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Veleno – parte seconda

da | 17 Apr, 25 | Letteratura |

Parte 2 di 2

La storia dell’avvelenatrice, maga e cartomante Catherine Deshayes, che visse durante il regno di Luigi XIV e che fu protagonista di diversi intrighi di corte

Non so dire perché, ma quando vidi scendere dalla carrozza quella dama, sentii il cuore fermarsi. La sensazione che portasse disgrazie fu tanto forte che dovetti appoggiarmi al davanzale della finestra per restare in piedi. La bocca rossa e carnosa spiccava sul pallore del viso, coperto in parte dal cappuccio nero. Mia madre si precipitò sulla porta. Dagli inchini e dalla voce stridula con i quali la accolse, capii che si trattava di una persona importante. Avevo visto altri aristocratici varcare la nostra soglia, ma questa doveva essere davvero speciale. Quando si tolse il mantello, notai che era molto bella, di una bellezza quasi sfacciata. Le guance paffute, le conferivano un’aria infantile e contrastavano con gli occhi dal taglio allungato, illuminati da una luce beffarda. Una cascata di riccioli bruno rossiccio cadeva sulle spalle coperte solo in parte dal bordo di organza del vestito. I seni candidi parevano voler sfuggire alla morsa del corpetto per mostrarsi in tutta la loro generosa freschezza. In lei c’era qualcosa di eccessivo, di ostentato, quasi che quella artificiosa ricercatezza nascondesse paludose origini plebee.

Seppi più tardi che si trattava di Madame de Montespan, amante di Luigi XIV e cliente abituale di mia madre. Quel giorno, però, doveva essere successo qualcosa di grave per venire a casa nostra a cercare il suo aiuto ad un’ora così inconsueta.

Ritratto Luigi XIV

Le due donne si chiusero a doppia mandata nell’antro oscuro per più di due ore. Accostando l’orecchio alla porta sentii la voce di madame rotta dal pianto, mentre mia madre cercava di consolarla. Non capivo le loro parole, ma era chiaro che la conversazione riguardasse un argomento spinoso e segreto. Quando uscì dalla stanza madame aveva gli occhi rossi e stringeva un fazzoletto di seta bordato di un impalpabile pizzo écru. Era il 5 marzo 1679.

Quella sera mia madre si chiuse nella sua stanza e ne uscì la mattina, bianca come un cadavere, tenendo fra le mani una misteriosa busta. Occhiaie violacee le davano un’aria sofferente, come se fosse affetta da un morbo maligno.
“Ti senti male, mamma?” – le chiesi allarmata – “Hai un aspetto orribile. Sembri uno spettro. Cosa ti succede?”.
“Niente, niente. Devo correre al castello di Saint-Germain per consegnare una petizione al re.”.
“A Saint-Germain? E che cosa devi chiedere a Sua Maestà?”.
“Zitta ragazzina, basta fare domande. Non sono affari tuoi. So io cosa devo fare.”.

