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Un paradiso di solitudine

da | 22 Lug, 25 | Letteratura |

Un paradiso di solitudine

È una brutta sensazione svegliarsi e non sentirlo vicino. Il calore del suo corpo è svanito e io sento freddo. Mi copro con un morbido vello, ma il gelo rimane sulla pelle e nel cuore. Meglio che mi alzi e cominci la mia giornata, uguale a quelle che l’hanno preceduta e che la seguiranno. Sono confinata in questo paradiso, dove le piante crescono rigogliose e i fiori sbocciano come per incanto. Chiudo gli occhi e ascolto la melodia ritmica degli uccelli che cinguettano tra le fronde degli alberi. Quando li riapro sono bagnati di lacrime. Sarei l’essere più felice del creato se non fossi prigioniera di un destino avaro.

Quando Zeus, adirato con mio padre, mi fece approdare su quest’isola selvaggia, pensai a uno scherzo. Mi guardai intorno con la certezza di trovarmi in un sogno. Chiusi gli occhi ed ascoltai il gorgoglio di un piccolo ruscello fuso al rumore delle sottili cascate che scendevano da una parete di alabastro. Percorsi incredula il sentiero che portava alla mia dimora. Era fiancheggiato da fitti arbusti di olivo odoroso, i cui fiori avevano il colore del sole al tramonto. Ne strappai un grappolo e vi immersi il naso e la bocca. Il profumo era inebriante. Feci qualche decina di passi e mi trovai di fronte all’ingresso della grotta dove avrei abitato, sui cui fianchi s’inerpicava una pianta di gigli rossi. I raggi del sole s’intrufolavano tra le foglie delle palme secolari formando chiazze dorate sulla terra scura dei prati circostanti, soffici nuvole solcavano il cielo terso, mentre colibrì dalle ali multicolori sfrecciavano in cerca di insetti. Mi avvicinai e vidi alcune ancelle che stavano sistemando sopra un massiccio tavolo di legno dei bacili colmi di frutta e cesti di pane. Quando notarono la mia presenza si inginocchiarono, salutandomi. Bianche vesti trasparenti coprivano i loro corpi sottili, mentre le lunghe chiome erano intrecciate a fiori e nastri colorati.

Ermes, che mi aveva scortato durante il viaggio, sorrise.

“Sei arrivata a destinazione.” – disse, guardandomi con tenerezza – “Zeus ha scelto per te quest’isola lussureggiante in mezzo all’oceano. Spero non ti sentirai troppo sola.”.

“È un posto meraviglioso. Atlante, mio padre, mi aveva parlato di una punizione terribile che il re degli dèi aveva inflitto a lui e alla sua progenie. Ricordo che disse di aver agito in modo sconsiderato, alleandosi a Crono per cacciare gli abitanti dell’Olimpo.”.

“Già, non aveva capito che i Titani, di cui faceva parte, erano il passato e gli dèi, invece, il futuro. Il tempo non si può fermare e il nuovo vince sul vecchio.”.

“Hai ragione, Ermes. Mio padre fece l’errore di sottovalutare il potere di Zeus. Ha perso la battaglia ed è stato punito. L’ultima volta che lo vidi mi confessò che non avrebbe mai voluto coinvolgere me e i miei fratelli nella sua sventura.”.

“Per un genitore deve essere devastante sapere che i propri figli pagano per colpe che non hanno commesso.”.

“Sì, sembrava proprio disperato. Se mi vedesse ora, regina di questo splendido luogo sarebbe più sereno. Più che una condanna la mia sembra una benedizione. Non credi? Guardati intorno. Non ho mai visto un luogo più delizioso. Forse Zeus ci ha ripensato. Sono certa che abbia deciso di graziarmi.”.

