile di vita, modo di pensare, filosofia, religione, arte, che costituiscono un patrimonio acquisito nel tempo, un patrimonio formato da realtà non accumulate in forma quantitativa, ma attraverso processi qualitativi, (per differenziare dal concetto di civiltà che invece rappresenta un patrimonio di: scienza e tecnologia, nozioni e strumenti tecnici, accumulate in accrescimento quantitativo).
Sappiamo che l’incontro di due o più culture produce un processo di trasformazione. Questo incontro non si limita a semplice scambio di tratti culturali, ma causa profondi mutamenti che avvengono nel contesto delle culture protagoniste del contatto, interculturale. L’effetto che ne risulta si chiama tecnicamente acculturazione e “comprende i fenomeni che si generano quando gruppi di individui dotati di culture differenti entrano in contatto continuativo e diretto, con conseguente trasformazione nei modelli originali di cultura di ciascuno dei gruppi”.
Con gli studi delle scienze sociali, su questi argomenti, riconosciamo effetti tra una “cultura datrice” e una “cultura ricevente”. In questo processo non si escludono condizioni conflittuali, per via delle tradizioni che devono essere tutelate affinché non nasca una criticità caotica nella cultura “ospitante”.
Una cultura potrebbe accettare molti tratti culturali fornitele dall’altra con cui entra in contatto, ma in questo caso significa che esiste una grave debolezza culturale. All’opposto potrebbe verificarsi che una cultura rifiuti totalmente elementi nuovi provenienti dall’altra cultura, legandosi fortemente alle proprie tradizioni, in questo caso pone una resistenza culturale. Queste tendenze difficilmente si realizzano integralmente, ma avviene quello che gli scienziati sociali chiamano sincretismo culturale. E’ un fenomeno per il quale le culture in contatto elaborano elementi nuovi, adattandoli alle tradizioni e producendone altri mai esistiti precedentemente, per soddisfare nuovi bisogni indotti dal complesso mutamento culturale. Le culture non sono ovviamente immutabili. Esse sono soggette a trasformazioni e ad un cambiamento culturale, che avviene in modo “sincronico” e “diacronico”. Nel sincronico è osservabile come consapevolezza che è in atto un fenomeno di avvicinamenti culturali quali sommatoria di azioni e reazioni, nel diacronico invece si assiste a cambiamenti che avvengono per effetto del succedersi di generazioni.
Nel mondo attuale e di conseguenza nella nostra Nazione, stiamo notando un mutamento generale che comprende uno scenario di natura compromettente per la cultura dei Valori. Una cultura tendente alla superficialità, alla leggerezza, alla mancanza di consapevolezza dell’importanza della preparazione competente a condurre la propria vita in un contesto di benessere collettivo. La società si sta immergendo in un coacervo di problematiche che divengono irrisolvibili, credendo nell’intervento di mistificati valori. La mistificazione avanza, venduta come prodotto commerciale, capace di istupidire le menti degli individui solo formalmente umani. La vera salvezza, con la soluzione dei problemi generali, potrà sussistere soltanto se si comprenderà l’utilità di usufruire della antica Saggezza e dei Valori sostanziali riscontrabili nella tradizione perenne.
Si sono invertite le dinamiche culturali, dove la cultura datrice contagiosa è oggi quella delle masse, dominata da potente asservimento all’ignoranza, mentre la stabilizzata cultura ricevente, che si era consolidata storicamente con faticosa evoluzione della capacità intellettuale, diviene prerogativa di una minoranza con capacità analitiche in via di estinzione o tentativo di soppressione.
Riflettiamo attentamente su questi processi di mutamenti, perché non presentino quelle condizioni delle suddette debolezze culturali. Nel sincretismo culturale, l’incontro-scontro tra la “cultura datrice” e la “cultura ricevente” giocano un ruolo tra “debolezza” e “resistenza”, che diviene rischioso per gli equilibri conseguenti, nel presente e quindi per la Storia futura del Belpaese.
Annullarsi culturalmente, di quella Cultura “capace di intendere e di volere” il valore della conoscenza per mezzo dello studio serio, con la profondità dell’intelletto, significherebbe anche perdere traumaticamente una identità. Quell’identità che nel tempo è stata il prodotto di un percorso storico non privo di sofferenze umane; e che tutto non sia stato vano.
Tutelare la ”Cultura”, con le Tradizioni più Sagge, è il reale fattore di civilissimo valore per il rispetto di se stessi. Ma si può scegliere e decidere anche di non rispettarsi e di non volere farsi rispettare, in qualità di persone intelligentemente evolute.
Autore: Onelio Onofrio Francioso
E’ un’analisi cruda e perfetta, caro Onelio. Tu parli del masochismo strisciante di una cultura che rinnega le proprie origini, la propria storia e la propria saggezza perché non è in grado di far valere la propria identità contro altre identità in divenire, molto più forti, piene di sé e vissute come concorrenziali, perche con esse non si è neanche capaci di interagire sincretisticamente, di crescere nello scambio. Si oscilla vertiginosamente fra una presunta forza reattiva della resistenza, che privilegia il monopolio solipsistico della propria cultura, e la debolezza delle proprie armi di persuasione e delle proprie convinzioni. Ma proprio sulla base dei propri pilastri etici, morali, civili, una cultura sarebbe in grado di tollerare un’altra, digerirla e metabolizzarla, al contrario di ogni cellula in degenerazione autolitica.
Paradossalmente una crisi di senso di appartenenza, come quella che affligge la nostra società, la rende dispersa, incerta, e dis-appartenente, incapace di imparare anche dalle altre. Il dialogo, come la sana differenza, nascono da una sana e robusta identità. Quella di chi crede a se stesso, come uomo e come cittadino, e non dimentica la propria storia. Ne esce invece una visione amara del nostro mondo, che vede una cultura appassire come pianta poco e troppo innaffiata in balia del parassitismo di forze senza storia, ma più sicure di sé, tecnologicamente e politicamente, più convinte.
L’ Intercultura, il nutrimento delle altre culture, presuppone ‘una’ cultura che sia ‘acculturazione’, che cresca di sé e di altro, di identità e differenza, di appartenenza e trasformazione. La storia di un popolo cresce su se stessa e i propri valori, come già sapeva Vico. E’ triste constatare che ad una minoranza sia affidato il compito di evitare il naufragio nella massificazione che prova a stupirci con la sua ‘stupidità’.
In fondo l’autolisi è il lento suicidio della cellula umana, lo scioglimento definitivo dell’identità, che Jung chiamerebbe individuazione. Per evitare questo, per fare ‘resistenza’ non alle culture altre e alla memoria di se stessa, ma a questo processo di dissoluzione di una intera cultura, che nascono esperienze come Progetto Montecristo.
Grazie Onelio della tua lucida diagnosi, fatta di sapienza e di lungimiranza. Roberto Caracci