Uscì di casa come una furia e rientrò a tarda sera, stringendo fra le dita la busta stropicciata. Si sedette vicino al caminetto acceso. Vidi che tremava. Mi avvicinai e le chiesi se stesse male. Per tutta risposta scoppiò in un pianto lamentoso.
“Sono perduta, figlia mia, sarò dannata per l’eternità.” – piagnucolò con un filo di voce.
“Cos’hai fatto? È successo qualcosa alla reggia? Perché non hai consegnato la petizione?”.
“Oh Dio, quante domande! Ti rispondo solo perché il cuore mi sta scoppiando per l’angoscia. Ho bisogno di liberarmi di questo segreto.”.
Presi le sue mani tra le mie. Erano gelide.
“Giura che non dirai mai nulla a nessuno. Per nessun motivo. Giuramelo!” – esclamò, lanciandomi uno sguardo duro come una pietra.
Senza aspettare la mia risposta, cominciò a parlare con una voce rauca e sommessa, come se si trovasse in un confessionale.
“Ho cercato di uccidere il nostro sovrano.”.
“Come? Ma cosa stai dicendo? Non è possibile che tu abbia anche solo pensato di…” – balbettai, sconvolta.
“Sì, bambina mia, volevo far fuori il re, il nostro amato sovrano, che è stato unto e consacrato nel nome di Dio. Sarebbe stato come ammazzare nostro Signore. Capisci? Un peccato mostruoso.”.
Si fermò a riprendere fiato. Sembrava più calma, come se si fosse tolta un carico di sassi dalle spalle. Io ascoltavo sbigottita, muta, come una statua di sale. Faticavo a capire quello che diceva. Avevo visto mia madre fare molte cose strane e sbagliate, ma un delitto così efferato era davvero troppo. Non ero pronta, non ero abbastanza grande per digerire una tale ignominia.
Dopo qualche secondo radunò i pensieri che offuscavano la sua mente. Una ruga profonda si era formata tra le sopracciglia. Cominciò il racconto.
“È stata lei a chiedermelo e io non ho saputo dirle di no.”.
“Ma chi?” – chiesi con un filo di voce.
“Madame de Montespan, il diavolo in persona. Ma il suo nome non dovrà mai venir fuori. Non dovrai mai pronunciarlo, neanche sotto tortura.”.
Fece un profondo respiro e continuò.
“Il re l’ha messa da parte e si è preso un’altra amante, una tale Angélique. Madame mi ha chiesto di assassinare entrambi. Così, ho immerso un foglio di carta in un potente veleno e poi l’ho lasciato asciugare. Ci ho scritto sopra una banale richiesta e l’ho inserito in una busta. Avevo già utilizzato quella tecnica per altri casi e aveva sempre funzionato. Oggi invece ho fallito: alla reggia c’erano troppi postulanti e, nonostante avessi sgomitato per farmi strada, le guardie mi hanno chiuso il portone in faccia. E la supplica è rimasta nelle mie mani.” – scosse la testa e gettò con rabbia la busta nel fuoco.
La fiamma si ravvivò lanciando vampate violacee.
“Mamma, è stato un segno del cielo.” – sussurrai.
“Sì, bambina mia. Hai ragione. Il Signore vuole che smetta di fare questo infame mestiere e che mi penta dei miei peccati. Finirò comunque all’inferno. Neanche il Papa in persona potrebbe mondare questo peccato.”.

La Voisin, stampa XVII secolo

Non ebbe il tempo di fare ammenda, perché qualche giorno dopo la polizia di Parigi arrestò due cartomanti, Marie Bosse e Marie Vigoreux, con l’accusa di produrre e distribuire veleni. Dai loro interrogatori emerse una lista di persone, soprattutto donne, dedite alla stregoneria, che praticavano messe nere e dietro un lauto compenso confezionavano anche sostanze tossiche che potevano indurre la morte. Tra loro c’era mia madre, che fu arrestata e imprigionata a Vincennes, dopo un lungo interrogatorio, durante il quale si rifiutò di svelare i nomi dei suoi clienti. Erano passati quattordici anni dai primi guai con la giustizia.

La conseguenza immediata fu l’arresto di collaboratori e complici. Fui fermata anch’io, ma i gendarmi conclusero che ero troppo giovane per essere stata contaminata dalla malizia di mia madre. Non esistendo prove che mi fossi macchiata di alcun reato, fui scarcerata. Me ne tornai a casa percorrendo vicoli bui e maleodoranti, su cui si aprivano porte sgangherate. Le minuscole finestre lasciavano trapelare la fioca luce di una candela. Nascosta sotto un lungo mantello grigio, procedevo rasente i muri, come l’ombra di un ladro. Provavo vergogna e avrei voluto fuggire da Parigi e rifugiarmi in un luogo dove nessuno avesse mai sentito parlare della Voisin e delle sue nefandezze. Invece tornai alla mia vita, occupandomi di mio padre e dei miei fratelli, come avevo sempre fatto.

Nell’aprile del 1679 la commissione incaricata di indagare sull’operato di mia madre e delle altre chiromanti sospettate di stregoneria frugò nelle loro vite per trovare prove a sostegno dell’accusa. Parevano cani alla ricerca di cibo in un mucchio di spazzatura. Qualunque indizio era buono per arricchire l’impianto accusatorio, compresi brandelli di frasi buttate giù su un pezzo di carta o mezze parole raccolte nel corso di testimonianze inaffidabili. La condanna era decisa a priori.

