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Voci inquiete dal passato: La grande regina

da | 7 Mar, 24 | Narrativa |

Lo specchio è impietoso, ogni piccola ruga mi viene ributtata in faccia come un insulto. I merletti preziosi e lo sfavillio delle gemme non fanno che esaltare le macchie e le grinze, tracce dell’insolenza del tempo. Passo la spazzola d’argento tra i capelli, ridotti a un campo di sterpaglie grigie e secche. Un tempo, quando facevo ondeggiare i riccioli rossi al sole, parevano la chioma setosa di una sirena. Cederei la corona per recuperare la freschezza dei vent’anni.

Ho sempre guardato in faccia la realtà, per quanto terribile fosse. Ho combattuto per contrastarla e modificarla se non mi garbava. Ma non riesco ad accettare la vecchiaia. La subisco come una condanna ingiusta, quasi fossi un innocente incatenato ai remi di una galea.

Neanche i reali sono immuni dal deterioramento che procede inarrestabile. Se davvero la nostra investitura fosse divina, se, come si crede, dentro di noi brillasse la luce di Dio, la malattia non ci sfiorerebbe e la morte non oserebbe carpirci. Col passare degli anni mi sono convinta che il Signore non si occupi dei destini umani e non s’immischi nelle faccende di stato. I regnanti sono più simili ai loro sudditi di quanto si pensi. E quando un figlio del popolo più scaltro di altri si accorgerà che siamo fatti di carne e sangue, e, alla fine, diventiamo ottimo cibo per i vermi, allora saranno rivolte e stragi. Non manca molto. La consapevolezza delle masse sta montando come la panna agitata dalle fruste di una fantesca.

La noia produce pensieri inquieti. Dopo aver distrutto i miei nemici, ho risolto le dispute religiose e rimpinguato i forzieri di stato. Nessun monarca sarebbe stato in grado di fare altrettanto. Ho assolto ai doveri ed esaurito i sogni.

L’Inghilterra vive un periodo di pace ottenuta solo grazie ai miei talenti e alla mia caparbia dedizione. Essere figlia di mio padre non è stato d’aiuto. Certo, da lui ho ereditato intelligenza e autorità, ma anche un fardello di problemi irrisolti e una scia di sangue che imbratterà la memoria degli inglesi per secoli. Durante il suo regno guerre inutili hanno insanguinato l’isola, riducendo in miseria città e campagne. La fame ha falciato intere generazioni. Mio padre si trastullava con gli eserciti come faceva nell’infanzia con i soldatini d’argento. Non ha mai rinunciato a quel gioco. Le sorti della sua gente non lo interessavano. Tantomeno s’occupava dei destini della famiglia. Per generare tre figli ha dovuto sposare sei mogli. E giustiziarne due, una delle quali era mia madre. Quando lei morì avevo tre anni, tutti i suoi ritratti furono bruciati e venne cancellata ogni traccia del suo passaggio su questa terra. Volevo sapere chi fosse, che aspetto avesse, ma nessuno rispondeva alle domande, finché smisi di chiedere. Molto più tardi, spulciando le carte del processo venni a sapere che era stata accusata di adulterio e stregoneria. Falsità. La sua colpa fu di non aver sfornato un erede maschio. Morta lei, mio padre fu libero di procurarsi un altro ventre da fecondare.

“Sei caparbia e sensuale come lei!”, urlava quando osavo contrariarlo, “Dovrai tenere a bada quell’indole ribelle quando ti sposerai.”. Molti uomini si sono infilati nel mio letto. Amavo dormire stretta a un corpo caldo e muscoloso. E non mi sono mai privata di questo piacere. Il matrimonio però è un’altra storia. Avrei dovuto cedere il potere a mio marito e barattare il conforto di un abbraccio notturno o la gioia di un figlio con la gestione del paese. Avevo altro per la testa.

Nessun uomo avrebbe affidato la marina inglese a un corsaro. Io lo feci e Francis Drake distrusse la flotta spagnola. Nessun uomo si sarebbe scervellato per trovare un onorevole compromesso che mettesse fine alle dispute tra cattolici e protestanti. Io sì. La mia stessa famiglia era stata dilaniata da fedi religiose inconciliabili. Concessi libertà di culto e creai la Chiesa Anglicana. Così le lotte intestine finirono e i patiboli furono smantellati.

La testa di mia cugina, caduta nel cortile della Torre di Londra, mi pesa ancora sulla coscienza. Ci vollero diciannove anni per convincermi che l’unica scelta possibile fosse il boia. Maria era infida e troppo affascinante. Un pericolo costante per la mia corona e il mio regno. Non ho eredi, quindi lo scettro passerà a suo figlio. Lo considero un risarcimento postumo.

È la dodicesima notte del 1600, forse l’ultima della mia vita, o forse no. I teatranti metteranno in scena una commedia di Shakespeare. Io, Elisabetta I, cederei il trono per recitare stasera in mezzo a loro.

Autore: Virginia Coral

Autore

  • L’autrice da molti anni lavora nel campo della sperimentazione sui farmaci e coltiva, in parallelo, la passione per i viaggi e la scrittura. I primi forniscono spunti ed emozioni che, lasciati decantare, riempiono le pagine bianche. Un corso di scrittura creativa, frequentato quasi per caso, le ha fornito gli strumenti per ridurre la fantasia a un flusso organico di parole. E il coraggio di esporsi al giudizio del pubblico con lo pseudonimo di Virginia Coral. Il primo racconto, pubblicato nella WMI 18, parla di Buenos Aires e della sua musica seducente, il tango. Il secondo racconto è uscito nel volume “365 Racconti erotici”, seguito da altri inseriti in volumi di diversi editori, fino alla pubblicazione del libro “Agata e l’isola del vento”, nelle Edizioni Montag. Invia regolarmente scritti a #brevestoriafelice, il primo concorso letterario “social”, che organizza ogni due mesi un contest di flash-fiction. Negli ultimi anni si è immersa nella vita di Enrico VIII, con l’entusiasmo e la perseveranza di un investigatore, scoprendone luci e ombre, debolezze e ambiguità. Ne è nato così un romanzo storico sulle vicende umane di questo grande re, intrecciate con i destini delle sue sei mogli.

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