Valeria era stanca. Stanca per le recenti vicissitudini, per le snervanti discussioni con Paolo, per le difficoltà del lavoro, per quel lungo viaggio amato e odiato che, come ogni estate, l’aveva riportata al suo mare.
Spalancò la finestra, appoggiò le braccia incrociate sul davanzale e respirò profondamente l’aria tiepida che l’avvolse subito con dolcezza, l’accarezzò dentro e fuori. Era un’aria antica e familiare che conosceva bene e che la rassicurava. Vi si mescolavano l’odore salmastro dello scoglio e quello delicato della verbena, il sentore acuto di patella e l’aroma inebriante del ginepro. Quell’aria amica e carica di suggestioni la fece sentire subito meglio, protetta e rilassata; così i tratti del suo viso si distesero un po’.
Il viso di Valeria non era più giovanissimo e incominciava a recare i primi segni di una vita vissuta intensamente; ma sapeva a volte illuminarsi all’improvviso, come dall’interno, di una luce tutta sua che contrastava in modo dolce ed affascinante con i suoi lineamenti mediterranei. Accadeva soprattutto quando un’idea o un’emozione piacevoli la coglievano di sorpresa… Allora sorrideva con gli occhi, Valeria.
Adesso si sentiva tranquilla e decise di coricarsi sul letto, da sempre volutamente disposto proprio di fronte alla finestra. Fin da bambina le piaceva immensamente starsene sdraiata al buio a contemplare il cielo stellato e a fantasticare a lungo, prima di addormentarsi. Per un attimo si augurò di dormire un sonno sereno, senza svegliarsi di soprassalto con il cuore impazzito, come le succedeva troppo spesso. Poi si abbandonò alle sue sensazioni.
Sentiva la casa intorno a sé come un guscio sicuro e protettivo: quella casa che l’aveva accompagnata in tutte le fasi della sua vita e che lei ripagava con un affetto ed un attaccamento perfino eccessivi Quella casa dove era tornata dopo ogni colpo ricevuto dalla sorte e che ogni volta l’aveva aiutata a riprendersi, seppur lentamente e a fatica.
Ora i momenti più difficili della sua esistenza le trascorrevano nella mente, come trascinati da una corrente lenta ma inesorabile. La perdita prematura del padre, la depressione della mamma, i rapporti difficili con i fratelli, tutti maschi, in una terra in cui essere donna era ancora quasi una colpa da espiare. Poi quel demone subdolo dell’anoressia, che a momenti se la portava con sé, e gli anni lunghi e faticosi della psicoterapia, e la volontà di continuare a studiare, nonostante tutto. Poi la separazione da suoi cari per trovare lavoro: lontano, più lontano, ancora di più, fino all’algida Svizzera.
Poi la storia con Paolo. Una storia appassionata e coinvolgente, ma tormentata fin dall’inizio. Una convivenza interrotta e ripresa mille volte, tra lacrime di dolore e di gioia, incomprensioni e chiarimenti, scenate e rappacificazioni. Tutto inutile, alla fine aveva dovuto arrendersi: con Paolo non andava proprio. Dopo undici anni si erano lasciati; questa volta, pareva, definitivamente. E allora di nuovo la casa e poi la solitudine, e poi ancora la psicoterapia.
Da pochi mesi c’era una nuova conoscenza nella vita di Valeria: quell’uomo interessante e romantico, ma un po’ originale, così lontano dall’ordine e dalla meticolosità quasi maniacali di Paolo. Lei ne era attratta, o più che altro incuriosita, ma al tempo stesso anche un po’ intimorita. E soprattutto non se la sentiva di investire e di rischiare tutta se stessa in un’altra storia, di ricominciare tutto da capo. Non ne aveva né le energie, né l’entusiasmo.
Ma adesso tutto le sembrava infinitamente lontano. Adesso c’erano solo la luce della luna, che accarezzava la sua pelle serica, e l’eco della risacca che la cullava dolcemente. Le tornò alla mente una canzone tipica della sua terra, una canzone vivace ma che la mamma era solita cantarle con una cadenza lenta e languida, come una ninnananna. Le parole dicevano così:
“C’è ‘nu ggiardinu a mezzu di lu mari,
tuttu intessutu d’aranceti in ciuri.
Tutti l’anceddi ci vannu a cantari
e le Sirene ci fannu l’amuri.”
(“C’è un giardino in mezzo al mare,
tutto ricamato di aranceti in fiore.
Tutti gli uccelli ci vanno a cantare
e le Sirene ci fanno l’amore.”)
Mentre stava già per assopirsi, Valeria si riscosse. Si era accorta che la dolce nenia non risuonava solo nella sua testa, ma le giungeva da fuori, flebile eppur ben distinta, attraverso la finestra aperta. “Non può essere la mamma” pensò. “La mamma non canta più da anni e anni. E poi questa voce, anche se le assomiglia un po’, non è la sua. È molto più giovane e delicata”.
Spinta dalla curiosità a vincere la naturale pigrizia, Valeria si alzò e si affacciò alla finestra. Ora il canto le giungeva più chiaro:
“C’è ‘nu ggiardinu a mezzu di lu mari…”
Si sporse un po’ di più e, nel chiarore lunare, le parve di scorgere una figuretta umana proprio in quell’angolo di spiaggia, accanto a un masso, dove da bambina si era tante volte soffermata a lungo a giocare. Ma l’ombra del masso le impediva di vedere distintamente. La sua curiosità si fece quasi ansiosa. Quel canto esercitava su di lei uno straordinario ed irresistibile potere di attrazione. Allora, senza pensarci troppo, afferrò la vestaglia adagiata sulla spalliera di una seggiola e in ciabatte discese la scala scricchiolante sperando di non svegliare la mamma.
Autore: Roberto Pittella
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