Alla fine di dicembre, un decreto regio emesso per esplicita volontà del sovrano, deliberò che tutta la rete di avvelenatori e di fattucchiere doveva essere sterminata.
Mia madre, riconosciuta colpevole di stregoneria e di altri misfatti, fu arsa viva sulla Place de Grève a Parigi. Era il 22 febbraio del 1680. La sera prima andai a salutarla per l’ultima volta. La cella dove stava insieme ad altre donne condannate al rogo era buia e lurida. La paglia che copriva il pavimento era disseminata di urina e di feci. Il tanfo era insopportabile. Un paio di topi si contendevano briciole di pane. Mia madre aveva il viso sporco di sangue e dai suoi occhi spiritati capii che non era in sé. Avvicinò il suo viso al mio, come per baciarmi, poi si ritrasse e mi implorò tra le lacrime di non fare mai il nome di Madame de Montespan. Dovetti giurare che non l’avrei mai tradita.

L’inchiesta preliminare aveva messo in luce l’esistenza di un fitto sottobosco di personaggi ambigui, streghe, chiromanti, indovini, la cui iniquità avrebbe fatto impallidire Satana. Ma era chiaro che si era solo all’inizio. Le indagini proseguirono senza sosta, scoperchiando una voragine che si ingrandiva di giorno in giorno. Le testimonianze spontanee o forzate si moltiplicavano. Emerse che tante morti improvvise, che i medici avevano ingenuamente classificato come naturali, erano in realtà brutali omicidi. Parigi sembrava essere precipitata in un girone infernale. Anch’io fui richiamata dalle autorità e infransi il giuramento che avevo fatto alla mamma, dando in pasto agli inquisitori dettagli scabrosi e cognomi illustri.

In quei mesi di terrore i roghi non venivano mai spenti e le esecuzioni si susseguivano senza sosta. Vennero a galla crimini inauditi e nomi eccellenti. Si arrivò velocemente alla conclusione che una quantità incredibile di crimini era stata commissionata dall’aristocrazia, che aveva trovato un modo spiccio e a buon mercato per risolvere situazioni scomode.

Perché sfidare a duello un rivale, quando era più semplice eliminarlo con una buona dose di veleno? Lavoro pulito, poco rischioso, senza spargimento di sangue e senza testimoni. Allo stesso modo, le nobildonne desiderose di entrare in possesso dell’eredità dei loro vecchi sposi, trovavano un formidabile aiuto nell’acqua tofana, un intruglio di arsenico e piombo, che risultava insapore e inodore.Poche gocce nel brodo servito per cena e il gioco era fatto. La mattina il marito era morto e la moglie inconsolabile organizzava un maestoso funerale.

Vista la situazione, il sovrano decise di porre fine alle indagini, prima che dalle carte affiorasse qualche nome di persone troppo vicine al trono. Non poteva certo permettersi l’imbarazzo di uno scandalo. Così il cosiddetto “affare dei veleni” fu coperto da una spessa coltre di riserbo e pudore regale, mentre un pesante strato di terra copriva i resti inceneriti della mia mamma.

Fine 2a parte di 2. La prima parte è stata pubblicata qui: Veleno – parte prima

Autore: Virginia Coral

Autore

  • L’autrice da molti anni lavora nel campo della sperimentazione sui farmaci e coltiva, in parallelo, la passione per i viaggi e la scrittura. I primi forniscono spunti ed emozioni che, lasciati decantare, riempiono le pagine bianche. Un corso di scrittura creativa, frequentato quasi per caso, le ha fornito gli strumenti per ridurre la fantasia a un flusso organico di parole. E il coraggio di esporsi al giudizio del pubblico con lo pseudonimo di Virginia Coral. Il primo racconto, pubblicato nella WMI 18, parla di Buenos Aires e della sua musica seducente, il tango. Il secondo racconto è uscito nel volume “365 Racconti erotici”, seguito da altri inseriti in volumi di diversi editori, fino alla pubblicazione del libro “Agata e l’isola del vento”, nelle Edizioni Montag. Invia regolarmente scritti a #brevestoriafelice, il primo concorso letterario “social”, che organizza ogni due mesi un contest di flash-fiction. Negli ultimi anni si è immersa nella vita di Enrico VIII, con l’entusiasmo e la perseveranza di un investigatore, scoprendone luci e ombre, debolezze e ambiguità. Ne è nato così un romanzo storico sulle vicende umane di questo grande re, intrecciate con i destini delle sue sei mogli.

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