“Aspetta a dirlo, bellissima Calipso. Certo a tuo padre è andata peggio. Portare sulle spalle l’intera volta celeste deve essere un compito arduo. E la maledizione durerà fino alla fine del mondo. Per quanto ti riguarda, come sai, Zeus ha una mente razionale nella quale talvolta guizzano pensieri perversi. Se ti ha parlato di un castigo, temo che un castigo sarà.”.

Nel suo sguardo algido comparve una scintilla di dolcezza. Aggiunse:

“Intanto godi di questo paradiso in terra e non pensare ad altro. Tornerò a trovarti di tanto in tanto.”.

Lo vidi spiccare il volo e allontanarsi rapido. Per i primi tempi esplorai l’isola, mi tuffai nella distesa turchina del mare, facendomi cullare dalle onde. Quando ero affamata mi bastava afferrare uno dei succulenti frutti che nascevano spontaneamente dagli alberi. Quando ero stanca mi stendevo sull’erba inumidita di rugiada. Se sentivo il desiderio di muovermi, correvo lungo la spiaggia fino a perdermi.

Miranda e la tempesta di John William Waterhouse, 1916

 

Col tempo, ahimè, cominciai a capire: ero segregata in una meravigliosa prigione dalla quale non avrei potuto scappare. Lo sconfinato mare africano era il mio carceriere. Man mano che gli anni passavano mi sentivo sempre più sola e ripensavo spesso alle parole di Ermes. Capitò che qualche navigante approdasse sull’isola dopo un naufragio. Il malcapitato, esausto e spaventato, veniva sfamato dalle mie ancelle e la notte si intrufolava nel mio letto. Le lune si succedevano e io mi illudevo di aver trovato un compagno, ero lusingata dall’ardore che leggevo nei suoi occhi, grata dell’amore che mi dimostrava. A quel punto, quando lo spettro della solitudine sembrava svanito, Pothos, figlio di Zefiro, faceva scendere nel cuore dell’uomo nere gocce di nostalgia. Il desiderio di rivedere la moglie e i figli si impossessava della sua anima, rendendolo irascibile e sgarbato. Mi guardava con astio, come se fossi responsabile della tristezza che aveva ingabbiato la sua mente. Così, costruita un’imbarcazione di fortuna, prendeva il mare. Io lo guardavo raggiungere l’orizzonte. Ero di nuovo sola e avvilita. 

Il destino degli umani è la morte, che può essere un evento nefasto o liberatorio. Gli dèi, invece, sono condannati a vivere per sempre. Poco importa se i loro giorni sono felici o colmi di disperazione. Quando raggiungiamo la maturità il tempo si ferma, come la ruota inceppata di un carro. Non si va né avanti né indietro. La nostra esistenza rimane cristallizzata, a meno che un’entità divina superiore non determini un cambiamento sostanziale. Ma io sono una semplice ninfa. Nessuno degli abitanti dell’Olimpo muoverebbe un dito per me. Non so che farmene della mia essenza sovrannaturale, dato che il mio potere è limitato ai confini di quest’isola. Non ho facoltà di scelta e non posso disegnare il mio futuro.

Mi incammino verso la riva al mare, dove so di trovarlo. Lo amo disperatamente, ma lui vuole tornare a casa. La nostalgia lo sta distruggendo. Procedo lenta sul sentiero profumato. Alcune api volano indaffarate intorno a un grappolo di orchidee candide. Sotto i piedi sento la sabbia tiepida, mentre una brezza gentile accarezza i miei capelli. Lo vedo, è appollaiato su uno sperone di roccia, quasi fosse un vecchio gabbiano con un’ala spezzata. Lo raggiungo e mi siedo accanto a lui. Ha il viso contratto e gli occhi lucidi. Mi sorride, un sorriso spento e dolente. Non c’è traccia del mitico eroe della guerra di Troia. Piccole rughe incorniciano gli occhi di ossidiana, fili d’argento brillano tra il nero dei capelli. La schiena è curva per la malinconia.

Appoggio una mano sul suo braccio. Ha un fremito, ma non si tratta di desiderio. Prova fastidio quando sono accanto a lui. Lo sento. Vorrebbe che al mio posto ci fosse Penelope. Ho provato a convincerlo che tornando a Itaca avrebbe trovato una donna sfiorita, con i capelli grigi e il seno floscio, una moglie stanca e delusa. Le mie parole erano frecce spuntate: arrivavano a segno senza fare alcun danno. Il suo sguardo si faceva duro. Scuoteva la testa, restando muto. Il suo silenzio mi feriva più di mille insulti. Gli ho persino promesso l’immortalità, ma mi ha risposto che preferiva una sola vita piena a mille secoli di inerzia. 

“Ulisse, amore mio, non posso trattenerti oltre.” – sussurro con la morte nel cuore – “Sono costretta a lasciare che la tua sorte si compia. Lo comandano gli dèi.”.

Mi guarda stranito. Sta cercando di mettere a fuoco le mie parole. I suoi occhi si illuminano, ma poi vengono oscurati da un’ombra di diffidenza. Teme sia una burla.

“Che stai dicendo, donna? Non sono in vena di giocare.”. 

Nei suoi occhi si alternano speranza e inquietudine. 

“Non è uno scherzo.” – rispondo tra le lacrime – “Ieri Ermes si è presentato alla porta della spelonca. Prima che proferisse parola, avevo già letto il mio destino nel suo sguardo.”.

“Cosa ti ha detto il messaggero alato? Ti prego, non mentire.”.

“Gli dèi hanno deciso che è ora che tu faccia ritorno alla tua patria. Hai vagabondato molto tempo per i mari e da quando sei approdato a Ogigia sono trascorsi altri sette anni. Troppi. Poseidone deve ritenersi soddisfatto. Non gli sarà permesso di intralciare oltre il tuo cammino.”.

“Perché gli dèi avrebbero deciso di esaudire il mio desiderio di rivedere Itaca?”.

“Forse perché stai invecchiando ed è giusto che tu riveda tuo figlio prima di morire. Atena, la tua protettrice, ha fatto pressioni su Zeus affinché il fato si compisse. Sai bene che il re dell’Olimpo non nega nulla alla sua figlia prediletta.”.

Mi abbraccia commosso, come quel giorno in cui lo trovai stremato sulla riva e lo sfamai. Forse stanotte ci ameremo per l’ultima volta. Mi resterà il ricordo delle sue braccia forti, della voce profonda, delle sue mani strette nelle mie. Le stesse mani che all’alba costruiranno una zattera e una vela che il vento porterà lontano.

Autore: Virginia Coral

Autore

  • L’autrice da molti anni lavora nel campo della sperimentazione sui farmaci e coltiva, in parallelo, la passione per i viaggi e la scrittura. I primi forniscono spunti ed emozioni che, lasciati decantare, riempiono le pagine bianche. Un corso di scrittura creativa, frequentato quasi per caso, le ha fornito gli strumenti per ridurre la fantasia a un flusso organico di parole. E il coraggio di esporsi al giudizio del pubblico con lo pseudonimo di Virginia Coral. Il primo racconto, pubblicato nella WMI 18, parla di Buenos Aires e della sua musica seducente, il tango. Il secondo racconto è uscito nel volume “365 Racconti erotici”, seguito da altri inseriti in volumi di diversi editori, fino alla pubblicazione del libro “Agata e l’isola del vento”, nelle Edizioni Montag. Invia regolarmente scritti a #brevestoriafelice, il primo concorso letterario “social”, che organizza ogni due mesi un contest di flash-fiction. Negli ultimi anni si è immersa nella vita di Enrico VIII, con l’entusiasmo e la perseveranza di un investigatore, scoprendone luci e ombre, debolezze e ambiguità. Ne è nato così un romanzo storico sulle vicende umane di questo grande re, intrecciate con i destini delle sue sei mogli.

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